mercoledì 29 aprile 2009

Usa, la crisi restringe le città. Ovunque aumentano le tendopoli

Nonostante le continue rassicurazioni da parte delle autorità politiche ed economiche di diversi paesi e delle istituzioni internazionali, la crisi economica che ha colpito l'economia capitalista non solo non accenna a rientrare, ma anzi alcuni segnali avvertono che le conseguenze andranno ben al di là dei problemi economici momentanei che stiamo vivendo.
Le fabbriche licenziano in massa o chiudono, le case perdono valore e vengono abbandonate, i quartieri perdono rapidamente abitanti. Già vittima di dinamiche economiche in atto da anni, ulteriormente colpite dalla recessione attuale, alcune città degli States hanno intenzione di combattere la loro crisi accettando il fatto compiuto; e per rinascere, o almeno non morire, intendono restringersi. Tra queste c'è anche Flint, nel Michigan, dove è nato Michael Moore.
Già venti anni fa il regista, nel film "Roger and me", aveva documentato il declino anche demografico della sua città, vittima della crisi dell'industria automobilistica. Da quel periodo, però, la situazione è peggiorata. Flint, che negli anni Sessanta aveva raggiunto i 200mila abitanti, oggi conta poco più di 110mila persone: gli stabilimenti della General Motors hanno licenziato oltre il 90% della forza lavoro, facendo diventare la città uno dei simboli della "Rust Belt", la fascia industriale del nord-est che non ha saputo reinventarsi dopo la chiusura delle sue grandi fabbriche. Il problema è che la superficie di Flint non è cambiata. Così ora il sindaco Michael Brown sta mettendo a punto i progetti di restringimento, che dovrebbero trovare spazio nel nuovo piano regolatore. L'idea è quella di concentrare gli abitanti in aree popolate al cento per cento. Gli 88 km quadrati di Flint sono ormai troppi per una popolazione che si è dimezzata in pochi anni: ci sono quartieri dove i mezzi per la raccolta settimanale della spazzatura, per esempio, raccolgono un solo sacchetto, con evidente spreco di denaro pubblico. Lo stesso discorso vale per l'illuminazione stradale, per i servizi di posta, per il trasporto pubblico.
A Youngstown, una città nell'Ohio che per decenni è stato il terzo polo dell'acciaio negli USA, sono più avanti: tra gli anni ‘30 e ‘70, la popolazione di Youngstown si aggirava sui 170mila abitanti, oggi non arriva a 70mila. L’amministrazione comunale offre fino a 50mila dollari in incentivi per convincere i residenti nelle aree semi-abbandonate a lasciare le proprie case.
Funzionerà? Non tutti ne sono convinti, specialmente per le possibili complicazioni pratiche. "Cosa succede quando una struttura di potere prevalentemente bianca sceglie sezioni della città a prevalenza afro-americana, per diventare pascoli verdeggianti?", si legge su FlintExpats.com, il sito dei giovani fuggiti da una città senza più prospettive. Inoltre, nel crollo del mercato immobiliare c'è chi ha comprato casa in quartieri apparentemente senza speranza, in molti casi speculatori che non abitano tra le mura appena acquistate: saranno anche loro invogliati alla vendita con incentivi pubblici?

L'esperimento di Flint e Youngstown è guardato con attenzione, perché è visto come un possibile esempio del futuro che attende molte periferie statunitensi. Decenni di carburante a prezzi economici hanno alimentato un modello di sviluppo che ha portato al boom dei suburbs, i quartieri di villette e giardini privati così comuni anche nell'immaginario fornito dai film hollywoodiani. La crisi economica, e lo shock dell'impennata del prezzo del petrolio l'anno scorso, hanno fatto proliferare studi e articoli sulle possibili trasformazioni dei centri abitati verso una maggiore concentrazione territoriale.
Intanto, anche se non se ne parla, come durante la Grande depressione degli anni Trenta, negli Stati Uniti tornano le tendopoli: da New York a Los Angeles e da Seattle a St. Petersburgh in Florida, decine di migliaia di disoccupati senza tetto vivono nelle bidonville o Hooverville come furono chiamate dal nome di Hoover, il presidente del crollo di Wall Street del ‘29. Il fenomeno è così esteso che in molti casi le autorità cittadine non sanno neanche esattamente il numero di persone che vivono sotto una tenda invece che sotto un tetto. Il New York times ha visitato Fresno in California, e vi ha scoperto tre tendopoli, ciascuna con oltre 100 abitanti. La prima, sotto una sopraelevata, si chiama New Jack city dal titolo di un film del ’91 sui senzatetto, la seconda, in un campo della periferia, Little Tijuana perché popolata soprattutto da messicani, la terza, in un parcheggio, Village of Hope, Villaggio Speranza. Le prime due tendopoli sono in condizioni disastrate, l’ultima è la più dignitosa, consiste di minuscoli monolocali di legno donati dalla Poverello house, un’associazione di beneficenza. «Questa gente non trova lavoro». Secondo Richard Stoops della Coalizione dei senzatetto, le tendopoli sono destinate ad aumentare. «La situazione sanitaria è seria ci sono malati privi di cure la povertà e la violenza sono in aumento. Molti comuni, anche socialmente impegnati, non hanno più mezzi per aiutare i baraccati». Sui senzatetto in America non esistono statistiche attendibili il loro numero varierebbe da 1 milione e mezzo a 3 milioni.

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