martedì 12 maggio 2009

Tensioni e cariche davanti il liceo Michelangelo di Firenze. In una giornata indetta dalla Rete dei collettivi per protestare contro la soppressione degli spazi autogestiti da parte del preside. Dopo il corteo per vie della città era previsto un pranzo autogestito a cui doveva quindi seguire un'assemblea degli studenti e delle studentesse sulla questione degli spazi.
Arrivati dinnanzi il liceo i manifestanti hanno trovato chiuso, il che, insieme alla militarizzazione dell'area da parte della polizia, ha fatto inevitabilente salire la tensione. Il presidio studentesco che si è formato davanti il liceo è stato più volte caricato dalle forze dell'ordine, per disperderlo. Il reparto mobile durante le diverse cariche in via della Colonna ha fermato una decina di studenti, 2 sono rimasti feriti.

venerdì 8 maggio 2009

Fabbrica Incerta

«Siamo vasi di coccio»
di Loris Campetti
Radiofabbrica trasmette programmi in tedesco che annunciano disastri: a Mirafiori le tute blu temono che il conto della globalizzazione Fiat venga presentato a loro. I sindacati chiedono un incontro immediato ad azienda e governo

Radio officina fa rimbalzare da un reparto all'altro di Mirafiori avvertimenti preoccupanti provenienti dagli stabilimenti Opel dell'Assia: achtung, achtung, stanno per saltare un po' di stabilimenti in Europa, un paio in Italia. Uno a sud, precisa la stampa tedesca, uno a nord. A nord? Ma come: Marchionne non aveva detto che Mirafiori sarebbe stato l'ultimo stabilimento a chiudere, in caso di difficoltà? E poi, dove stanno le difficoltà, visto che la Fiat sta facendo shopping di multinazionali in mezzo mondo? Ce l'avrà mica con noi, il salvatore della patria? Questo dicevano ieri le tute blu torinesi al cambio turno, leggendo il volantino distribuito dai sindacalisti e dai delegati della Fiom che si interroga sul futuro degli stabilimenti italiani della Fiat, compreso il cuore antico di Mirafiori.
C'è chi pensa che non si debba prestare troppa attenzione ai messaggi provenienti in questi giorni dalla Germania, «fanno parte del gioco». Ma anche chi minimizza fa sogni che sembrano incubi. «C'è grande preoccupazione in fabbrica», dice il segretario della V lega Fiom di Mirafiori, Vittorio De Martino: «Marchionne non è più circondato dall'aureola e non è più percepito come il santo salvatore: «Qui rischiamo di fare la fine dei vasi di coccio in mezzo a quelli di ferro, dicono ai cancelli e in assemblea gli operai». I numeri sono tiranni: tra la crisi del 2002 e l'inizio della ripresa del 2005, i lavoratori occupati nel perimetro di Mirafiori sono crollati da 27 mila a 15 mila. Nel 2008, da uno stabilimento con una capacità produttiva di 500 mila vetture ne sono uscite solo 140 mila, rispetto a una produzione italiana di 630 mila automobili, un terzo del totale prodotto dal Lingotto nel mondo. Dai piani alti della Fiat si lascia intendere che non sarà necessario chiudere stabilimenti in Italia, basterà «asciugarli» un po'. Si asciuga il sudore, normalmente, e in effetti sono gli operai quelli che sudano, dunque la metafora fastidiosa ha una sua ragion d'essere. «Che vuoi asciugare ancora? Tutti quelli che potevano uscire, tra pensionamenti e mobilità, sono già stati messi fuori», consedera con amarezza il segretario torinese della Fiom, Giorgio Airaudo che teme per l'auto, ma anche per la Iveco che è messa ancora peggio e le solite voci d'officina ventilano persino una cessione dell'intero comparto dei camion. E teme per la Cnh e i suoi stabilimenti a Torino e in Italia (Emilia, Marche, Puglia). Ieri i lavoratori della Cnh di San Mauro, in perenne cassa integrazione, hanno manifestato davanti alla sede Rai di Torino.
Si preoccupano lavoratori, sindacati, istituzioni. Il sindaco del capoluogo piemontese Sergio Chiamparino chiede una verifica alla Fiat, un piano industriale che garantisca una difesa dell'occupazione dentro il processo di riorganizzazione che la globalizzazione del Lingotto pretende. Anche il presidente della Campania Antonio Bassolino, che ospita nel suo territorio la fabbrica sotto tiro di Pomigliano, chiede un incontro immediato con la Fiat. Incredibile a dirsi, si è fatto vivo il governo italiano dopo settimane di silenzio e dopo che Marchionne aveva incontrato i governi di mezzo mondo promettendo a tutti la difesa degli stabilimenti e dell'occupazione. Più che battere un colpo, il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola ha mandato una letterina a Marchionne e Montezemolo per «preannunciare» un incontro, presenti i sindacati, per discutere le prospettive dell'azienda. Un governo serio - tipo quello tedesco o quello americano, per intenderci - si limiterebbe a convocare azienda e sindacati, come questi ultimi chiedono inutilmente da mesi. Altro che letterina, dice il coordinatore Fiom del settore auto, Enzo Masini. Il quale crede poco praticabile una linea di rottura di Marchionne basata sulla chiusura di stabilimenti e operai licenziati: «Solo un anno fa abbiamo fatto un accordo per Termini Imerese e l'Unione europea ha concesso finanziamenti per gli investimenti e per la produzione di un nuovo modello». Le notizie - e i rumors, «normali» in una trattativa difficile - provenienti dalla Germania, ma anche dai mercati e dagli ordinativi stagnanti di automobili, sono comunque inquietanti, aggiunge Masini, che almeno una buona notizia può darcela: «Il 13 ci vedremo a Francoforte con la Ig-Metal e incontri sono in programma con i sindacati del Belgio, della Gran Bretagna, della Svezia...». Cioè dei paesi in cui la Opel ha i suoi stabilimenti. E' impensabile, e sarebbe perdente, una risposta fabbrica per fabbrica alla strategia globale della Fiat e delle altre multinazionali. Se non altro questa crisi costringe i sindacati dei vari paesi a confrontarsi, alla ricerca di una strategia comune
Il 16 a Torino arriverà da tutt'Italia la protesta dei lavoratori Fiat per una manifestazione promossa da tutti i sindacati dei metalmeccanici. Non è accettabile che l'unico modo per portare l'industria dell'auto fuori dalla crisi sia quello che prevede il massacro sociale. Dietro parole come sinergia si nascondono licenziamenti e chiusure di fabbriche. Se Marchionne dovesse decidere di penalizzare gli stabilimenti italiani, dice il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, si aprirebbe un pesante scontro sociale. Giorgio Cremaschi arriva a dire che se la Fiat dovesse chiudere Pomigliono, sarebbe necessario l'intervento dell'esercito.

«Il peggio deve ancora venire: Cai è un modello contro i diritti del lavoro»

di Francesco Piccioni
Disservizi, ritardi, organici largamente insufficienti. Ma «conti migliori del previsto». Intervista a Paolo Maras (segretario SdL)
Ritardi, manutenzione incerta, disservizi, carenza di organico. Alitalia torna in prima pagina, ma con i conti - spiega il socio di riferimento, Jean-Cyril Spinetta, presidente di air France - «al di sopra delle attese». Ne parliamo con Paolo Maras, segretario nazionale dell'SdL-trasporto aereo, steward ora in cassa integrazione.
Quanti problemi ha la «nuova» Alitalia?
Che si faccia il bilancio dei primi 100 giorni è doveroso, ma era già noto che i problemi principali - ritardi, inefficienze, organici e condizioni del lavoro - fossero irrisolti. Non a caso avevamo sempre detto che attraverso questa operazione non passa solo la trasformazione da Alitalia a Cai, ma un treno micidiale addosso a diritti, conquiste, condizioni di lavoro. E anche una visione diversa da quella di una compagnia di bandiera, che presuppone comunque un interesse dello Stato nel garantire servizi ai cittadini. Oggi vediamo anche Formigoni e Castelli strapparsi i capelli per Malpensa, dove non funzione più nulla e i passeggeri rimangono a terra. Certo, se gli organici sono insufficienti, sia a bordo che a terra, succede questo.
Eppure si era detto che si voleva creare una compagnia grande, forte e «italiana».
Fin dall'inizio l'obiettivo era di tenere bassissimi i costi e il personale ridotto all'osso, confezionando un pacchetto appetibile per il migliore offerente. Che in Cai sappiamo essere «mister 25%», ovvero Air France. Che ora dice - traduco - «come fate a ottenere risultati superiori alle aspettative»? In Francia sequestrano i manager, qui avete distrutto sindacato e lavoratori e nessuno dice niente...
Previsioni fosche per i vostri colleghi francesi...
Appunto. In secondo luogo, Spinetta ha sollevato la politica italiana e il governo (quello che diceva «ai francesi, mai») da ogni responsabilità per la cattiva gestione precedente alla vendita. L'unico «colpevole» è stato trovato nel sindacato. Tutti, senza eccezione. Noi siamo convinti che il peggio debba ancora arrivare. Il «problema Alitalia» non c'è più, come la monnezza napoletana. Ma se si pensa che deve ancora la fusione effettiva tra le cinque aziende che compongono oggi la nuova Alitalia, è facile prevedere nuovi «esuberi» causati da queste sinergie.
Ma se già ora nell'«operativo» gli addetti sono pochi...
Se una macchina che ha bisogno di quattro assistenti di volo la fai partire con soltanto due, la legge della «sinergia» funziona anche in quel caso. I numeri delle assunzioni fatte sono fortemente squilibrati rispetto agli stessi impegni iniziali. Gli assistenti di volo - a quattro mesi dalla partenza - sono sotto organico di oltre 400 unità. Si parla ora di 190 assunzioni, che non coprono le necessità.
Le politiche del trasporto dipendono sempre più dalle scelte europee. Come si fa a tenere il punto del conflitto senza una qualche sponda politica?
La vicenda Alitalia è andata come è andata proprio perché c'è una desertificazione della politica. C'è necessità di riportare competenze vere, non ideologiche - insomma esperienze vissute, «sapere di che si parla» - dentro certe istituzioni. Per esempio, credo che la scelta di Andrea Cavola, mio compagno di lotte per oltre 20 anni - di candidarsi come indipendente con Rifondazione, sia assolutamente giusta. La sensazione di questi anni è che non importa quanto tu abbia ragione, quanti lavoratori hai dietro; tutto il sistema - anche l'informazione, con poche eccezioni - si muove a tutela degli interessi del «grande capitale». Basta vedere il ruolo politico-mediatico del ministro Matteoli: di scioperi nel trasporto non si parla più, nemmeno a livello di annuncio, perché ogni giornalista sa che tanto lui li vieta sempre, con la precettazione.

lunedì 4 maggio 2009

Roma contesta il razzista Lieberman

Oggi lunedi 4 maggio, la Roma antirazzista e no-war protesta in Largo di Torre Argentina, contro la visita in Italia del ministro degli esteri del nuovo governo israeliano Lieberman.
Leader della destra radicale, è arrivato ieri sera a Roma, prima tappa di un tour che proseguirà a Berlino, Parigi e Praga. Lieberman sarà ricevuto da Berlusconi, dal presidente della Camera Fini, e dal collega Frattini. La visita, ufficialmente incentrata sulle sorti del processo di pace mediorientale sara' l'occasione per mettere a punto la cooperazione militare tra Italia e Israele e giunge alla vigilia del vertice italo-egiziano a Sharm el Sheikh e precede i colloqui negli Usa del presidente Obama col premier Netanyahu e con Abu Mazen.
Uno striscione recante la scritta «Lieberman go home, Palestina libera» è comparso ieri sera sull'autostrada Roma-Fiumicino. Con questa iniziativa - si legge in una nota di Forumpalestina - comincia «la mobilitazione contro la presenza di chi propugna la pulizia etnica per la popolazione palestinese e contro la complicità italiana con la politica di apartheid e di occupazione israeliana della Palestina». Nel ribadire che «Lieberman non è un ospite gradito in Italia», Forumpalestina ricorda la manifestazione di protesta organizzata per le 18 di oggi nel centro di Roma, in largo Torre Argentina.
Le seguenti associazioni e forze politiche, Forum Palestina, Donne in Nero, Comitato Palestina nel cuore, Sport sotto l’assedio, UDAP, Associazione Punto Critico, Associazione La Villetta, Associazione Altrimondi, Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Critica, Rete dei Comunisti, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Comunista dei lavoratori, Collettivo Antagonista Primavalle , CIP, Coordinamento Giovani in Lotta, Rete Semprecontrolaguerra…., in solidarietà con il popolo palestinese considerano la visita del ministro israeliano una vergogna e contestano la permanenza a Roma di Lieberman.

www.forumpalestina.org

Afghanistan: soldati italiani sparano contro auto. Muore una bambina di 13 anni

Una bambina afghana di 13 anni è stata uccisa da una pattuglia italiana a Herat che ha aperto il fuoco contro un’automobile che non si sarebbe fermata come richiesto: una pattuglia di militari italiani composta da tre mezzi che stava procedendo lungo la strada ha incrociato un'autovettura civile che procedeva in senso opposto a ‘forte velocità’.
Il comando delle truppe occupanti italiane nella regione ha reso noto che alle 11 locali, (le 8,30 in Italia), una Toyota Corolla sw bianca "si lanciava a forte velocità verso una pattuglia dell'Omlt (operation mentoring laison team) che opera nella zona di Herat". La morte della bambina è stata confermata dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha espresso le ‘lacrime di coccodrillo’ di rito mentre nel pomeriggio si è appreso che la procura di Roma ha aperto un fascicolo per chiarire la dinamica di quanto accaduto a Herat.
Tempestiva la giustificazione dei propri militari da parte del comando: "i militari hanno prontamente e correttamente attuato tutte le procedure di segnalazione previste dalle procedure di impiego" e i colpi sparati contro l'auto hanno ucciso uno degli occupanti e ferito altri tre. "Dato che la vettura continuava la propria corsa, nonostante i segnali luminosi ed i colpi di avvertimento, i militari hanno fatto fuoco sul vano motore" si legge in una nota, "nello scontro è deceduto un cittadino afghano ed altri tre risultano essere feriti".
Media e comandi militari hanno prontamente parlato prima dei sospetti suscitati da un modello di automobile che sarebbe ritenuta la preferita per attentati e azioni kamikaze, mentre le agenzie di stampa nel presentare la notizia parlano addirittura di uno ‘scontro a fuoco’ mai avvenuto.
Un altro effetto collaterale della presenza nel paese di truppe straniere.

Governo in continuità con il ventennio fascista

"Dell'Utri, affermazioni vergognose di vero ideologo PDL"
Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista - SE
Mussolini "brava persona" e i repubblichini "partigiani". Passate le convenienze del 25 aprile, la continuità fascistoide della destra nostra con il Ventennio fascista torna fuori chiaramente nelle parole di Marcello Dell'Utri, ideologo della Pdl e intimo del premier. Il problema è che quelle che Dell'Utri definisce le "idealità" dei repubblichini sono state condannate in modo netto e senza possibilità di appello dalla Storia, da tutte le persone democratiche e dal Tribunale di Norimberga, che li ha definiti crimini contro l'umanità.
Queste dichiarazioni dell'ideologo della Pdl mostrano ancora una volta come questo governo e questa maggioranza si pongano in continuità con il Ventennio fascista e non sappia né voglia cogliere il punto fondamentale che ha dato vita alla Resistenza e alla nostra Costituzione democratica, resa possibile unicamente dall'alleanza di tutti gli stati antifascisti e dalla lotta partigiana, lotta di cui i comunisti sono stati una parte centrale e fondamentale. Dell'Utri è un fascista che dovrebbe vergognarsi delle sue parole e non inquinare il dibattito democratico.

Afghanistan: dalla 'riduzione del danno' al tiro a segno contro i civili

Comunicato della "Rete Nazionale Disarmiamoli!"
L’incremento esponenziale della presenza militare italiana in Afghanistan, iniziato con il governo Prodi e continuato con l’attuale esecutivo di estrema destra produce i suoi frutti avvelenati. Ad Herat i militi italiani hanno ucciso una bambina e ferito tre civili.Le giustificazioni per il quotidiano massacro di civili si sprecano, così come le agghiaccianti teorie a sostegno dell’occupazione militare di quello sfortunato paese. Nel nostro paese siamo passati dalle dissertazioni ciniche sulla “riduzione del danno” – costate l’estromissione totale di un intero ceto politico dagli scranni del Parlamento – allo “sgomento” del ministro degli Esteri Frattini per l’omicidio di ieri. Non vediamo come queste macabre differenze possano confortare i genitori della povera bimba uccisa con i soldi dei contribuenti italiani, un fiume di danaro investito dal governo Berlusconi - la Legge finanziaria 2008 ha raddoppiato la spesa - per una occupazione che si rivela ogni giorno di più come una catastrofe militare per l’Alleanza Atlantica, ma soprattutto come un martirio quotidiano per il popolo afgano ed oggi, grazie al “democratico” Barak Obama, anche per quello pachistano.
La notizia dell’omicidio della piccola afgana ha trovato una immediata giustificazione bipartisan. Ettore Rosato, parlamentare del Pd, atterrato in queste ore nella provincia insieme ad una delegazione della Camera in visita in Afghanistan per incontrare le truppe e verificare gli investimenti nelle strutture civili finanziati dall'Italia, dichiara alla stampa che: “….non possiamo dimenticare che qui in Afghanistan siamo in guerra".
Così la guerra continua ad essere il cemento unificante della politica estera italiana. La lotta si è ridotta alla sola occupazione dei posti di comando dai quali gestire il neocolonialismo tricolore. Gli esempi si sprecano. Che dire del silenzio di tutti i partiti politici sul finanziamento miliardario per l’acquisto di 131 bombardieri USA F35? Una recente polemica ha riguardato 450 milioni spesi per il referendum del 21 giugno, ma nessuna forza politica ha parlato dei 14 miliardi di euro investiti dal governo a favore della nuova aviazione d’attacco per l’aeronautica italiana.Silenzio sugli F35, così come sul massacro quotidiano in Iraq, dove i carabinieri italiani addestrano le locali forze settarie, sull’agonia nella striscia di Gaza, di cui il governi italiano è complice e corresponsabile, sulle tensioni esplosive nei Balcani ed in Kosovo. Solo con un ritiro immediato ed incondizionato delle truppe di occupazione si potranno evitare tragedie che non hanno niente di fatale. Le vittime civili sono il prodotto diretto delle strategie militari contemporanee degli eserciti occupanti, cercate per dissuadere popolazioni e combattenti dal continuare la legittima resistenza all’occupazione.
Nell’esprimere solidarietà e condoglianze per la famiglia di afgani che hanno perso una figlia per mano dei militari italiani, ribadiamo la nostra ferma richiesta di RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE ITALIANE DA TUTTI I FRONTI DI GUERRA.

Nepal: crisi di governo, i maoisti invitano alla mobilitazione

Una grave crisi politica e istituzionale è in corso in Nepal, dove il governo, guidato dal partito degli ex-guerriglieri maoisti, è in aperta polemica con il presidente Ram Baran Yadaw, esponente dell’opposizione di destra. La crisi, che secondo gli esperti era nell’aria da settimane, è esplosa definitivamente ieri dopo che il governo ha licenziato il capo di Stato di maggiore delle Forze Armate nepalesi, il generale Rookmangud Katawal, accusato di “insubordinazione e disobbedienza” per il suo ostracismo e per quello dei vertici dell’esercito (che sono gli stessi del periodo monarchico precedente alla proclamazione della Repubblica e all’insediamento dei maoisti al potere dopo la vittoria alle elezioni) nei confronti dell’arruolamento di migliaia di ex combattenti maoisti nelle file delle forze armate regolari, come invece previsto dall’accordo di pace nel 2006.
Poche ore dopo l’annuncio della caccia del generale Katawal, il presidente ha inviato al capo di Stato maggiore e al primo ministro una lettera nella quale chiedeva all’alto ufficiale di restare al suo posto, giudicando “incostituzionale” la decisione di rimuoverlo da parte del governo. Secca la risposta del governo che oggi ha denunciato un “colpo di Stato costituzionale” da parte del presidente (che formalmente è anche il capo supremo dell’esercito) e ha precisato che “la decisione presa mette in pericolo il processo di pace”. In attesa del discorso alla nazione che il Primo ministro nepalese terrà in mattinata (il primo pomeriggio in Nepal), i vertici del Partito comunista maoista (Cpn-M, lo schieramento di maggioranza) hanno deciso di indire una serie di proteste nelle piazze e in parlamento per denunciare il comportamento del presidente. Intanto il principale partito alleato dei maoisti in Parlamento, di centrosinistra, si è ritirato dalla coalizione di governo, minacciando la fragile maggioranza del Cpn alla Camera.

Dietro l'accordo Fiat - Chrysler

di Emiliano Brancaccio
La grande stampa, il governo e i vertici del partito democratico hanno salutato con euforia le recenti operazioni espansioniste della Fiat su scala globale. Oggi l’approdo nel mercato statunitense tramite l’intesa con Chrysler, e forse domani la conquista di Opel in Germania, sono stati interpretati come sintomi di quella italica capacità di “aggredire i mercati esteri” che è stata in questi giorni rimarcata dal presidente del Consiglio e da molti altri. I lavoratori tuttavia non dovrebbero lasciarsi ingannare da questa pioggia improvvisa di lustrini tricolore. La realtà infatti è che la Fiat ha acquisito il controllo strategico di Chrysler sotto la condizione che i sindacati americani accettassero un accordo capestro: congelamento dei salari, scatto degli straordinari solo oltre le 40 ore settimanali, cancellazione delle vacanze di Pasqua e di altre festività per due anni, pericoloso acquisto di una gran massa di azioni Chrysler da parte del fondo pensione dei dipendenti, e completa rinuncia agli scioperi fino al 2015. Massimo Giannini su Repubblica ha parlato di una soluzione responsabile e non ideologica da parte delle rappresentanze sindacali statunitensi. Ma sarebbe più onesta definirla una resa senza condizioni, che peserà non poco sulla localizzazione dei licenziamenti da un lato e dall’altro dell’Atlantico e che dunque costituirà un enorme problema per i sindacati italiani. Siamo insomma di fronte all’ennesimo episodio di quel generale processo di inasprimento della guerra tra lavoratori che sta sempre più caratterizzando l’evoluzione della crisi economica in corso.

Alla intensificazione del conflitto internazionale tra lavoratori la nuova strategia economica degli Stati Uniti contribuisce in misura significativa. Infatti, il ruolo dell’economia americana risulta oggi totalmente ribaltato rispetto agli anni passati. All’epoca del boom speculativo gli Stati Uniti agivano da spugna assorbente delle eccedenze produttive mondiali. Quel che gli altri producevano gli americani lo compravano, e in questo modo contribuivano a mitigare gli effetti della sfrenata competizione salariale nella quale si cimentava il resto del mondo. Adesso però l’America si ripresenta sulla scena internazionale in una veste opposta e feroce. Con i sindacati in ginocchio, il cambio del dollaro sempre più favorevole e un governo pronto a erogare montagne di denaro pur di rimettere in carreggiata le aziende nazionali, gli Stati Uniti non attenuano ma al contrario rendono ancor più violenta la concorrenza mondiale sulle retribuzioni e sulle condizioni di lavoro. Con questa storica mutazione di ruolo da parte degli americani, il capitalismo globale in crisi si tramuta dunque in un gigantesco “beggar my neighbour”, lo spietato gioco delle carte in cui lo scopo di ognuno è di vincere saltando al collo del vicino. Degli effetti di questo gioco ci accorgeremo presto anche in Italia. Infatti, dopo avere incassato la resa dei lavoratori americani, Marchionne non esiterà a imporre pesanti ristrutturazioni nel nostro paese. La grande stampa parlerà anche in quel caso della necessità di un atto responsabile da parte dei sindacati? C’è da temerlo.
Per i lavoratori italiani non vi è dunque alcun motivo per partecipare all’allegro revival nazionalista che è montato in questi giorni attorno ai colpi messi a segno dalla Fiat. Piuttosto, essi dovrebbero augurarsi che emerga presto un’alternativa di classe alla guerra mondiale tra lavoratori che la crisi capitalistica e la connessa fine dell’egemonia americana stanno alimentando. Questa alternativa si costruisce recuperando consapevolezza di un fatto evidente ma troppo a lungo dimenticato: il libero scambio dei capitali e delle merci può andare contro gli interessi della classe lavoratrice e dello stesso internazionalismo operaio. La questione allora non è se si debba o meno discutere di protezionismo. Il problema è di dare una declinazione di classe al tipo di barriere ai movimenti di merci e di capitali che si dovranno per forza introdurre se si vorrà evitare l’abisso di una competizione salariale planetaria e senza freni. In questo senso, sono maturi i tempi per esigere un blocco dei trasferimenti di capitale verso quei paesi che pretendono di affrontare la crisi puntando sull’abbattimento dei salari e sul peggioramento delle condizioni di lavoro. Nel silenzio assordante dei partiti del socialismo europeo, la sinistra europea farà bene a battere un colpo.

mercoledì 29 aprile 2009

Thyssen. Al processo il video-ricostruzione sulla morte dei sette operai



TORINO - Ogni udienza è una sofferenza per i familiari dei sette operai morti nel rogo della Tyssen . Oggi in particolare, nell’aula del tribunale dove si svolge il processo ,è stata vissuta una giornata drammatica dedicata alla ricostruzione di quanto avvenne quella maledetta nota. La tragedia è stata rivissuta in tutti i particolari sia per le testimonianze dei medici che eseguirono le autopsie sia per la proiezione di un filmato di animazione, una ricostruzione virtuale che in pochi minuti fa capire, più di tante parole, cosa realmente avvenne quella notte.
Il filmato era già stato presentato in una precedente udienza ma ancora in forma non completa. E’ stato realizzato da due esperti di produzioni audiovisive de “ La fiorita officina” che si sono basati su testimonianze rese al processo e sulle relazioni8 dei consulenti della Procura. Parte dal momento in cui si ferma la linea 5, a mezzanotte e trentacinque fino alla esplosione del fuoco che investì gli operai che stavano intervenendo con gli estintori. Il video dura circa quattro minuti. Si vede la raffigurazione degli operai in digitale dal momento in cui iniziano il turno di lavoro, poi il riavvio della linea fino all’incendio. La ricostruzione virtuale porta in primo piano una immagine choc, quella di uno degli operai avvolto dalle fiamme. Terminata la proiezione del video è stata la volta di due medici legali, uno che aveva eseguito l’autopsia su Rosario Rodinò all’Ospedale Villa Scassi di Genova e un altro che aveva svolto le autopsie di Antonio Schiavone e Roberto Cola ed aveva anche eseguito un sopralluogo nello stabilimento già durante la notte dell’incendio. I due medici hanno par lato dei tipi di ustioni riportate e delle complicazioni che hanno provocato il decesso. I familiari presenti ad ascoltare queste testimonianze sono stati sopraffatti ancora una volta dal dolore ed alcuni sono scoppiati i in lacrime.

La Guerra dei Berlusconi. Veronica Lario sulle Veline candidate: “Ciarpame senza pudore”

di Tommaso Vaccaro
E’ di nuovo guerra in casa Berlusconi. Veronica Lario, la first lady moglie del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, torna a parlare pubblicamente e senza peli sulla lingua delle scelte “politiche” del Cavaliere. Dopo la famosa lettera, inviata ormai due anni fa’ al quotidiano la Repubblica, la signora Lario questa volta interviene, con una mail inviata all’Ansa, sulla questione delle possibili candidature di “Veline” e showgirl per il PdL, alle elezioni Europee.
“Un ciarpame senza pudore”. Così, la moglie del premier, descrive la faccenda che ha suscitato le critiche persino della Fondazione Farefuturo (vicina al presidente della Camera, Gianfranco Fini) e che ha scatenato le ironie della stampa estera. “Voglio che sia chiaro – ha spiegato la Lario - che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire”.
Sul tema del ruolo delle donne in politica, la dolce metà del Cavaliere trova conforto soltanto con la constatazione che: “Per fortuna da tempo c'è un futuro al femminile sia nell'imprenditoria che nella politica e questa è una realtà globale. C'è stata la Thatcher e oggi abbiamo la Merkel, giusto per citare alcune donne, per potere dire che esiste una carriera politica al femminile”. In Italia, continua la signora Lario “la storia va da Nilde Jotti e prosegue con la Prestigiacomo [su questo passaggio, non è chiaro se il tono sia serio o ironico ndr.]. Le donne oggi sono e possono essere più belle; e che ci siano belle donne anche nella politica non è un merito nè un demerito. Ma quello che emerge oggi attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, e che è ancora più grave, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte e questo va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti”.
“Qualcuno – conclude con i fuochi d’artificio – ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido: quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere”.
La signora Lario coglie poi l’occasione per tirare una ulteriore grave frecciata al marito, commentando la notizia apparsa oggi su Repubblica della partecipazione del premier, domenica sera a Napoli, ad una festa per i 18 anni d’una ragazza. “Che cosa ne penso? La cosa mi ha sorpreso molto, - ha detto – anche perchè non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato”.
In tutto ciò, poco importa se Berlusconi smentisce le candidature di cui si è letto sui giornali, affermando che “sono tutte inventate”. Ad Arcore è ormai guerra tra marito e moglie.

All'ombra del virus

Un grande affare per le case farmaceutiche. La strana natura del virus. I piani di emergenza Usa
di Enrico Piovesana
L'influenza suina continua a mietere vittime in Messico e a seminare il panico in tutto il mondo, non solo tra la popolazione, ma anche sui mercati azionari che, nel timore di un blocco delle frontiere e delle attività commerciali ed economiche globali, registrano forti perdite in tutte le borse.
Grandi profitti per le case farmaceutiche. Gli unici che festeggiano sono i dirigenti e gli azionisti delle due multinazionali farmaceutiche, la svizzera Roche e la britannica GlaxoSmithKline, produttrici dei farmaci antinfluenzali di cui tutti i governi del pianeta stanno facendo incetta in questi ultimi giorni: il Tamiflu (Roche) e il Relenza (Glaxo).
Mentre tutti i titoli di borsa sono in calo, le quotazioni della Roche e della Glaxo stanno guadagnando su tutte le piazze mondiali. Per non parlare delle due aziende che detengono i brevetti dei due farmaci, la californiana Gilead (Tamiflu) - che ha tra i suoi principali azionisti l'ex capo del Pentagono, Donald Rumsfeld - l'australiana Biota (Relenza), i cui indici azionari sono schizzati alle stelle negli ultimi giorni.
Festeggiano anche le multinazionali farmaceutiche che hanno già preso accordi con l'Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) per lo studio e la produzione di vaccini contro l'influenza suina: la francese Sanofi Aventis - che a inizio marzo aveva annunciato l'apertura, proprio in Messico, di uno stabilimento per la fabbricazione di un vaccino contro eventuali influenze pandemiche - la statunitense Baxter - recentemente coinvolta in un grave scandalo: aveva distribuito, in diciotto paesi, vaccini antinfluenzali contaminati dal virus dell'influenza aviaria - e la svizzera Novartis.
Un virus ibrido così strano da sembrare artificiale. Non sarà molto facile trovare un vaccino per questa influenza. Gli scienziati del Centro per il controllo delle malattie (Cdc) di Atlanta, il principale istituto epidemiologico statunitense hanno dichiarato che questo ceppo virale contiene una combinazione unica, mai vista prima, di sequenze genetiche di due diversi virus influenzali suini (uno di origine nordamericane e uno eurasiatico), del noto virus dell'influenza aviaria e della familiare influenza umana. Un ‘riassortimento' genetico così particolare, da far addirittura sorgere dubbi sull'origine naturale di questo nuovo supervirus.
Negli ultimi anni i riassortimenti artificiali di virus sono diventati una pratica comune nei più avanzati centri di ricerca epidemiologica di tutto il mondo, e soprattutto negli Stati Uniti.
Nel 2005, ad esempio, i bioingegneri del Cdc di Atlanta hanno creato in laboratorio un virus pandemico artificiale combinando il ceppo dell'influenza aviaria con quello della normale influenza umana. Lo stesso hanno fatto gli scienziati della già citata Baxter. Esperimenti, questi, giudicati molto pericolosi, ma considerati necessari per studiare le modalità di contagio e i possibili vaccini.
Analoghi virus artificiali ibridi vengono prodotti, ma a scopi ben diversi (la guerra batteriologica), anche nei laboratori militari dell'Istituto di medicina per le malattie infettive dell'esercito Usa (Usamriid) di Fort Detrick, in Maryland, lo stesso da cui proveniva l'antrace usato negli attacchi bioterroristici del 2001.
Usa: in caso di emergenza potrebbe intervenire l'esercito. In attesa che venga scoperto un vaccino contro questa pandemia influenzale, i governi di mezzo mondo, oltre a fare scorta di Tamiflu e Relenza, si preparano al peggio. In particolare il governo degli Stati Uniti: i più vicini al focolaio influenzale, dove da tempo sono pronti appositi piani di emergenza che prevedono addirittura l'utilizzo delle forze armate per mettere in quarantena la popolazione infettata, compiere evacuazioni forzate e mantenere l'ordine pubblico. Sulla base delle linee guida della ‘Strategia nazionale per l'influenza pandemica', elaborata dall'amministrazione Bush nel novembre 2005, il Pentagono ha preparato nell'agosto 2006 un ‘Piano di implementazione per l'influenza pandemica' in cui si legge: "Al fine di bloccare la diffusione del virus, il dipartimento della Difesa può essere chiamato a intervenire per assistere le autorità civili nell'isolare e quarantenare singoli individui o popolazioni, anche contro la loro volontà (...) e per ristabilire e mantenere l'ordine pubblico in caso di disordini".

Salta il lavoro a 60 ore. Per ora

Parlamento europeo e Consiglio non si mettono d'accordo. Sfuma per ora l'ipersfruttamento dell'orario di lavoro e dei lavoratori
di Alberto D'Argenzio
«Duri come il cemento», usa queste parole l'eurodeputata socialdemocratica tedesca Mechtild Rothe per descrivere l'attitudine negoziale dei 27, e in particolare di Regno unito, Germania, Polonia e Bulgaria, sulla direttiva orario di lavoro. E difatti non s'è fatta molta strada: Parlamento e Consiglio non hanno trovato l'intesa e il procedimento di conciliazione tra i due organi legislativi Ue è andato a farsi friggere nella notte tra lunedì e martedì. È la prima volta dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1999 che gli Stati membri e l'Eurocamera non si mettono d'accordo. Una prima volta importante, anche a livello simbolico, per un dossier che è sul tavolo comunitario da un lustro abbondante.
Al di là della primizia istituzionale, la battuta di arresto di inizio settimana segna l'apice di un braccio di ferro giocato sulla pelle dei lavoratori. Il 9 giugno scorso i ministri del lavoro dei 27 - anche grazie al determinante cambio di governo in Italia - trovavano un'intesa che permetteva di portare l'orario di lavoro dalle 48 ore attuali, fissate nel lontano 1919 come tetto massimo settimanale dall'Organizzazione mondiale del lavoro, fino a 60 ore, allungabili a 65 ore calcolando le guardie e ulteriormente ampliabili a 78 sfruttando tutte le possibili pieghe delle legislazione proposta. Il meccanismo per allungare la settimana lavorativa è l'opt out, o rinuncia individuale e volontaria (che poi non è quasi mai volontaria) al tetto massimo fissato per legge. La vecchia direttiva del 1993 prevedeva l'uso dell'opt out da parte di un paese per un massimo di 10 anni, un limite ampliamente superato dal Regno unito, che lo usa fin dal 1993, ma non solo: ora sono ben 14 i paesi Ue che lo usano. Nella nuova versione del testo, gli Stati membri volevano un opt out perenne. Oltre a ciò i ministri decidevano di non conteggiare più le ore di guardia inattive (quelle in cui uno è a disposizione dormendo o mangiando) nell'orario finale, escludendole quindi dal computo totale. Una posizione presa anche per aggirare diverse sentenze della Corte europea di giustizia, che impongono il calcolo delle ore di guardia all'interno del tetto settimanale.
Questi i due punti più discussi, due punti voluti dai ministri e bocciati dal Parlamento Ue lo scorso 17 dicembre, con una maggioranza chiara e anche bipartisan (il Pdl si spaccava, con Forza Italia che seguiva la linea del governo, mentre contro si schieravano An e Lega nord). Per Strasburgo l'opt out deve avere vita breve, limitato nel tempo, e le guardie inattive non vanno escluse dal conteggio dell'orario di lavoro, anche se magari le si possono pagare meno. Da qui lo scontro, culminato nel fallimento di lunedì notte. «È molto triste che non siamo riusciti a raggiungere un'intesa - commenta Alejandro Cercas, eurodeputato socialista spagnolo e relatore del rapporto del Parlamento sulla direttiva - ma è anche vero che un cattivo accordo avrebbe peggiorato la situazione dei lavoratori e in particolare quella del personale medico. Abbiamo lasciato il futuro aperto e speriamo di riuscire a trovare una soluzione migliore con il nuovo Parlamento e la nuova Commissione».
La palla passa alla prossima legislatura con il nuovo esecutivo Ue che sarà chiamato a presentare una nuova proposta di direttiva. Intanto rimane in vigore il testo del 1993 mentre, in attesa della fine del suo mandato, questa Commissione potrebbe decidere di portare avanti le procedure di infrazione bloccate nel 2004. Al momento i ricorsi si contano a decine e riguardano tutti i paesi Ue. «Un altro effetto di questo blocco dei negoziati - avverte una fonte comunitaria - è che altri paesi che erano rimasti alla finestra decideranno di applicare l'opt out. La vittoria del Parlamento rischia di essere una vittoria di Pirro, molto simbolica e poco pratica».

Francia, studenti e medici scendono in piazza insieme

di Anna Maria Merlo
Due cortei che si fondono in uno, medici e ospedalieri da un lato, ricercatori e studenti dall'altro, ognuno con le proprie rivendicazioni, ma con un malessere comune: tutti contro l'irruzione della logica mercantile ed economicista nel servizio pubblico. I ricercatori erano ieri alla loro undicesima manifestazione dall'inizio del movimento, che, con fasi alterne, continua malgrado le forti pressioni della ministra Valérie Pécresse, che minaccia di far perdere l'anno se i corsi non saranno completati prima delle vacanze estive. In venti università sulle 85 che conta la Francia, l'agitazione resta forte. A Lione II, lunedì ci sono stati alcuni incidenti, in occasione del voto per levare il blocco dei corsi organizzato dal rettorato: ha votato una piccola percentuale, meno del 15%, più dell'80% è favorevole alla ripresa dei corsi, mentre il principale sindacato degli studenti, l'Fse (legato alla sinistra radicale) aveva invitato al boicottaggio delle urne. Dopo gli scontri, l'università è stata chiusa. Al di là di questo episodio violento, i ricercatori hanno percepito in grande maggioranza come una «provocazione» la recente decisione del consiglio dei ministri di approvare la riforma che li riguarda, con qualche ritocco rispetto al testo originale, malgrado la forte opposizione degli ultimi mesi. La contestazione riguarda la logica economicista che il governo vuole imporre.
E' la stessa protesta che ha ora raggiunto gli ospedali. Qui, per la prima volta, si è formato un fronte comune del personale sanitario, dai grandi professori fino a tutti i dipendenti. Ieri, nel corteo parigino - 20 mila persone, secondo gli organizzatori, 8 mila per la polizia - c'erano anche alcuni nomi famosi della medicina francese che hanno sfilato dietro lo striscione «contro l'ospedale-impresa». La riforma preparata dalla ministra della sanità Roselyne Bachelot significa «l'onnipotenza del direttore dell'ospedale - afferma Bernard Debré, figlio di un primo ministro di De Gaulle ed ex ministro della sanità in un governo di destra - ma io avevo l'impressione che fossero i medici a curare i pazienti, non il direttore». I medici contestano la logica dell'ospedale-impresa, che annullerebbe la specificità della sanità pubblica, applicando i criteri di gestione delle cliniche private, gerarchizzando le decisioni, tutte in mano al presidente-manager. Venticinque grandi professori di cliniche universitarie hanno firmato un testo di condanna della riforma, «la cui parola-chiave non è più la salute ma la redditività. La preoccupazione centrale non è più il malato, ma il budget dell'ospedale». La riforma Bachelot non è però contestata da tutti. Claude Evin, presidente della Federazione ospedaliera di Francia ed ex ministro della sanità socialista, la ritiene «assolutamente necessaria» e «lungi dall'essere liberista». François Chérèque, della Cfdt, afferma: «Non sono sicuro che difendendo il potere dei medici si difenda l'ospedale».

Venezuelani e Palestinesi stabiliscono relazioni diplomatiche

Il governo di Caracas e l'Autorità nazionale palestinese (Anp) hanno stabilito relazioni diplomatiche in via ufficiale. Nicolas Maduro, ministro degli Esteri venezuelano e il suo omologo palestinese Riyad al Maliki hanno firmato nella capitale sudamericana il documento che sancisce "l'eterna e permanente solidarietà del popolo venezuelano alla giusta causa dei Palestinesi" ha detto Maduro. Durante la cerimonia, Al Maliki ha ringraziato il presidente Hugo Chávez per il suo supporto ai civili della Striscia di Gaza durante l'offensiva militare israeliana 'Piombo fuso' che ha causato la morte di oltre 1400 persone (altre decine sono morte e continuano a morire ancora oggi per le conseguenze delle ferite riportate durante i bombardamenti di gennaio) in seguito alla quale Caracas ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele. Il ministro ha detto inoltre che "grazie al suo sostegno alla causa palestinese", e al suo approccio "scevro di pregiudizi" Chávez è il "capo di stato più popolare nell'intero mondo arabo.
E a differenza di quanto fa il Venezuela in solidarietà con la Palestina occupata, il Governo Italiano invita il ministro degli esteri israeliano Lieberman., che sarà a Roma il 4 maggio. Contro la venuta in Italia del leader del partito ultrasionista e antipalestinese Israel Beitenu, oggi alle 17.30 presso la sede di Carta, in Via dello Scalo di San Lorenzo 67, si terrà una assemblea cittadina per discutere le opportune iniziative di protesta e contestazione.

Europee: presentata la lista comunista e anticapitalista

di Pietro Anastasio
Una Lista anticapitalista e comunista per dare una risposta chiara e “di sinistra” alla crisi, la cui soluzione non può essere affidata a coloro che l’hanno prodotta. Un progetto politico, quello che riunisce sotto un unico simbolo Rifondazione Comunista, il Pdci, Socialismo 2000 di Cesare Salvi e i Consumatori uniti, che nasce in occasione delle Europee 2009, ma che “avrà una sua continuità nel parlamento di Strasburgo e in Italia con un coordinamento permanente delle forze che lo compongono”.
Questi i punti cardinali della lista con la falce e martello, snocciolati dal segretario nazionale del Prc, Paolo Ferrero, in occasione della conferenza stampa di presentazione dei candidati alla tornata elettorale di giugno.
Espressione dei partiti e delle associazioni che vi hanno aderito, la formazione comunista vedrà tuttavia una folta rappresentanza della società civile con oltre il 50 per cento delle candidature di indipendenti. Consistente, inoltre, la presenza delle donne, circa il 42 per cento, e delle realtà operaie dei più importanti distretti industriali italiani. Tra questi ultimi spiccano Ciro Argentino, della ThyssenKrupp di Torino, Antonello Mulas dello stabilimento Fiat Mirafiori, Cinzia Colaprico della Zanussi di Forlì, la bracciante agricola, Nicoletta Bracci, Ciccio Brigati dell’Ilva di Taranto, Domenico Loffredo della Fiat di Pomigliano e Andrea Cavola, rappresentante sindacale per l’ Sdl in Alitalia. Su questa rappresentanza nella Lista anticapitalista, si sofferma il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, il quale cita un caso emblematico di attacco ai diritti dei lavoratori. “Argentino, insieme ad altri trenta operai della Thyssen, hanno fatto causa all’azienda per avere giustizia per i loro compagni morti nel rogo dello stabilimento torinese. Guarda caso – sottolinea il numero uno del Pdci – loro non sono tra i pochi che non sono stati riassunti. Fino a quando si verificheranno situazioni di questo tipo, ci sarà la necessità di una forza politica comunista” ha concluso Diliberto.
“I candidati nelle nostre liste sono tutti compagni e compagne, espressione di lotte, preparati al lavoro parlamentare ed assolutamente eleggibili” specifica Ferrero. Non vi sono, insomma, “specchietti per le allodole” e incompatibilità di cariche, i cittadini possono star sicuri – ha detto in sintesi il segretario di Rifondazione – che il loro voto andrà a candidati veri.
Andando ai capilista, le circoscrizioni del Nord-ovest e del Sud vedono in testa l’eurodeputato uscente Vittorio Agnoletto, al Centro il segretario del Pdci Diliberto, nel Nord-est la storica esponente del movimento femminista e pacifista, Lidia Menapace, e nelle isole l’astrofisica Margherita Hack. Tra gli altri candidati, spiccano inoltre, il responsabile esteri del Prc, Fabio Amato, Haidi Giuliani, un esponente del mondo della sinistra cristiana come Raniero La Valle, il costituzionalista Massimo Villone, l’attrice Rom, Diana Pavlovic, Bassam Saleh della comunità palestinese in Italia (“per far assumere all’Europa le sue responsabilità sul tema dei due popoli due Stati” ha sottolineato Ferrero), l’ex sottosegretaria al Lavoro, Rosi Rinaldi, e l’esponente dell’Unione Inquilini, Vincenzo Simoni.
Obbiettivo primario, il superamento del 4 per cento della soglia di sbarramento. Una meta assolutamente raggiungibile, afferma Cesare Salvi, stando “ai primi segnali positivi che ci vengono dalla campagna elettorale, le cui iniziative svolte fino ad oggi hanno visto una partecipazione molto consistente”.
Da Ap Com
"I nostri candidati sono tutti eleggibili, tutti in grado di fare i parlamentari europei, da noi non ci sono specchietti per le allodole". Paolo Ferrero presenta così i candidati di Prc-Pdci e Socialismo2000 alle elezioni europee per la lista Comunista Anticapitalista, durante una conferenza stampa con Oliviero Diliberto e Cesare Salvi.
Non ci sarà il segretario, tra i candidati alle europee "il mio lavoro è già abbastanza arduo", e nemmeno Cesare Salvi che preferisce lasciare spazio ad altri esponenti della sua formazione politica: "Io ho già una lunga esperienza politica".
Il leader del Pdci invece correrà come capolista nella Circoscrizione Centro e dietro Lidia Menapace nel Nord Est.
"L'altra volta non si è candidato e siamo andati male perciò stavolta abbiamo insistito", ha scherzato Salvi sulla candidatura di Diliberto. Capolista al Nord Ovest e al Sud sarà Vittorio Agnoletto, europarlamentare uscente del Prc, Margherita Hack, l'astrofisica, guiderà la lista nelle Isole.
Nelle liste comuniste il 50% dei candidati non sono iscritti ai partiti e c'è il 42% di donne, ci saranno anche Heidi Giuliani, Alberto Burgio, docente universitario, Diana Pavlovic, attrice Rom, Massimo Villone, Bassam Saleh, della comunità palestinese, Esaq Suad Omar Sheik, della comunità somala, Giusto Catania, europarlamentare uscente, lo scrittore Valerio Evangelisti, Orfeo Goracci, sindaco di Gubbio. Tanti gli operai candidati: Ciro Argentino, della Thyssen Krupp, Antonello Mulas della Fiat Mirafiori, Cinzia Colaprico della Zanussi, Nicoletta Bracci, bracciante agricola, Ciccio Brigati, dell'Ilva di Taranto, Domenico Loffredo della Fiat di Pomigliano, Andrea Cavola della Sdl Alitalia.
"Nonostante la censura mediatica - ha sottolineato Salvi - la partecipazione alle nostre iniziative è folta e combattiva, penso che la sinistra debba avere una sua autonomia dal Pd, l'altra componente della sinistra - ha aggiunto riferendosi a Sd - sostiene Bassolino, Renzi e Penati alle amministrative, io, pur rispettandoli, la penso diversamente. Dove è possibile ci si allea ma dove prevale il moderatismo meglio avere la propria autonomia e propri candidati".
"Dobbiamo abituarci a parlare con una voce sola" è l'auspicio di Diliberto che ha denunciato il fatto che Ciro Argentino insieme ad altri trenta operai che hanno fatto causa alla Thyssen sono gli unici a non essere stati riassunti: "Fino a quando chi si batte per i diritti resta disoccupato ci saremo noi a combattere contro queste ingiustizie". Infine il leader del Pdci si è scherzosamente rivolto ai giornalisti presenti: "Votate per noi, è l'unico voto utile".

Lista completa dei candidati alle elezioni europee 2009

CIRCOSCRIZIONE NORD-OVEST 19

1 VITTORIO AGNOLETTO - Europarlamentare uscente
2 GIOVANNI PAGLIARINI - Lombardia (MI) - Responsabile Lavoro PdCI
3 HAIDI GAGGIO GIULIANI - Liguria (GE) - Insegnante in pensione
4 MARGHERITA HACK - Astrofisica
5 CIRO ARGENTINO - Piemonte (TO) - Operaio ThyssenKrupp
6 ALESSANDRO BORTOT - Valle d'Aosta - Figura storica sinistra valdostana, ex- cons regionale, cooperativa “lo pan ner”, Espace Populaire, commercio equo solidale
7 PATRIZIA COLOSIO - Lombardia (BS) - tra le fondatrici dell'ass. Pianeta Viola , lunga esperienza nella formaz. su tematiche inerenti al genere e all'orientamento sessuale
8 MARINA FIORE - Piemonte (NO) - Protagonista movimento contro produzione caccia f35
9 OMBRETTA FORTUNATI - Lombardia (MI) - Consigliera provinciale
10 RITA LAVAGGI - Liguria (GE) - Insegnante, Sinistra europea, comitati ambientalisti
11 ALEANDRO LONGHI - Liguria (GE) - Ex parl DS e poi PdCI, pensionato FF.SS
12 ENRICO MORICONI - Piemonte - Consigliere regionale Uniti a Sinistra
13 ANTONELLO MULAS - Piemonte (TO) - Delegato Fiom Mirafiori
14 PAOLA NICOLI - Lombardia (MI) - Ricercatrice Cti
15 ESAHAQ SUAD OMAR SHEIK - Piemonte (TO) - Comunità somala, intermediatrice culturale
16 DIJANA PAVLOVIC - Lombardia - Attrice Rom
17 ROSANGELA PESENTI - Insegnante di Storia e Letterature nella scuola Superiore, Analista Transazionale e formatrice, dirigente nazionale dell'Udi fino al 2003, autrice di saggi e narrativa
18 DANIELA POLENGHI - Lombardia (CR) - Assessore comunale
19 ERMANNO TESTA - CIDI nazionale

CIRCOSCRIZIONE NORD-EST 13

1 LIDIA MENAPACE - Pacifista
2 OLIVIERO DILIBERTO - Segretario nazionale PdCI
3 ALBERTO BURGIO - Docente Storia della filosofia contemporanea presso l'Università di Bologna, autore di numerose pubblicazioni
4 FRANCESCA ANDREOSE - Veneto (PD) - Insegnante
5 ANNAMARIA BURONI - Veneto (VE) - Pres. Ass. Contromobbing (2000 aderenti) con sportello pubblico in collaboraz con la Prov di VE e in collaboraz con i Comuni di VE, RO, TV, VR
6 CINZIA COLAPRICO - Emilia Romagna (FC) - Operaia Zanussi di Forlì, cassintegrata, RSU, componente del direttivo regionale della FIOM
7 PIA COVRE - Friuli Venezia Giulia - Attivista impegnata per i diritti civili, ambientalista e pacifista. Fondatrice del comitato per i diritti civili delle prostitute
8 VALERIO EVANGELISTI - Emilia Romagna - Scrittore
9 EMILIO FRANZINA - Veneto (VI) - Prof Storia Contemporanea Verona,Cons provinciale Vicenza PRC PDCI e movimento No Dal Molin
10 IGOR KOCIJANCIC - Friuli Venezia Giulia (TS) - Consigliere regionale
11 SERGIO MINUTILLO - Friuli Venezia Giulia (TS) - Primario cardiologo Ospedale Trieste
12 SARA SBIZZERA - Veneto (VR) - Traduttrice
13 LOREDANA VISCIGLIA - Emilia Romagna (RE) - Insegnante

CIRCOSCRIZIONE CENTRO 14

1 OLIVIERO DILIBERTO - Segretario nazionale PdCI
2 FABIO AMATO - Responsabile Esteri PRC
3 MARIA ROSARIA MARELLA - Umbria (PG) - Docente Universita' Perugia
4 RANIERO LA VALLE - Sinistra cristiana
5 ANDREA CAVOLA - Lazio - Rappresentante sindacale SDL, cassintegrato Alitalia
6 ROSA (ROSI) RINALDI - Lazio (RM) - Direzione nazionale PRC
7 PAULA BEATRIZ AMADIO - Segretaria provinciale PRC Ascoli Piceno
8 NICOLETTA BRACCI - Toscana - Bracciante agricola
9 ORFEO GORACCI - Umbria (PG) - Sindaco di Gubbio
10 GIUSEPPE MASCIO - Umbria (TR) - Assessore regionale Lavoro
11 MARIO MICHELANGELI - Lazio (FR) - Segretario regionale PdCI, ex assessore regionale
12 BASSAM SALEH - Lazio (RM) - Comunità palestinese
13 VINCENZO SIMONI - Toscana (FI) - Presidente nazionale Unione Inquilini
14 LUIGI TAMBORRINO - Lazio (RM) - Centro sociale Rialto

CIRCOSCRIZIONE SUD 18

1 VITTORIO AGNOLETTO - Europarlamentare uscente
2 MASSIMO VILLONE - Professore universitario, costituzionalista
3 GIUSTO CATANIA - Europarlamentare uscente
4 LAURA MARCHETTI - Puglia (BA) - Ambientalista, docente Università Foggia
5 CICCIO BRIGATI - Puglia (TA) - Operaio Ilva
6 NICOLA CATALDO - Basilicata (MT) - Avvocato
7 PELLEGRINO DEL REGNO - Campania (AV)
8 SANDRO FUCITO - Campania (NA) - Consigliere comunale al Comune di Napoli
9 LUCIO LIBONATI - Sinistra europea
10 DOMENICO LOFFREDO - Campania (NA) - Operaio del circolo FIAT di Pomigliano, attivo nelle proteste delle ultime settimane
11 ANTONIO MACERA - Abruzzo (TE) - Segretario regionale PdCI
12 CARMELA MAGLIONE - Campania (NA) - Insegnante
13 GIUSEPPE MERICO - Puglia (LE) - Segretario regionale PdCI
14 GIOVANNI PISTOIA - Calabria (CS) - Autore di pubblicazioni, Presid Fondazione C. De Luca (onlus che si occupa di Letteratura per l’infanzia )
15 AMEDEO ROSSI (detto LOREDANA) - Campania (NA) - Transessuale, Cantieri Sociali, operatrice Cooperativa Dedalus di Napoli, attiva nelle battaglie contro le logiche securitarie
16 MICHELANGELO TRIPODI - Calabria (RC) - Assessore regionale
17 BERNARDO TUCCILLO - Campania (NA) - Ass. prov. al Lavoro a Napoli
18 DANIELE VALLETTA - Puglia (BR) - Consigliere comunale Brindisi

CIRCOSCRIZIONE ISOLE 8

1 MARGHERITA HACK - Astrofisica
2 GIUSTO CATANIA - Europarlamentare uscente
3 ANNA BUNETTO - Scrittrice, pedagogista
4 ALESSANDRO CORONA - Sardegna (NU) - Sindaco di Atzara
5 RENATA GOVERNALI - Sicilia (CT) - Pedagogista, scrittrice
6 PIERPAOLO MONTALTO - Sicilia (CT) - Segretario Federazione PRC Catania
7 LINA RUSSO - Sicilia (SR) - Operatirice sanitaria
8 LAURA STOCHINO - Sardegna (CA) - Ricercatrice, insegnante precaria

PCL: No al G8 a L'Aquila - Portate altrove le macerie del vostro sistema

Già da tempo era chiaro, che in un momento di calo di popolarità del suo governo, Silvio Berlusconi avesse scelto la tragedia del terremoto abruzzese per fare passerella. Visite continue, aria da finto padre di famiglia angosciato, promesse di ricostruzione elargite a piene mani e a favore di telecamera, lacrime ai funerali, retorica nauseante, insomma tutto l'armamentario classico del circo berlusconiano.
Poi ieri, il tanto atteso consiglio dei ministri all'Aquila (altra trovata scenica) che in teoria, doveva dire parole chiare e soprattutto fornire numeri certi, circa la ricostruzione del nostro capoluogo di regione. Sul fronte dell'impegno di spesa il governo ha stimato che occorreranno otto miliardi di euro, per altro cifra incoerente con quanto detto finora dai vari ministri e dallo stesso premier, ma è sul versante delle entrate che la cosa si è fatta grottesca. Si è come sempre chiarito, “che non si metteranno le mani in tasca agli italiani” e poi, al momento di indicare le entrate per coprire un impegno di spesa così ingente (un media finanziaria), si è parlato di lotterie, di lotta all'evasione, di scudo fiscale, insomma di aria fritta. Tanto alla fine della fiera, pagheranno come sempre i lavoratori dipendenti.
Nemmeno una parola sulle corresponsabilità delle imprese costruttrici e degli amministratori, neanche nella forma blanda di un avallo all'opera della magistratura, tempi di ricostruzione che da rapidissimi sono diventati ragionevolmente medi. Per concludere e per compensare la dura realtà a fronte del sogno spacciato per settimane ci voleva la trovata ad effetto, e la premiata ditta Berlusconi-Bertolaso, ha estratto dal cilindro il numero ad effetto: il trasferimento del G8 dalla Maddalena all'Aquila. Sulle ragioni della decisione, non c'è bisogno di fare elucubrazioni. Berlusconi, che non ha più vergogna di nulla le ha spiegate candidamente.
L'Aquila, con il suo attuale scenario di macerie, è il palcoscenico ideale per un summit che cade in una fase di crisi drammatica del capitalismo e i contestatori saranno scoraggiati a manifestare in un simile contesto di rovine (riconoscendo implicitamente a chi si oppone, maggiore umanità di quanta ne dimostrino i governi degli otto paesi più industrializzati del pianeta). Il cinismo e la viltà della scelta sono talmente evidenti da non meritare ulteriori commenti (discorso a parte meriterebbero gli avalli alla scelta del governo, ottenuti dai sindacati e dalle cosiddette opposizioni), per parte nostra, promettiamo al premier tutto il nostro impegno per organizzare contro il vertice la più larga contestazione possibile, puntando a coinvolgere per prime le popolazioni colpite dal dramma del terremoto e ora, usate come scudo da un governo criminale.

VENITE PURE - L'ABRUZZO VI ASPETTA.

Sinistra Critica: La sfida del G8

Berlusconi spiazza tutti ma noi dobbiamo costruire un Controvertice

E' evidente che la "mossa" di Berlusconi di spostare il vertice G8 a l'Aquila costituisce una novità con cui fare i conti e, dal nostro punto di vista, un'opportunità. Berlusconi, non abbiamo dubbi, non ha particolare apprensione per la sorte dei terremotati. L'Aquila gli ha offerto un'occasione per ovviare ai problemi logistici presenti alla Maddalena e, soprattutto, per sfruttare sul piano della propaganda un evento, il G8, che sembrava condannato alla marginalità. Dopo il mezzo fallimento del G20 a Londra nessuno pensa che da quel vertice possa venire un granché ai fini della risoluzione della crisi economica globale e sempre di più si fa strada l'idea che la crisi non possa essere risolta da chi l'ha provocata. La "parata" tra le macerie abruzzesi, invece, può servire a dare un'immagine dei "Grandi" intenti a occuparsi delle sofferenze dei popoli e quindi più vicini alla "gente", più intrisi di sofferenza. Una trovata propagandistica evidente che, lo ripetiamo, spiazza comunque tutti e tutte e costringe, in particolare noi, a un surplus di iniziativa e di inventiva. E' chiaro che la "passeggiata" di Obama tra le tende o tra i prefabbricati dell'Aquila potrebbe essere l'immagine-simbolo del vertice e Berlusconi farà di tutto per ricercare qualcosa di simile. Che fare dunque?
Il movimento, che in realtà non esiste in forma strutturata e organizzata, è sembrato piuttosto spiazzato. Abbiamo assistito a una presa di posizione molto cauta da parte dell'Arci e a una serie di voci disparate per quanto riguarda altri settori. Certamente, la prima cosa da fare è trovare una sede condivisa per assumere un orientamento comune e una direzione di marcia partecipata e non riservata agli specialisti del settore. Una riunione nazionale quindi da concordare con l'Aquila - e per quanto ci riguarda da concordare con la rete Epicentro Solidale - si impone. Resta il problema di che fare.
Intanto noi pensiamo che non ci sia spazio per esitazioni. Occorre organizzare un Controvertice.
Occorre cioè spezzare subito la pretesa del G8 di decidere per tutti e di ergersi a governo mondiale. Tanto più dopo che le sue ricette sono alla radice della crisi economica che sta strozzando il pianeta.
Un Controvertice da organizzare, previa discussione e consenso delle strutture abruzzesi, a l'Aquila durante lo svolgimento del vertice ufficiale.
Bisognerebbe lavorare a un progetto importante in cui il movimento antiglobalizzazione o quello che ne resta provi a trasformarsi in un movimento "Anticrisi" a inverare, cioè, quell'efficace parola d'ordine coniata dall'Onda che dice "noi la crisi non la paghiamo". Del resto, Berlusconi non sta facendo di tutto per far dimenticare la crisi? La gestione del 25 aprile, quella del terremoto, i toni più concilianti con il Pd, nascondono la volontà di evitare qualsiasi tipo di opposizione e di fare in modo che di tutto si discuta meno che della crisi. Tanto più che Tremonti, Bankitalia, Confindustria e chi più ne ha più ne metta, stanno spargendo ottimismo a piene mani su un'ipotetica uscita dalla crisi. Una grande menzogna com'era tale la negazione della crisi stessa fino allo scorso autunno.
Un controvertice per parlare della crisi, delle guerre, dello scempio ambientale che provoca disastri come quello dell'Aquila, per costituire un "epicentro solidale" a livello mondiale e quindi coinvolgendo il movimento altermondialista di tutto il mondo. Questo è quello che, nel nostro piccolo, possiamo cercare di aiutare a fare.
Un controvertice, quindi, unitario, politicamente rilevante, di impatto sociale e che si leghi alla specificità del terremoto. Un controvertice che preveda una manifestazione, da stabilire nel luogo e nella forma, consapevoli delle difficoltà abruzzesi e con un approccio "laico" alla questione perché spesso l'assedio alla zona rossa si traduce in una forma di azione avanguardista. Insomma, si tratta di valutare, di fare scelte unitarie e partecipate così come si tratta di assediare le tante zone rosse quotidiane come fanno gli operai francesi contro gli uffici dei manager o come hanno fatto i comitati territoriali contro Grandi opere mortali come il Ponte o la Tav.
Il punto che ci sta particolarmente a cuore è se, a partire anche dal G8, ricostituiamo una sede unitaria di movimento per provare a costituire un argine contro la crisi del capitalismo e i suoi gestori. Di questo argine, di un'opposizione alla "vera destra", quella che vuol fare pagare la crisi a lavoratori, lavoratrici e precari/e, in Italia c'è un disperato bisogno. Il vertice G8, e il necessario controvertice, costituisce un'occasione in questo senso.

Perù dà asilo a un 'oppositore' venezuelano, crisi diplomatica tra i due paesi

di Grazia Orsati
Il governo peruviano ha accordato ieri l’asilo politico a Manuel Rosales, il dirigente della opposizione venezuelana che, dopo essere stato accusato dalla magistratura di Caracas di arricchimento illecito, era fuggito dal paese rifugiandosi appunto in Perù. Il governo venezuelano ha richiamato il proprio ambasciatore ed ha avviato una "revisione integrale" delle sue relazioni con Lima. Il ministero degli Esteri di Caracas ha detto che la decisione del governo peruviano "costituisce una presa in giro del diritto internazionale, un duro colpo alla lotta contro la corruzione e una sfida al popolo venezuelano". Il cancelliere venezuelano, Nicolas Maduro aveva fatto sapere lunedì di aver consegnato all'Interpol peruviana tutta la documentazione per sostenere la richiesta di cattura di Rosales, accusato di "arricchimento illecito" tra il 2002 e il 2004 quando era governatore di Zulia.
C’è poi da ricordare che Manuel Rosales aveva partecipato al colpo di Stato del 2002, firmando il decreto che nominava il golpista Pedro Carmona nuovo Presidente della Repubblica.
Il Perù, insomma, dà rifugio a golpisti accusati di furto, ma certo è uno dei pochi paesi latinoamericani ad agire ancora così. Negli ultimi anni l’aria è decisamente cambiata in America Latina e, grazie anche all’esempio di dignità e indipendenza del popolo e del governo cubano, ormai il continente si è incamminato su tutt’altra strada.
E sono iniziate ad arrivare le prime reazioni alla vittoria del presidente dell’Ecuador Rafael Correa. Il quotidiano cubano Granma parla di vittoria “storica e inedita perché dal 1976 nessun candidato aveva vinto al primo turno”; dal Nicaragua, il presidente Daniel Ortega ha elogiato Correa per il risultato elettorale, “un successo indubbio per il movimento e il popolo ecuadoriano”; il Costa Rica ha espresso “le sue più calorose congratulazioni al presidente eletto e al popolo ecuadoriano per aver contribuito al consolidamento della democrazia”; congratulazioni sono giunte anche dal segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani, il cileno José Miguel Insulza; da Caracas, il presidente venezuelano Hugo Chávez ha telefonato a Correa per felicitarsi “della netta e storica vittoria” ricordando “il processo popolare costituente che ha permesso all’Ecuador di vivere una tappa di rifondazione democratica in modo pacifico”. Parlando ieri con la stampa estera, il presidente Correa si è detto certo che la sua vittoria rappresenti “un forte appoggio al cambiamento epocale che si vive in America Latina” in riferimento allo spostamento politico a sinistra affermatosi negli ultimi anni nella regione.

Abruzzo e Acerra: le bugie hanno le gambe corte (come Berlusconi...)

di Marina D'Ecclesiis
Ieri, visita a sorpresa di Silvio Berlusconi a Napoli per dimostrare che nonostante il terremoto, non si è dimenticato della monnezza.
Ma la presenza del Premier è stata contestata proprio da due studenti abruzzesi. “Non devi venire in Abruzzo. Ci stai rovinando” hanno urlato. Berlusconi stava per parlare ai giornalisti quando sono arrivate le urla di dissenso dei due giovani che dicevano di essere arrivati dall’Abruzzo appositamente per protestare contro l’operato del governo. Poi sono seguite le urla dalla piccola folla radunatasi, ma questa volta su turismo e posti di lavoro. Berlusconi vista la piega che stava prendendo la situazione si è immediatamente allontanato per volare al brindisi del figlio Piersilvio a Portofino mentre i due giovani sono stati fermati e identificati dalla Digos.
“L’inceneritore di Acerra funziona benissimo, l’inquinamento è vicino allo zero. Abbiamo lì un prototipo che è molto utile, che dovremmo riedificare in tante altre regioni d’Italia” queste le parole del premier per rassicurare i cittadini campani. Ma ancora una volta fatti e parole non coincidono: l’inceneritore di Acerra non è funzionante. Nonostante l’inaugurazione del 26 Marzo quando Berlusconi schiacciò davanti le telecamere il vistoso bottone rosso dell’accensione affiancato dal commissario per l’emergenza rifiuti Bertolaso che rassicurò i cittadini: “oggi entra in funzione il termovalorizzatore” il sito, oggi, appare deserto. Sembra che l’impianto non sarebbe nemmeno in grado di produrre energia elettrica, in quanto secondo il contratto sottoscritto dalla cooperativa Partenope la centrale non sarà attiva prima di Dicembre. Tutto ciò testimoniato dalle telecamere dell’Osservatorio ambientale della presidenza del consiglio puntate sul sito che trasmettono immagini di un luogo fermo, in via di allestimento. Ma già da un mese la situazione era stata denunciata dai comitati contro l’impianto e la “Rete campana rifiuti e ambiente” che avevano denunciato la mancata accensione dei forni.“
Il presidente continua a mentire agli italiani” afferma l’avvocato Tommaso Esposito, “l’inceneritore deve essere collaudato e ci vorranno mesi prima che possa bruciare le 6mila tonnellate di rifiuti annue, così come previsto” e conclude “ non che la cosa ci dispiaccia, per noi questo ecomostro deve restare spento, ma non si vuole ammettere che è stata solo un’operazione mediatica”. È risaputa infatti la pericolosità degli inceneritori che immettono nell’atmosfera sostanze come monossido di carbonio, ossidi di azoto e quantità di diossina riconosciuta nel 97 come cancerogena. Ma nonostante i seri
rischi che comportano questi impianti, il governo continua ad investire in questa forma di smaltimento dei rifiuti e annuncia che preso si darà il via alla costruzione di altri 3 impianti. Tutto a scapito della raccolta differenziata, ceh non solo non è mai partita in interi quartieri di Napoli, ma che a livello regionale ha registrato un forte decremento. “Era chiaro dall’inizio che al governo non interessava la raccolta differenziata”, denunciano dalla Rete campa rifiuti zero. “Più rifiuti si immettono nei forni di Acerra, e maggiori sono i guadagni delle lobby degli inceneritori. Lo dimostrano anche i progetti per altri impianti che superano la capacità di produzione regionale e che intendono importare rifiuti da altre regioni”.
Insomma raccolta differenziata sempre più a rilento, inceneritori non funzionanti e discariche che si riempiono sempre più. Oggi, infatti, si teme che le discariche possano riempirsi nel giro di pochi mesi e che con l’autunno possa tornare la fase critica dell’emergenza con l’immondizia di nuovo per strada. Perché sia chiaro, l’emergenza non è mai stata superata. I rifiuti sono nascosti tra le menzogne del governo e presto potranno tornare a galla.

Dittatura: in Uruguay oltre 300.000 firme contro la legge di amnistia

“Riflettiamo il sentimento di una vasta maggioranza di uruguayani che sostengono la democrazia, di una mobilitazione cittadina che si è elevata oltre i partiti politici per promuovere una causa nazionale contro l’impunità, la tortura e il terrorismo di stato”. Il sindacalista Luis Puig ha consegnato con queste parole al parlamento di Montevideo oltre 330.000 firme raccolte dal Coordinamento per l’annullamento della ‘Ley de Caducidad’, con cui furono evitati i processi ai militari e ai poliziotti accusati di violazioni dei diritti umani durante la dittatura (1973-1985). “L’Uruguay deve costruire un nuovo modello in base a valori e principi in cui la giustizia sia un elemento essenziale e non negoziabile di fronte a crimini di lesa umanità” gli ha fatto eco l’avvocato esperto in diritti umani Oscar López Goldaracena, alla presenza di un migliaio di persone, tra legislatori, parenti delle vittime del regime, attivisti.
Oggi la Corte elettorale comincerà l’esame delle firme: se saranno giudicate valide, la ‘Ley de Caducidad’ verrà sottoposta a un nuovo referendum in programma il 25 ottobre, in concomitanza con le elezioni presidenziali. Approvata nel 1986 e ratificata da una prima consultazione popolare nel 1989, la legge di amnistia è stata giudicata di recente “incostituzionale” da governo e parlamento perché viola l’articolo 8 della Costituzione che stabilisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. “Il popolo uruguayano non si merita una legge di impunità come quella che abbiamo. Spero con forza che venga annullata” aveva detto la scorsa settimana il presidente Tabaré Vázquez, primo capo di stato di sinistra nella storia del paese eletto nel 2004; il suo governo aveva già escluso alcuni casi di ‘desaparecidos’ dalla copertura della legge di amnistia, consentendo l’apertura di inchieste nei confronti di nove ex-militari, degli ex-dittatori Gregorio Alvarez (1981-1985), Juan Maria Bordaberry (1973-1976) e dell’ex-ministro degli Esteri Juan Carlos Blanco.

Usa, la crisi restringe le città. Ovunque aumentano le tendopoli

Nonostante le continue rassicurazioni da parte delle autorità politiche ed economiche di diversi paesi e delle istituzioni internazionali, la crisi economica che ha colpito l'economia capitalista non solo non accenna a rientrare, ma anzi alcuni segnali avvertono che le conseguenze andranno ben al di là dei problemi economici momentanei che stiamo vivendo.
Le fabbriche licenziano in massa o chiudono, le case perdono valore e vengono abbandonate, i quartieri perdono rapidamente abitanti. Già vittima di dinamiche economiche in atto da anni, ulteriormente colpite dalla recessione attuale, alcune città degli States hanno intenzione di combattere la loro crisi accettando il fatto compiuto; e per rinascere, o almeno non morire, intendono restringersi. Tra queste c'è anche Flint, nel Michigan, dove è nato Michael Moore.
Già venti anni fa il regista, nel film "Roger and me", aveva documentato il declino anche demografico della sua città, vittima della crisi dell'industria automobilistica. Da quel periodo, però, la situazione è peggiorata. Flint, che negli anni Sessanta aveva raggiunto i 200mila abitanti, oggi conta poco più di 110mila persone: gli stabilimenti della General Motors hanno licenziato oltre il 90% della forza lavoro, facendo diventare la città uno dei simboli della "Rust Belt", la fascia industriale del nord-est che non ha saputo reinventarsi dopo la chiusura delle sue grandi fabbriche. Il problema è che la superficie di Flint non è cambiata. Così ora il sindaco Michael Brown sta mettendo a punto i progetti di restringimento, che dovrebbero trovare spazio nel nuovo piano regolatore. L'idea è quella di concentrare gli abitanti in aree popolate al cento per cento. Gli 88 km quadrati di Flint sono ormai troppi per una popolazione che si è dimezzata in pochi anni: ci sono quartieri dove i mezzi per la raccolta settimanale della spazzatura, per esempio, raccolgono un solo sacchetto, con evidente spreco di denaro pubblico. Lo stesso discorso vale per l'illuminazione stradale, per i servizi di posta, per il trasporto pubblico.
A Youngstown, una città nell'Ohio che per decenni è stato il terzo polo dell'acciaio negli USA, sono più avanti: tra gli anni ‘30 e ‘70, la popolazione di Youngstown si aggirava sui 170mila abitanti, oggi non arriva a 70mila. L’amministrazione comunale offre fino a 50mila dollari in incentivi per convincere i residenti nelle aree semi-abbandonate a lasciare le proprie case.
Funzionerà? Non tutti ne sono convinti, specialmente per le possibili complicazioni pratiche. "Cosa succede quando una struttura di potere prevalentemente bianca sceglie sezioni della città a prevalenza afro-americana, per diventare pascoli verdeggianti?", si legge su FlintExpats.com, il sito dei giovani fuggiti da una città senza più prospettive. Inoltre, nel crollo del mercato immobiliare c'è chi ha comprato casa in quartieri apparentemente senza speranza, in molti casi speculatori che non abitano tra le mura appena acquistate: saranno anche loro invogliati alla vendita con incentivi pubblici?

L'esperimento di Flint e Youngstown è guardato con attenzione, perché è visto come un possibile esempio del futuro che attende molte periferie statunitensi. Decenni di carburante a prezzi economici hanno alimentato un modello di sviluppo che ha portato al boom dei suburbs, i quartieri di villette e giardini privati così comuni anche nell'immaginario fornito dai film hollywoodiani. La crisi economica, e lo shock dell'impennata del prezzo del petrolio l'anno scorso, hanno fatto proliferare studi e articoli sulle possibili trasformazioni dei centri abitati verso una maggiore concentrazione territoriale.
Intanto, anche se non se ne parla, come durante la Grande depressione degli anni Trenta, negli Stati Uniti tornano le tendopoli: da New York a Los Angeles e da Seattle a St. Petersburgh in Florida, decine di migliaia di disoccupati senza tetto vivono nelle bidonville o Hooverville come furono chiamate dal nome di Hoover, il presidente del crollo di Wall Street del ‘29. Il fenomeno è così esteso che in molti casi le autorità cittadine non sanno neanche esattamente il numero di persone che vivono sotto una tenda invece che sotto un tetto. Il New York times ha visitato Fresno in California, e vi ha scoperto tre tendopoli, ciascuna con oltre 100 abitanti. La prima, sotto una sopraelevata, si chiama New Jack city dal titolo di un film del ’91 sui senzatetto, la seconda, in un campo della periferia, Little Tijuana perché popolata soprattutto da messicani, la terza, in un parcheggio, Village of Hope, Villaggio Speranza. Le prime due tendopoli sono in condizioni disastrate, l’ultima è la più dignitosa, consiste di minuscoli monolocali di legno donati dalla Poverello house, un’associazione di beneficenza. «Questa gente non trova lavoro». Secondo Richard Stoops della Coalizione dei senzatetto, le tendopoli sono destinate ad aumentare. «La situazione sanitaria è seria ci sono malati privi di cure la povertà e la violenza sono in aumento. Molti comuni, anche socialmente impegnati, non hanno più mezzi per aiutare i baraccati». Sui senzatetto in America non esistono statistiche attendibili il loro numero varierebbe da 1 milione e mezzo a 3 milioni.

GM licenzia 21.000 lavoratori, Chrysler taglia salari e fondo sanitario: la crisi colpisce solo i lavoratori

Alessio Calamita
Chiusura di molte concessionarie negli States e taglio drastico del numero dei lavoratori. Sono questi gli elementi costitutivi del nuovo piano di ristrutturazione presentato ieri dalla General Motors. La casa automobilistica ha spiegato che taglierà 21 mila posti di lavoro e chiederà all'amministrazione Obama di acquistare una quota di azioni dell'azienda pari alla metà del debito che il gruppo ha contratto con lo Stato. Al sindacato andrebbe invece, in cambio degli obblighi che G.M. ha nei suoi confronti, il 39%, della società. Chiuderanno molte fabbriche, ci saranno meno operai e impiegati e sparirà il marchio Pontiac. Ma soprattutto, la nuova General Motors avrà governo e sindacati come maggiori azionisti con l'89% del capitale. Sempre che Gm ce la faccia a evitare la bancarotta, da to che servono altri 11,6 miliardi di dollari di fondi pubblici.
E si trova ad un passo dalla svolta epocale anche l’americana Chrylser, che potrebbe vedere consegnato nelle mani dei sindacati il pacchetto azionario di maggioranza, pari al 55%: una svolta che segnerà comunque il ridimensionamento della capacità produttiva di questo settore dell’industria Usa, con inevitabili e pericolose ricadute occupazionali. La maggioranza assoluta del capitale della nuova Chrysler, il 55%, sarà in mano al sindacato dei lavoratori dell'auto Uaw, mentre alla Fiat, che dovrebbe investire nel gruppo americano 8 miliardi di dollari, spetterà il 35% e il restante 10% al governo statunitense e ai creditori dell'azienda. Continua quindi il conto alla rovescia per l’alleanza tra la Fiat e la Chrysler, in vista del termine di giovedì fissato dal presidente Barack Obama p er concedere altri 6 miliardi di dollari alla casa di Detroit. Il sindacato Uaw, la potente organizzazione americana dei lavoratori dell'auto, ha raggiunto l'accordo con le due società e con il governo americano per la riduzione del costo del lavoro. L'accordo comprende modifiche al contratto collettivo e alla struttura dei vantaggi sociali di cui beneficiano gli operai. Secondo il Wall Street Journal, l’accordo prevede la sospensione degli aggiornamenti dei salari sull'andamento dell'inflazione, mentre le ore di straordinario non potranno superare le 40 ore a settimana. Il giorno festivo di cui gli operai beneficiano solitamente per Pasqua sarà soppresso nel 2010 e nel 2011.
Il sindacato si prenderebbe in carico l’assicurazione malattia degli operai in pensione da Chrysler attraverso un fondo, chiamato Veba, che sarà dotato di 4,6 miliardi di dollari. Il costruttore vi verserà 300 milioni nel 2010 e nel 2011, ma i versamenti potranno raggiungere 823 milioni tra il 2019 e il 2023. Il Wall Street Journal ha anche anticipato che i sindacati statunitensi della Chrysler avrebbero accettato tagli del 50% del contributo da 10 miliardi di dollari che l’azienda avrebbe dovuto versare in contanti al fondo sanitario dei lavoratori in cambio di azioni a favore dei prestatori di lavoro. Oltre a ciò, i lavoratori rinuncerebbero a quote di salario aggiuntivo (ad esempio il bonus di Natale) e del salario orario. I risparmi sul fronte del costo del lavoro anche in Canada dovrebbero ammontare a quasi 200 milioni di dollari Usa. L'accordo prevede inoltre che i lavoratori in esubero non incasseranno più la maggior parte del loro salario, ma riceveranno dalla società una retribuzione integrativa pari al 50% della loro retribuzione lorda. Come sempre, in quello che è oramai considerato un &ldquo ;grande gioco finanziario mondiale”, a rimetterci sono sempre e solo i lavoratori.

lunedì 27 aprile 2009

Palermo: nel giorno della Liberazione botte ai disoccupati

Nel pomeriggio di sabato a Cagliari polizia e carabinieri in assetto antisommossa hanno caricato alcune decine di antifascisti che cercavano di contestare uno squallido corteo dell’estrema destra in onore dei caduti della Repubblica Sociale fascista. A Palermo a fare le spese della repressione nella giornata della Liberazione sono stati i disoccupati, che protestavano sotto al Comune del capoluogo siciliano. Uno dei manifestanti e' stato fermato dalla Polizia. Durante la protesta alcuni manifestanti si sono cosparsi di benzina minacciando di darsi fuoco, altri si sono incatenati davanti Palazzo delle Aquile e qualcuno si è persino legato una corda intorno al collo per impiccarsi.
Qualche giorno fa gli stessi disoccupati hanno occupato un padiglione industriale adibito al trattamento differenziato dei rifiuti, finito di costruire da un paio di anni dall'amministrazione comunale e dalla municipalizzata AMIA ma lasciato poi nell'abbandono, per rivendicarne l'utilizzo a fini sociali.
A far scattare la protesta un vertice rimandato tra dirigenti dell'Amia (l'azienda di igiene ambientale), i capigruppo al Consiglio comunale e una delegazione dei disoccupati. L'incontro avrebbe dovuto sciogliere il nodo della loro regolarizzazione. Al momento, infatti, i raccoglitori di ferro e cartone sono circa 4 mila e svolgono la loro attività illegalmente e se fermati rischiano l'arresto per via delle nuove norme varate recentemente dall'amministrazione comunale. Già venerdì avevano bloccato la discarica di Bellolampo, impedendo con i propri camion il conferimento dei rifiuti e 41 di loro sono stati denunciati per manifestazione non autorizzata e interruzione di pubblico servizio.

Ecuador. Correa esulta: “La rivoluzione è in cammino e nessuno la fermerà”

di Grazia Orsati
Ieri, domenica, gli ecuadoriani sono andati alle urne per le elezioni generali anticipate come previsto dalla nuova Costituzione entrata in vigore lo scorso ottobre. Una tornata elettorale che rinnoverà tutto il Paese, sia a livello amministrativo sia legislativo. E il Presidente uscente, Rafael Correa, padre della nuova Costituzione, ha vinto.
Dopo lo scrutinio di circa il 40% delle schede, Correa può contare sul 51% dei consensi. Molto distante l’ex-presidente Lucio Gutiérrez, che supera di poco il 27% e l’imprenditore Alvaro Noboa, fermo al 12,19%.
Dopo la storica approvazione di una Costituzione che ha gettato le basi di un Paese fondato sul rispetto dei diritti umani e dell'identità indigena, una Costituzione che guarda alle classi deboli e ha una nuova idea di welfare, dalla scuola alle pensioni, ai servizi di base, l'Ecuador ieri è andato alle urne per concretizzare la sua nuova identità e il voto ha dimostrato che gli ecuadoriani sono intenzionati a dare un ulteriore sonoro schiaffo all'oligarchia.
Gli ecuadoriani sostengono Correa anche nella linea dura e coraggiosa in politica estera, la linea di un governo che non si è piegato a compromessi e che ha avuto il coraggio di imporsi agli Usa, sostenuto dai paesi amici latinoamericani come il Venezuela. In particolare nella gestione della crisi seguita all'attacco colombiano del 1° marzo 2008 in territorio ecuadoriano, posizioni ribadite da Correa al suo omologo colombiano, Alvaro Uribe, in occasione del V° vertice dell'Oea a Trinidad e Tobago.
La vittoria di Correa rafforza la politica di opposizione ai Trattati di Libero Commercio con gli Stati Uniti, l’opposizione alla presenza dei militati USA nella base di Manta, l’opposizione al libero mercato. Si consolida inoltre il processo di integrazione latinoamericana.
Nel commentare la vittoria, Correa ha sottolineato come i cittadini abbiano deposto nelle urne il consenso ad un modello economico solidale, caratterizzato dalla supremazia dell’essere umano sul capitale e sul mercato, ha anche fatto riferimento alla crisi dell’economia mondiale e alle sue ripercussioni sull’Ecuador. Secondo Correa la congiuntura internazionale conferma il “successo” delle politiche del suo governo, fondate su aumento della spesa pubblica e sostegno alle fasce deboli; si è poi impegnato a continuare su questa strada, favorendo lo sviluppo dell’economia popolare e fornendo sanità ed istruzione gratuita. “La Rivoluzione è in cammino e nessuno la fermerà” ha concluso il Presidente Correa.