venerdì 8 maggio 2009

Fabbrica Incerta

«Siamo vasi di coccio»
di Loris Campetti
Radiofabbrica trasmette programmi in tedesco che annunciano disastri: a Mirafiori le tute blu temono che il conto della globalizzazione Fiat venga presentato a loro. I sindacati chiedono un incontro immediato ad azienda e governo

Radio officina fa rimbalzare da un reparto all'altro di Mirafiori avvertimenti preoccupanti provenienti dagli stabilimenti Opel dell'Assia: achtung, achtung, stanno per saltare un po' di stabilimenti in Europa, un paio in Italia. Uno a sud, precisa la stampa tedesca, uno a nord. A nord? Ma come: Marchionne non aveva detto che Mirafiori sarebbe stato l'ultimo stabilimento a chiudere, in caso di difficoltà? E poi, dove stanno le difficoltà, visto che la Fiat sta facendo shopping di multinazionali in mezzo mondo? Ce l'avrà mica con noi, il salvatore della patria? Questo dicevano ieri le tute blu torinesi al cambio turno, leggendo il volantino distribuito dai sindacalisti e dai delegati della Fiom che si interroga sul futuro degli stabilimenti italiani della Fiat, compreso il cuore antico di Mirafiori.
C'è chi pensa che non si debba prestare troppa attenzione ai messaggi provenienti in questi giorni dalla Germania, «fanno parte del gioco». Ma anche chi minimizza fa sogni che sembrano incubi. «C'è grande preoccupazione in fabbrica», dice il segretario della V lega Fiom di Mirafiori, Vittorio De Martino: «Marchionne non è più circondato dall'aureola e non è più percepito come il santo salvatore: «Qui rischiamo di fare la fine dei vasi di coccio in mezzo a quelli di ferro, dicono ai cancelli e in assemblea gli operai». I numeri sono tiranni: tra la crisi del 2002 e l'inizio della ripresa del 2005, i lavoratori occupati nel perimetro di Mirafiori sono crollati da 27 mila a 15 mila. Nel 2008, da uno stabilimento con una capacità produttiva di 500 mila vetture ne sono uscite solo 140 mila, rispetto a una produzione italiana di 630 mila automobili, un terzo del totale prodotto dal Lingotto nel mondo. Dai piani alti della Fiat si lascia intendere che non sarà necessario chiudere stabilimenti in Italia, basterà «asciugarli» un po'. Si asciuga il sudore, normalmente, e in effetti sono gli operai quelli che sudano, dunque la metafora fastidiosa ha una sua ragion d'essere. «Che vuoi asciugare ancora? Tutti quelli che potevano uscire, tra pensionamenti e mobilità, sono già stati messi fuori», consedera con amarezza il segretario torinese della Fiom, Giorgio Airaudo che teme per l'auto, ma anche per la Iveco che è messa ancora peggio e le solite voci d'officina ventilano persino una cessione dell'intero comparto dei camion. E teme per la Cnh e i suoi stabilimenti a Torino e in Italia (Emilia, Marche, Puglia). Ieri i lavoratori della Cnh di San Mauro, in perenne cassa integrazione, hanno manifestato davanti alla sede Rai di Torino.
Si preoccupano lavoratori, sindacati, istituzioni. Il sindaco del capoluogo piemontese Sergio Chiamparino chiede una verifica alla Fiat, un piano industriale che garantisca una difesa dell'occupazione dentro il processo di riorganizzazione che la globalizzazione del Lingotto pretende. Anche il presidente della Campania Antonio Bassolino, che ospita nel suo territorio la fabbrica sotto tiro di Pomigliano, chiede un incontro immediato con la Fiat. Incredibile a dirsi, si è fatto vivo il governo italiano dopo settimane di silenzio e dopo che Marchionne aveva incontrato i governi di mezzo mondo promettendo a tutti la difesa degli stabilimenti e dell'occupazione. Più che battere un colpo, il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola ha mandato una letterina a Marchionne e Montezemolo per «preannunciare» un incontro, presenti i sindacati, per discutere le prospettive dell'azienda. Un governo serio - tipo quello tedesco o quello americano, per intenderci - si limiterebbe a convocare azienda e sindacati, come questi ultimi chiedono inutilmente da mesi. Altro che letterina, dice il coordinatore Fiom del settore auto, Enzo Masini. Il quale crede poco praticabile una linea di rottura di Marchionne basata sulla chiusura di stabilimenti e operai licenziati: «Solo un anno fa abbiamo fatto un accordo per Termini Imerese e l'Unione europea ha concesso finanziamenti per gli investimenti e per la produzione di un nuovo modello». Le notizie - e i rumors, «normali» in una trattativa difficile - provenienti dalla Germania, ma anche dai mercati e dagli ordinativi stagnanti di automobili, sono comunque inquietanti, aggiunge Masini, che almeno una buona notizia può darcela: «Il 13 ci vedremo a Francoforte con la Ig-Metal e incontri sono in programma con i sindacati del Belgio, della Gran Bretagna, della Svezia...». Cioè dei paesi in cui la Opel ha i suoi stabilimenti. E' impensabile, e sarebbe perdente, una risposta fabbrica per fabbrica alla strategia globale della Fiat e delle altre multinazionali. Se non altro questa crisi costringe i sindacati dei vari paesi a confrontarsi, alla ricerca di una strategia comune
Il 16 a Torino arriverà da tutt'Italia la protesta dei lavoratori Fiat per una manifestazione promossa da tutti i sindacati dei metalmeccanici. Non è accettabile che l'unico modo per portare l'industria dell'auto fuori dalla crisi sia quello che prevede il massacro sociale. Dietro parole come sinergia si nascondono licenziamenti e chiusure di fabbriche. Se Marchionne dovesse decidere di penalizzare gli stabilimenti italiani, dice il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, si aprirebbe un pesante scontro sociale. Giorgio Cremaschi arriva a dire che se la Fiat dovesse chiudere Pomigliono, sarebbe necessario l'intervento dell'esercito.

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