
Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla montagna del Principe Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l'onda lunga che ha portato alla Repubblica del '36 e alla resistenza antifranchista fino ai nostri giorni.
Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti - Ciceruacchio per il suo popolo - insieme al figlio Lorenzo cadeva sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri.
A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come "strade di una caserma opportunamente ampliata" perché i padroni temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo conosciuti come "Communards". I soldati del gen. Lacombe furono mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero nemico.
Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono alla Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa migliore degli ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro". Capite adesso perché lo sciopero dei lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995?
Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche nelle nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno. Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del generale francese Bugeaud.
Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani, impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani, nell'ottobre del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero tre scariche della fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo cadere a terra. Husein e i suoi Resistenti avevano fatto impazzire i militari italiani nelle uadi o sulle strade carovaniere. Per rabbia e per rappresaglia gli italiani fucilarono centinaia di persone e ne deportarono 3.053 nelle isole Tremiti, a Ustica, a Favignana, a Ponza e a Gaeta.
"Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi del poeta arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia violare con stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia addossata la colpa ai soli italiani ma tutto l'occidente sia considerato colpevole".

Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697 contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord, eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città.
Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra selve e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che volevamo una sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci insieme a José, Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere quando a Morelos Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le montagne e mise i brividi ai latifondisti. Tante volte abbiamo resistito, accerchiati dai rurales e dai federales, tante volte li abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in vittorie. E ci avete visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là, nel Guerrero, a Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez, vendicando con la coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a Città del Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni più tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas giurarono di fargliela pagare agli assassini.

Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del 1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati dall'agenzia Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli immigrati, diventati operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt o misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S. Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perché i Resistenti non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno guardare ben oltre le sbarre della loro cella.

Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì, insieme a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò per non arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in rivolta. Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di concentramento ma anche per riscattare la vergogna dei collaborazionisti dello Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla Neretva abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli ustascia croati mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto ucciderlo e così Joakim Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi dimostrarono ai nemici e agli amici che sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine del secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO ma i dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in occidente, la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
"Banditi" così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della periferia romana e i contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano. "Cammina frut" scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile della frontiera con l'Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne greche.

Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell'Africa siamo arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità.
E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti. L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a Cuba, con la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle giungle del Vietnam. L'immagine del piccolo Truong che scorta prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son "il poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio si moltiplica per dieci".
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti siamo fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche gli eserciti arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso corrotti che riuscirono perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima gli israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo hanno fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo e coraggioso paese.

Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio Pietro ha riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti scrivendo che la "Resistenza contro l'invasione è la prima condizione per la pace". I Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo mondo reso più piccolo dalla globalizzazione e più insicuro dall'imperialismo e dalla guerra. E' arrivato il momento di unirli, di dargli una identità comune e condivisa, di riconoscerli e farli riconoscere a chi - da Bogotà a Manila, da Nablus a Salonicco, da Seattle a Durban - si è rimesso in marcia per rendere possibile un altro mondo. Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all'imperialismo occorre resistere, improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia. Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della libertà, all’idea di libertà fondata sull’homo economicus noi proponiamo all’umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza, un vantaggio si sta moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze è cominciata.
I Resistenti
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