Tensioni e cariche davanti il liceo Michelangelo di Firenze. In una giornata indetta dalla Rete dei collettivi per protestare contro la soppressione degli spazi autogestiti da parte del preside. Dopo il corteo per vie della città era previsto un pranzo autogestito a cui doveva quindi seguire un'assemblea degli studenti e delle studentesse sulla questione degli spazi. Arrivati dinnanzi il liceo i manifestanti hanno trovato chiuso, il che, insieme alla militarizzazione dell'area da parte della polizia, ha fatto inevitabilente salire la tensione. Il presidio studentesco che si è formato davanti il liceo è stato più volte caricato dalle forze dell'ordine, per disperderlo. Il reparto mobile durante le diverse cariche in via della Colonna ha fermato una decina di studenti, 2 sono rimasti feriti.
Nel pomeriggio di sabato a Cagliari polizia e carabinieri in assetto antisommossa hanno caricato alcune decine di antifascisti che cercavano di contestare uno squallido corteo dell’estrema destra in onore dei caduti della Repubblica Sociale fascista. A Palermo a fare le spese della repressione nella giornata della Liberazione sono stati i disoccupati, che protestavano sotto al Comune del capoluogo siciliano. Uno dei manifestanti e' stato fermato dalla Polizia. Durante la protesta alcuni manifestanti si sono cosparsi di benzina minacciando di darsi fuoco, altri si sono incatenati davanti Palazzo delle Aquile e qualcuno si è persino legato una corda intorno al collo per impiccarsi. Qualche giorno fa gli stessi disoccupati hanno occupato un padiglione industriale adibito al trattamento differenziato dei rifiuti, finito di costruire da un paio di anni dall'amministrazione comunale e dalla municipalizzata AMIA ma lasciato poi nell'abbandono, per rivendicarne l'utilizzo a fini sociali. A far scattare la protesta un vertice rimandato tra dirigenti dell'Amia (l'azienda di igiene ambientale), i capigruppo al Consiglio comunale e una delegazione dei disoccupati. L'incontro avrebbe dovuto sciogliere il nodo della loro regolarizzazione. Al momento, infatti, i raccoglitori di ferro e cartone sono circa 4 mila e svolgono la loro attività illegalmente e se fermati rischiano l'arresto per via delle nuove norme varate recentemente dall'amministrazione comunale. Già venerdì avevano bloccato la discarica di Bellolampo, impedendo con i propri camion il conferimento dei rifiuti e 41 di loro sono stati denunciati per manifestazione non autorizzata e interruzione di pubblico servizio.
di Giorgio Trasarti Solventi chimici, diossina e persino arsenico nelle acque dei comuni campani. I risultati dei test effettuati dalla US Navy in 166 abitazioni, prese in affitto dalle famiglie dei militari Usa di stanza nel napoletano e nel casertano, delineano un gravissimo scenario di contaminazione chimica e biologica delle risorse idriche locali. "Sono altissime le concentrazioni di componenti organiche volatili in undici abitazioni di Casal di Principe", scrive il Comando della Marina che ha ordinato lo sgombero immediato del personale ivi ospitato ed il suo trasferimento nella base di Gricignano. Mentre Casal di Principe viene dichiarata "off limits", l'accertata presenza di agenti chimici in "quantità inferiori" nelle abitazioni occupate dai militari USA ad Arzano, Marcianise e Villa Literno ha determinato la "sospensione temporanea degli affitti" in questi tre comuni. Il composto inquinante rilevato nelle acque è il tetracloroetene, anche noto come tetracloroetilene o PCE, utilizzato come solvente e per la produzione di pesticidi. Scarsamente biodegradabile, è assai nocivo per l'uomo e per l'ambiente. Inalato, deprime il sistema nervoso centrale e produce sintomi simili a quelli dell'ubriacatura da alcolici: mal di testa, confusione, difficoltà nella coordinazione motoria, riduzione delle percezioni tattili. L'esposizione a grandi percentuali di solventi volatili organici clorati (denominati VOC) può compromettere le capacità di risposta immunitaria e, nel caso di una gravidanza, il corretto sviluppo del feto. Esposizioni prolungate possono inoltre condurre al danneggiamento dei tessuti epatici, renali e del sistema nervoso centrale. Il tetracloroetilene è considerato oltretutto un agente cancerogeno. In che modo il PCE sia finito nei rubinetti di alcuni comuni campani è cosa tutta da accertare. Per i medici statunitensi l’inquinamento sarebbe legato principalmente alla combustione illegale dei rifiuti nelle strade e nelle discariche della Campania. Gli "inaccettabili livelli" del solvente riscontrati dalla US Navy hanno imposto immediatamente l'allontanamento da Casal di Principe di undici famiglie statunitensi. Una misura che non ha preoccupato invece minimamente gli amministratori locali: la popolazione civile continua infatti ad essere rifornita di acqua contaminata. Il rilevamento di pericolose quantità di componenti chimiche nell’acqua e nel suolo di alcuni comuni, era stato preannunciato dal Comando USA già nell’autunno 2008 sul settimanale Panorama distribuito tra il personale militare. Sembra invece che della questione non siano state informate le autorità sanitarie italiane, e gli amministratori locali si sarebbero guardati bene dal richiedere copia dei dati dell’indagine. Omessa anche la notizia del rilevamento di un altro pericolosissimo veleno: si tratta dell'arsenico, particolarmente utilizzato in agricoltura come pesticida, erbicida ed insetticida. A rivelare che nelle acque campane scorre arsenico è stata la moglie di un ufficiale statunitense, Maria Ortiz, che ha ottenuto nel mese di giugno di essere trasferita con la famiglia in un nuovo alloggio della base USA di Gricignano. Qualche mese prima il Comando di Napoli aveva comunicato verbalmente al marito che i test effettuati nella sua residenza a Villa Literno avevano evidenziato la presenza di "alti livelli di arsenico e altri pericolosi agenti chimici". Un esame successivo confermò i "risultati del campione preliminare con una presenza consistente di tetracloroetene", senza però fare più cenno all'arsenico. Maria Ortiz decise allora di rendere pubblico quanto riscontrato nel test originario. “I valori di arsenico dispersi nel suolo nella mia abitazione – ha dichiarato Maria Ortiz - erano 40 volte più grandi di quelli che l'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente degli Stati Uniti, considera come una minaccia potenziale in caso di un periodo espositivo di trent'anni. I risultati delle analisi dell'acqua erano ancora peggiori. L'arsenico eccedeva il limite di ben 180 volte”.
Per far fronte a quella che è a tutti gli effetti una vera e propria emergenza idrica, il Comando di Napoli, contemporaneamente alla sospensione degli affitti in quattro comuni campani, ha richiesto ai proprietari dei circa 2.000 immobili che ospitano militari USA di farsi carico dell'installazione di contenitori d'acqua e potabilizzatori, pena la rescissione dei contratti già stipulati. Nel frattempo ad ogni singolo membro delle famiglie statunitensi sono distribuiti giornalmente 4 litri di acqua minerale in bottiglia, intervento che solo negli ultimi due mesi è costato al Dipartimento della Difesa 263.000 dollari. Il Comando dell’US Navy ha deciso di avviare una seconda fase di analisi che interesserà altre 210 abitazioni del personale statunitense sparse tra la provincia di Napoli e quella di Caserta. La lista dei comuni sotto osservazione è lunghissima e l’esito dei test di laboratorio è previsto per la fine del 2009. In Italia, la legge considera i rifiuti contenenti tetracloroetene come "rifiuti pericolosi". Tali rifiuti, recita il Decreto legislativo del 2006 in merito alle norme in materia ambientale ( DL 3 aprile 2006, n.152 - art.184), non devono essere smaltiti in fognatura. È lecito a questo punto chiedersi quale trattamento verrà riservato anche in futuro al resto della popolazione civile campana, che continua ad utilizzare inconsapevolmente acqua al tetracloroetene.
di Osservatorio sulla repressione Sono le cinque del pomeriggio quando una cinquantina di compagni raggiunge piazza Gramsci, punto d'arrivo della manifestazione indetta da tutte le sigle della destra cagliaritana e autorizzata dal Prefetto. Ad attendere gli antifascisti circa cento poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. Già in prossimità della piazza scattano i controlli e le identificazioni. Vista l'impossibilità di concentrarsi nella piazza antistante la via Sonnino, i compagni decidono di spostarsi nella vicina Piazza Costituzione. Da qui, in circa centocinquanta, si dirigono nuovamente verso la Piazza Gramsci, intenzionati a contrastare la lugubre marcia dei fascisti che sfilano per commemorare i caduti della R.s.i e chiedere l'abolizione del 25 Aprile. Sono circa le 18 e i fascisti stanno per muoversi dalla Piazza Garibaldi, distante circa mezzo chilometro dal luogo in cui si trovano gli antifascisti. In quel momento, dalla piazza Gramsci, una quarantina di poliziotti e diversi blindati avanzano lentamente verso i compagni. Quando questi ultimi sono "a vista" scatta la carica a freddo: negli ultimi trenta metri i poliziotti si scagliano contro i manifestanti che riescono, comunque, a resistere per svariati minuti alla pressione delle forze dell'ordine. Letta la situazione, alcuni cittadini scendono dai palazzi per frapporsi tra la polizia e i manifestanti aggrediti. Intanto i manganelli hanno causato lesioni a cinque persone, una di queste ha riportato la frattura del setto nasale. A questo punto i compagni decidono di spostarsi in corteo, non autorizzato (come non era autorizzato il presidio delle cinque visto che la piazza era già stata 'promessa' ai fascisti), verso la Piazza del Carmine dove la sera si festeggerà la Liberazione. Un corteo, peraltro, molto ben riuscito sul piano della comunicazione. Quando i resistenti si trovano nella via Roma, i fascisti avanzano per la via Sonnino in direzione del monumento ai martiri delle Foibe, a loro tanto caro, dove di fatto hanno poi deposto un cippo per commemorare i repubblichini. In circa centocinquanta, arrivati da tutta la regione, hanno marciato con i loro tricolori e le loro aquile grazie alla connivenza delle istituzioni locali. Da notare come nessuna sigla specifica sia stata mostrata a favore di uno striscione unitario "Onore ai caduti della RSI". Una tetra e cupa aria di morte e tristezza è scesa su quella zona del centro di Cagliari. Un primo bilancio della situazione porta a dire due cose: innanzitutto c'è stata una forte reazione da parte degli antifascisti cagliaritani che hanno provato in tutti i modi a contrastare quella che è da considerarsi una vera e propria marcia della vergogna, riuscendo infine a portare la propria voce per le strade della città. In secondo luogo è da sottolineare come, da due anni a questa parte, i fascisti del capoluogo sardo non si accontentino più di sventolare i simboli dell’infamia inscenando un presidio statico presso la Basilica di Bonaria come era loro abitudine. E questo è un dato su cui riflettere. Insomma, il 25 Aprile a Cagliari è stato due cose al contempo: una pagina nera e una giornata di resistenza.
Cagliari, un 25 aprile di resistenza! La giornata di oggi segna un solco profondo con la tradizione cagliaritana di gestione del 25 aprile, fatta di commemorazioni e passeggiate che convivevano con la presenza fascista in città indisturbata e protetta da un ingente numero di forze dell'ordine. Da numerosi anni, infatti, due anime popolano le piazze del 25 aprile: da una parte il corteo istituzionale per celebrare la festa della liberazione dal nazi-fascismo, dall'altra, nelle scalinate della basilica di Bonaria, tutta la destra sarda composta da un centinaio di persone che commemora i caduti della R.S.I.. Negli ultimi due anni i fascisti hanno osata di più senza trovare particolari resistenze, il 25 aprile infatti da due anni organizzano un corteo da piazza Garibaldi a Piazza Gramsci dove risiede il monumento ai caduti. Il solco sta tra la decisione dei vari partiti e del comitato antifascista che organizza la giornata del 25 aprile di non porre al centro dell'attenzione l'agibilità politica che da parte di questura, prefettura e comune viene concessa a Fiamma Tricolore, Forza Nuova e la anomala Azione Giovani, e la risolutezza che quest'anno hanno avuto studenti e lavoratori autorganizzatisi per tentare di bloccare i fascisti. L'appuntamento era per un'ora e mezza prima del concentramento di continuità ideale, la sigla che creano i fascisti per il 25 aprile, ma già a quell'ora, le 17.00, un grosso dispiegamento di polizia mandava via la prima quarantina di compagni prendendo ad alcuni di essi le generalità. Gli antifascisti si spostano nella poco più lontana piazza costituzione incontrando nelle vicinanza alcuni fascisti che se la danno a gambe levate. A quel punto al ricompattamento gli antifascisti scendono nuovamente verso via Sonnino e si attestano a 200 metri dall'approdo del corteo pro repubblichini. Lo striscione rinforzato arriva giusto in tempo per l'arrivo della celere che senza pre-avvertimento carica brutalmente il presidio degli studenti che a quel punto sarà stato di un centoventi, centocinquanta di persone. La carica della polizia dura diversi minuti ma, forse per la prima volta a Cagliari, il presidio regge senza fuggire e senza arretrare, contando "solo" cinque feriti nonostante negli occhi dei poliziotti le intenzioni fossero ben peggiori. Il presidio a quel punto si trasforma in un corteo non autorizzato (come non autorizzato era il concentramento in piazza Gramsci, già concessa ai fascisti) che attraversa le vie centrali dello shopping cagliaritano comunicando alla cittadinanza quanto appena venuto e indicandone nella questura e nella prefettura i responsabili. Il corteo si scioglie, ancora rabbioso, in piazza del Carmine dove si svolge il concerto finale dei festeggiamenti per la Liberazione, alcuni compagni salgono sul palco per raccontare quanto appena successo riscontrando l'applauso dei partecipanti. Dopo le contestazioni al corteo per ricordare le foibe a Febbraio ed anche lì scontri con la polizia, ci rimane un 25 aprile di resistenza anomalo ma carico di significato e di prospettiva per la citta' di Cagliari, abituata a subire in silenzio l'onta di veder sfilare i fascisti.
Video-interviste agli operai della Saint-Gobain: da PisaNotizie.it
La crisi inizia a mordere e a farsi sentire anche sul tessuto produttivo italiano. I territori ad alta concentrazione manifatturiera vedono chiudere fabbriche su fabbriche con l'attivazione (quando va bene) di cassa integrazioni o (nel peggiore dei casi) con il puro e semplice licenziamento. Due giorni fa uno sciopero spontaneo e il conseguente blocco dell'Aurelia da parte di centinaia di operai è stata la ripsota a caldo che quei lavoratori hanno saputo improvvisare per opporsi ai 70 licenziamenti che la multinazionale francese Saint-Gobain ha comunicato in mattinata. La situazione è molto tesa e, se il sindacato nell'assemblea di fabbrica non illude i lavoratori che hanno protestato autonomamente, sono previste grosse mobilitazioni.
Saint Gobain: cronaca di un disastro annunciato di associazione Aut-aut Dopo la comunicazione, terribile e improvvisa, di 77 licenziamenti all'interno della fabbrica Saint Gobain di Pisa, da stamattina i lavoratori della fabbrica sono in sciopero, e alternano a picchetti di fronte allo stabilimento blocchi dell'Aurelia. Ma come si è arrivati a questa situazione? Senza ripercorrere le complesse tappe di questa vicenda, basti ricordare che la Saint Gobain e il Comune di Pisa, durante il mandato del Sindaco Fontanelli, avavano firmato un accordo che prevedeva da parte del Comune la concessione di una variante urbanistica che permetteva alla fabbrica la dismissione di un’area dello stabilimento, e da parte dell’azienda l’impegno a investire 100 milioni di euro in cinque anni sul forno Float, operazione che avrebbe offerto garanzie occupazionali per gli operai della fabbrica. Il risultato di questo “affare”, per la Saint-Gobain, è stato l’ incasso, nell’immediato, più di 20 milioni di euro, attraverso la dismissione di un’area ceduta alla società di costruzioni Ville urbane, che utilizzerà l’area, pare, per costruire palazzi di 7 piani. E per il Comune, ovvero per i lavoratori che dovevano essere i principali beneficiari dell’accordo, quali sono stati i benefici di questa operazione? Ieri ai lavoratori è stata comunicata la notizia che non esiste alcun investimento sul forno Float che, al contrario, entro luglio sarà spento. Il risultato saranno 77 licenziamenti, dei quali 45 lavoratori a tempo indeterminato e 22 interinali. Il risultato è insomma che mentre un’azienda che fattura milioni di euro si è potuta arricchire ancora un po’, incassando 20 milioni di euro da una società che a sua volta probabilmente incasserà una cifra ancora più alta grazie alle speculazioni che potrà portare avanti sull’area acquistata (siamo sicuri, tra l’altro, che verranno costruiti palazzi di sette piani in un’area come quella della Saint Gobain?), 77 lavoratori hanno perso il proprio lavoro. Domani il Consiglio Comunale di Pisa discuterà la proposta del consigliere comunale Maurizio Bini di dedicare un consiglio comunale aperto, il 30 aprile, alla questione Saint Gobain. Come risulta chiaro infatti, il Comune di Pisa non ha certo un ruolo secondario nella faccenda. E' realistico, infatti, immaginare che il Comune si sia accorto solo ieri, insieme ai lavoratori, che il famoso investimento da 100 milioni di euro promesso dall’azienda in cambio della variante urbanistica fosse solo un pretesto per una mastodontica operazione di speculazione immobiliare? La risposta a questa domanda è da cercare probabilmente tra le pieghe dei rapporti che legano chi ha tratto benefici da un’operazione che, ancora una volta, fa ricadere gli effetti della crisi su chi questa crisi la subisce da sempre, permettendo invece di arricchirsi a cui l’ha creata.
Le voci della Saint-Gobain: la parola degli operai da PisaNotizie.it I lavoratori della Saint-Gobain rompono il silenzio, scioperano, bloccano l'Aurelia e soprattutto si raccontano e spiegano cosa è avvenuto in questi ultimi mesi nella fabbrica.
"Ci hanno preso clamorosamente in giro" - dice un lavoratore della CRM, una ditta dell'indotto della Saint-Gobain - "la scorsa settimana avevano appeso un foglio in bacheca in cui l'azienda diceva che era tutto tranquillo, e poi ci licenziano. Ci sentiamo traditi. Noi dell'indotto siamo i primi saltare". Queste sono le prime parole che raccogliamo, appena arrivati davanti ai cancelli della Saint-Gobain durante lo sciopero. E un altro operaio che qui lavora dall'1989 incalza: "l'azienda ha negato fino all'ultimo, venerdì ci raccontavano che non si sarebbe fatta più la settimana corta e che i contratti a termine sarebbero stati rinnovati", e un altro operaio lo interrompe: "per forza, avevano deciso già di mandarci tutti a casa da tempo, da molto tempo". "Il male vero" - ci racconta un altro lavoratore anziano - "è che non si sa cosa vogliono fare. Il problema è se il nuovo Float verrà fatto oppure no: tutto il resto sono chiacchere, e di queste siamo stufi. La mia impressione è, però, che la situazione è brutta e che non ci attende nulla di positivo". Un operaio lo interrompe: "a noi dicono che si naviga a vista, ma come è possibile che una multinazionale va avanti così senza una strategia?". Aggiunge un altro lavoratore: "che sarebbe finita così si sapeva da mesi, non si sono voluto vedere le cose per quelle che erano, si sa che politica fanno le multinazionali." Un altro operaio che lavora allo stratificato da più di dieci anni ci spiega: "in tutti questi anni abbiamo acquisito delle professionalità in questa fabbrica. L'azienda ha guadagnato su di noi. Da quando sono qui, la Saint-Gobain ci ha chiesto sempre una maggiore disponibilità: lavoro interinale, straordinari di sabato e di domenica e noi abbiamo accettato. Ora ci dicono che c'è la crisi e ci mandano tutti a casa". Un altro lavoratore aggiunge "nel mio reparto, ci hanno chiesto gli straordinari anche il sabato fino al 31 gennaio, alla faccia della crisi. L'azienda si è riempita i magazzini, in modo da avere riserve per anni, e ora che ci ha spremuto bene ci butta via. Occorre porre un freno a queste multinazionali che pongono al centro solo il profitto". "Io ho lavorato il 24 dicembre, il 31 dicembre di quest' anno e ora mi dicono che c'è la crisi - afferma un operaio - A noi dicevano: lavorate e le cose miglioreranno. Il risultato è che spengono il Float e ci licenziano". Interviene un terzo: "qui licenziano il 30% di noi, basta coi patti con l'azienda, è tanti anni che ci strozzano", e c'è chi urla: "hanno marciato sulla crisi per avere gli incentivi, hanno guadagnato loro e basta". Insieme con gli operai della Saint-Gobain ci sono i lavoratori della CRM (una sessantina), ma anche quelli delle cooperativa delle pulizie, poco meno di una trentina. Uno di questi ci dice: "è da gennaio di quest'anno che lavoro a 6 ore, prendo 750-800 euro al mese, e non ho né cassa integrazione, né alcun ammortizzare sociale. Se ci licenziano abbiamo solo la disoccupazione davanti a noi. Questa è una schifezza. Cosa ci faccio con 800 euro al mese con tutta la famiglia a carico mio?" A scioperare ci sono anche i contrattisti della Saint-Gobain. Uno di questi ci racconta, mentre blocca un camion davanti all'ingresso dei cancelli: tanto se il camion entra, poi non può scaricare perché io e gli altri che svolgiamo questa mansione siamo qui a scioperare: è da tre anni che mi rinnovano annualmente il contratto. Se un lavoratore si vuole licenziare deve dare un preavviso all'azienda, invece la Saint-Gobain ci manda tutti a casa da un giorno all'altro". In tantissimi vogliono parlare degli accordi del 2007 che l'azienda non ha rispettato. "Da 30 anni lavoro in questa fabbrica" - dice un operaio, mentre fa avanti e indietro sulle strisce pedonali dell'Aurelia - "gli accordi fatti nel 2007 erano chiari, parlavano di un nuovo Float da 800-850 tonnellate, addirittura superiore a quello attuale che ormai ha più di 14 anni e sta funzionando oltre il dovuto. Non capisco i sindacati, e domando: "dov'è il nostro sindacato? Il sindacato doveva sapere queste cose e bisognava muoversi prima, invece ogni volta c'era una scusa e non si è fatto nulla". La discussione sul sindacato attraversa gli operai con sfumature molto diverse. C'è chi ne sostiene l'operato e chi lo critica, sostenendo "che in questi anni è venuto a mancare, non è stato con i lavoratori", ma tutti ora dicono che "l'importante è farsi sentire tutti insieme". Un altro operaio, che da 35 anni lavora nello stabilimento, incalza però sulle responsabilità della politica: "noi abbiamo un credito con la politica. La Saint-Gobain ha ricevuto e fatto soldi grazie a una variante urbanistica del Comune, per cui è riuscita a vendere un campo di patate come se fosse oro. Hanno preso milioni di euro, e chi ha beneficiato di questi soldi? Ora ce li devono restituire." In molti ripetono: "il sindaco ha permesso all'azienda di fare profitti, e di fargli fare soldi, ora il comune si deve impegnare per far ritornare quei soldi". Un operaio è ancora più esplicito sulla vendita di quello che tanti lavoratori della fabbrica chiamano "un campo di patate": "l'azienda ha preso milioni di euro e secondo molte voci che girano sostengono che su questa area c'è una speculazione edilizia. Provo a spiegarmi: se vendi delle case davanti ad una fabbrica attiva, le vendi ad un certo prezzo, ed anche chi le vende ci guadagna una certa cifra. Ma se la fabbrica è chiusa, le case le vendi molto meglio e a un prezzo molto più alto e anche chi ha comprato l'area alcuni anni fa potrebbe aver fatto i suoi conti." Un operaio osserva: "a Pisa si parla tanto di turismo, ma se la gente non lavora, non c'è il turismo. Non si va mica in giro se uno non ha un lavoro". Un altro operaio più giovane aggiunge: "il sindacato da solo non ce la può fare, questa deve essere una battaglia di tutta la città. Saint-Gobain è la storia di Pisa, e Pisa finisce se non viene rifatto il Float. Da questo impianto dipende la vita e il futuro di migliaia di famiglie". Un altro lavoratore, quando stiamo per andare via, ci chiede di parlare: "Noi vogliamo un programma scritto, chiarezza, non si può più vivere di voci. Il nuovo forno lo fanno o ci mandano tutti a casa?"
di Simone Di Stefano SIRACUSA - La solita girandola di cifre sui presenti, tra chi minimizza riducendo il corteo ad una scampagnata e gli organizzatori che invece parlano di numeri consistenti. Se la verità è nel mezzo allora i presenti al contro-corteo del G8 di Siracusa di ieri erano alcune migliaia. E chi si aspettava vetrine in frantumi e cassonetti rigirati stavolta sarà rimasto deluso perché mai come oggi la scia di manifestanti ha regolarmente concluso il suo percorso nella più risoluta compostezza. Eppure la giornata non era iniziata nel migliore dei modi. L'arresto di un cittadino polacco colto in possesso di un coltello non aveva fatto altro che alimentare le paure dei negozianti ignari degli appelli del sindaco Roberto Visentin a sedare gli «inutili allarmismi», tanto che stamattina per il centro di Siracusa diverse erano le serrande abbassate. Il corteo è però partito da Piazza Sgarlata senza arrecare danno a nessuno. Presenti come di consueto i soliti caschi blu, i manganelli e la Polizia a cavallo, ma stavolta nessun intervento e solo ordinaria amministrazione. A parte un allarme bomba in tarda serata ieri, che ha destato i visi tirati dal sonno dei poliziotti. Tutto rientrato dopo che gli artificieri hanno fatto brillare il contenitore, che altro non era se non una vecchia cassa acustica. «La scelta di Siracusa limita la partecipazione a livello nazionale. Quindi qui sono presenti soprattutto giovani siciliani. Siamo qui per manifestare il nostro forte dissenso rispetto alla dissennata politica ambientale che ci propinano i partecipanti del G8», ha spiegato l'ex parlamentare e leader dei no global, Francesco Caruso, alla testa del corteo. Molte le sigle: Prc, Sinistra e Libertà, No dal Molin, Cobas e anche migranti africani richiedenti il permesso di soggiorno. Una folta rappresentanza di Rifondazione ha accompagnato il corteo fino all'ingresso di Ortigia, dove si svolge il vertice internazionale sull'ambiente e dove era prevista la conclusione della manifestazione. Oltre a Ramon Mantovani (direzione nazionale Prc), anche il segretario regionale Luca Cangemi, che ha lanciato una frecciata a chi temeva incidenti. «A Siracusa - ha affermato Cangemi - è stato diffuso un terrore ingiustificato della nostra iniziativa che ha colpito e preoccupato la città. Ma ciò nonostante dalla Sicilia sono arrivate delegazioni da tutte le nove province. Siamo contenti comunque che il nostro contro-vertice, due giorni di incontri tra associazioni varie, abbia avuto un grande successo riuscendo a mettere insieme tutte le più grandi vertenze ambientali e sociali dell'isola». Nel frattempo 19 ministri discutevano, approvavano, rimandavano. Contento il ministro dell'ambiente danese, Connie Hadegaard, che ritiene «questo G8 un passo avanti rispetto ai precedenti incontri». Poi continua, «dovrebbe arrivare un messaggio molto chiaro ai capi di stato alla Maddalena a luglio». Contenta del vertice anche Lega Ambiente che ha apprezzato la Carta sulla biodiversità che ne è scaturita. Ma poi c'è anche chi crede che «da 40 anni questi signori girano per il mondo per dire che c'è un problema ambientale ma loro stessi non hanno alcun interesse a bloccarlo», ha spiegato Francesco Caruso. A giudicare dal dolce girar circense il leader no-global non è troppo lontano dal vero. A forum ancora in corso, infatti, già si guarda alla prossima conferenza sulla protezione della biodiversità che si terrà ad Atene il 27 aprile e ultima in ordine di tempo arriva anche la decisione che il G8 della Maddalena è stato spostato a L'Aquila. Così i Summit internazionali diventano nomadi …
di Alessandra Fava Aveva un contratto del trasporto come autoferrotranviere ma di fatto lavorava nel porto di Savona alle manovre di carico e scarico del carbone legate alla Funivia savonese ed è morto impegnato nelle riparazioni di un tetto del deposito di Miramare. Giovanni Genta, 54 anni, è precipitato bucando una tramezza di vetroresina del tetto, ha fatto un volo di cinque o sei metri all'interno del capannone e ha battuto la testa. E' successo tutto quando il lavoro di ripristino del tetto che faceva infiltrazioni era appena iniziato, gli altri della squadra non si sono accorti di nulla. Genta è morto nel pomeriggio di ieri all'ospedale di San Martino di Genova dove era stato portato d'urgenza. Per lui e in nome della sicurezza, contro la modifica minacciata dal governo del Testo unico sulla sicurezza varato da Prodi, oggi scioperano tutti i porti italiani, per due ore alla fine di ogni turno. Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti chiedono all'esecutivo un incontro sulla sicurezza. Intanto i dipendenti delle funivie si sono astenuti dal lavoro già ieri appena saputo dell'incidente del collega e oggi protestano dalle 7 alle 15,30. I portuali di Savona hanno deciso di aderire alle manifestazioni che prevedono oggi anche un presidio sotto l'Autorità portuale (azionista di minoranza della società della Funivia), scioperando dalle 7 di oggi alle 7 di venerdì. «Sulla sicurezza col sindacato lavoriamo in modo forte - ha dichiarato il presidente della Funiviaria Alto-Tirreno, Cristoforo Canavese, che è anche presidente dell'Autorità portuale savonese - La settimana scorsa abbiamo chiuso l'intesa sull'ultimo decreto legislativo per individuare il responsabile sicurezza, anticipando gli oneri per i terminalisti». Ma del fatto in questione, Canavese dice: «Ci sono attività che per abitudine e per confidenza vengono fatte con leggerezza», quasi come dire che la colpa è dei lavoratori. Le dichiarazioni del presidente, fatte quando l'operaio non era ancora spirato, hanno creato rabbia tra i portuali. «Purtroppo a lasciarci la pelle sono i lavoratori - dice il segretario Cgil savonese, Francesco Rossello - E' sempre facile dire che sia una loro svista, è un modo per giustificarsi». Di Genta era nella Funivia da trent'anni, conosceva l'azienda a menadito e non era la prima volta che saliva sul tetto. Ma perché è stato mandato ad aggiustare un capannone che entro il 2010 sarebbe stato abbandonato, dato che è previsto il trasloco in un altro terminal? «Genta ha messo il piede su un pannello di vetroresina che era un tapullo (riparazione di fortuna, in dialetto)», spiega un collega. Potrebbe essere così che il tetto si è aperto come un guscio. Un delegato Filt-Cgil, Cristiano Ghiglia, punta il dito anche sulla carenza di manodopera. «Fino a 20 anni fa, quando invece di 165 persone lavoravano qui più di 300 operai, c'erano reparti con forti specializzazioni: chi spezzava il carbone e lo caricava sui vagonetti per mandarli a San Giuseppe di Cairo Montenotte, a 27 km da qui, andava in aiuto a una squadra specializzata in riparazioni. Oggi non è più così».
25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo. Era il 1945 e certo i partigiani che ci hanno restituito la democrazia non immaginavano che, anni dopo, le redini della commemorazione di questa giornata le avrebbe prese il presidente Berlusconi celebrandola ad Onna centro del terremoto in Abruzzo, dove peraltro verrà celebrata anche da Roberto Fiore e dai suoi accoliti di Forza Nuova. A Roma, città medaglia d’oro alla resistenza, il sindaco Alemanno sarà all’Altare della Patria per portare una corona di alloro e poi, ha dichiarato, seguirà gli eventi istituzionali presenti in città. La storia di Alemanno la conosciamo tutti e certo un suo rifiuto di festeggiare il 25aprile sarebbe stato apprezzato dai suoi per la coerenza, dai compagni e dai sinceri democratici perché questa data non è “la festa di tutti” ma la festa di coloro che al fascismo si sono opposti e continuano ad opporsi. Persino il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, che certo non si può definire un estremista, ha dichiarato: "Difficilmente riuscirò ad avere buoni rapporti anche con Gianni Alemanno che è stato accolto al Campidoglio con i saluti fascisti". Gianni Alemanno ha risposto dicendo: "Quello che ha detto il sindaco di Parigi su di me è falso, offensivo e intollerabile". Invitiamo il sindaco a guardare i tanti filmati girati a piazza del Campidoglio la sera della vittoria elettorale, forse affacciato alla balaustra di Palazzo Senatorio, come un nuovo balcone di antica memoria, non ha visto i saluti dei suoi sostenitori. Le dichiarazioni del sindaco di Parigi hanno incrinato la patina di equidistanza del Campidoglio, ma sarebbe bastato dare un’occhiata alle ultime uscite del sindaco per capire come stanno le cose. Il patrocinio del Comune ad un’iniziativa di Casapound, ''Aver messo il logo del Comune su un'iniziativa di Casapound può essere stato un errore ma non è stato questo grande scandalo'' ha dichiarato il sindaco. Patrocinio negato invece al Gay Pride perché si tratta di una manifestazione «di tendenza», secondo quanto dichiarato da Alemanno, gli risponde Fabrizio Marrazzo presidente dell’Arcigay: “Invitiamo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a prendere parte alla manifestazione del Gay Pride. Così facendo, si renderebbe conto che non si tratta di una manifestazione di parte, ma sui diritti e le libertà di tutti.” C’è poi la questione del Teatro dell’Opera di Roma. Nicola Colabianchi, chiamato da Gianni Alemanno a supervisionare il settore artistico della commissariata Opera di Roma, è musicista dalla modesta carriera ma che può vantare l’aver diretto qualche concerto in memoria di Giorgio Almirante. Dopo aver promesso un commissariamento di pochi giorni, con la nomina di un consulente artistico Alemanno si prepara a tenere il Teatro in gestione straordinaria per lungo tempo, come era facile prevedere. Se la figura di Colabianchi desta perplessità, non sorprende che le maestranze del teatro abbiano salutato l’ex sovrintendente Ernani con un regalo.
Dal 22 al 24 aprile la città di Siracusa sarà sede del summit G8 sull’ambiente. I ministri per l’ambiente degli otto governi cosiddetti più grandi del mondo, grandi sostenitori e applicatori delle politiche liberiste, grandi inquinatori, grandi devastatori, grandi responsabili del declino inarrestabile del Pianeta e dell’oppressione dei suoi abitanti, arriveranno a Siracusa e si barricheranno dentro il castello Maniace dell’isola di Ortigia. A otto anni dalla rivolta di Genova gli 8 grandi troveranno ad attenderli, con la stessa determinazione di sempre, i movimenti che hanno riempito le piazze di tutto il mondo per opporsi al neoliberismo, allo sfruttamento, alla guerra, alla devastazione del pianeta. Sono movimenti presenti anche in Sicilia impegnati da sempre a difendere i territori, la salute, la vita, sostenere l’Antimafia Sociale, affermare i diritti fondamentali, costruire la solidarietà ai migranti, salvaguardare il valore delle differenze e le ragioni delle minoranze. Siracusa rappresenta il simbolo della distruzione ambientale e umana, causata da sfruttamento estremo del territorio in nome dello “sviluppo a tutti i costi” a esclusivo vantaggio del profitto privato e del gioco dei politicanti locali, così ben rappresentati in parlamento e al governo, poggiante su solide saldature tra massoneria, politica, mafia. La scelta di questa città come sede del summit sull’ambiente, voluto dalla ministra per l’ambiente Stefania Prestigiacomo, è paradossale perché l’area siracusana, limitrofa al triangolo della morte “Priolo-Augusta-Melilli” e all’area di Noto sfregiata dalle trivellazioni, è tra le più inquinate d’Italia e si appresta a superare ogni primato con l’arrivo di un rigassificatore e un inceneritore previsti dal governo di cui la Prestigiacomo fa parte. Non dimentichiamo che la ministra, col possesso di tre aziende di famiglia presenti nel triangolo della morte (Coemi spa, Vetroresina engineering development, Sarplast –fallita), è una vera “figlia d’arte” quanto a pertinace impegno antiambientale. È anche azionaria di un’azienda gestita dal padre (Ved), sulla cui testa incombono processi per bancarotta fraudolenta, trattamento e smaltimento illegale di rifiuti, violazione delle norme di sicurezza nei confronti dei dipendenti. Eppure, con questo curriculum, con inverosimile spudoratezza osa ergersi a paladina dell’ambiente! L’operato della famiglia Prestigiacomo ci sembra emblematico di un sistema di potere governativo. Le classi politiche che hanno amministrato questi territori possono fregiarsi di molti record negativi su scala nazionale e internazionale. Da mezzo secolo le multinazionali del petrolio e della chimica hanno inquinato aria, terra, acqua e annientato ogni forma di vita, ingannando la popolazione col miraggio del posto di lavoro. Le persone sono state e sono aggredite dai veleni, le famiglie sterminate dal cancro, la popolazione espropriata della speranza di un futuro, frustrata dall’impossibilità di consegnare un avvenire ai figli, la cui vita, come quella di ogni essere vivente dell’area siracusana, è segnata da rischio certo. Questo accade in un territorio, quello siciliano, che da sempre ha vissuto sulla propria pelle le scelte spregiudicate di un potere coloniale che impone privatizzazione di beni comuni come l’acqua, attua ostili processi di militarizzazione, espropria intere fette di territorio alle popolazioni locali (la base di Sigonella), si accinge a progettare e costruire, con costi altissimi per la popolazione, macchine di morte come inceneritori, rigassificatori e centrali nucleari, realizza il grande carcere per migranti a cielo aperto di Lampedusa e molti altri “guantanamo”, nostrani, semisegreti. E per non smentire l’arroganza colonialista del governo italiano, a coronamento del danno, si annuncia la beffa: un ponte faraonico, devastante per il territorio e di cui nessuno ha bisogno tranne l’avidità di governanti, ideatori e costruttori, palese espressione di delirante megalomania, estranea alla realtà e antitetica ai bisogni reali di sostegno e tutela delle popolazioni e dei luoghi. Denunciamo questi attacchi contro la Sicilia e conosciamo anche cosa gli impostori del G8 fanno “per l’ambiente” sull’intero pianeta. I G8, riuniti per trattare a gran voce questioni ambientali, vanno a programmare nuovi saccheggi, impoverimenti, disastri sempre più traumatici per il pianeta, per il suo ecosistema, per l’umanità, praticando a livello mondiale quanto a livello locale agiscono i loro vassalli. Non sapendo e non volendo cambiare rotta, scelgono di servirsi di vaste regioni della terra per farne sterminate discariche e preferiscono trasformare in nubi di diossina gli scarti del sovraconsumo di massa che hanno indotto, quando è ormai improrogabile ripensare i modelli di vita e di produzione/consumo e investire sulle conosciute e sane energie rinnovabili e sulle innocue e proficue, anche in termini di posti di lavoro, tecniche di riciclaggio dei rifiuti. Il peggioramento delle condizioni di vita di interi pezzi di popolazioni testimonia il fallimento delle teorie economiche neo-liberiste, generatrici del drastico aumento della sperequazione sociale, della totale precarizzazione del lavoro in nome della “flessibilità”, della scomparsa del lavoro stesso. Quello che è stato sbandierato e propinato al mondo come migliore “modello di sviluppo”, attraverso l’innesco di un processo di omologazione planetaria di consumo detta globalizzazione, è figlio dell’ultimo ruggito dell’esasperato capitalismo che ha scelto l’autocapitalizzazione della finanza, da un lato, e lo sfruttamento estremo di risorse e lavoro, dall’altro. Due vortici senza controllo e senza limiti, voluti e garantiti dai governi, che scaricano sugli anelli più deboli della catena il prezzo impagabile di questa escalation: lavoratori schiavizzati, popolazioni allo stremo, risorse in prosciugamento, cancellazione di ecosistemi. Il modello di sviluppo globale “all’infinito” inciampa e si infrange di fronte ai confini fisici del pianeta per l’incompatibilità fra la pretesa vorace e la disponibilità che si riduce, una pseudofilosofia che deve fare i conti con gli equilibri degli ecosistemi globali e locali, con le ricchezze delle diversità culturali e con i relativi tessuti sociali. Le scelte dei governi di socializzare il debito e privatizzare gli utili, attraverso le elargizioni “statali” a banche e imprese, stanno aggravando i processi involutivi ancora a danno delle popolazioni. Addirittura si pretende di andare nella stessa direzione, come nel caso italiano, inventando inutili, rovinosi e costosissimi ecomostri da fare gravare sulle comunità, imponendoli con la forza, attraverso repressione del dissenso e militarizzazione dei territori. Ma non possono e non devono essere queste le scelte volte a sanare i disavanzi pubblici prodotti da comitati d’affari, oggi direttamente governanti, coinvolti in vorticosi traffici miliardari; non dovranno essere pagati dai cittadini i debiti causati dalla finanza “creativa” che ha preteso di considerarsi sganciata dall’economia reale. Noi, figli di questa terra devastata, non vogliamo stare a guardare un G8 che mortifica la vita e offende l’intelligenza. Reclamiamo la partecipazione attiva della popolazione perché cominci finalmente a divenire protagonista delle scelte del proprio destino e di quello dei luoghi a cui appartiene. Non aspettiamo che i grandi avvoltoi ed il loro seguito di sciacalli banchettino coi nostri cadaveri. Invitiamo tutti a impegnarsi per la preparazione di questo importante appuntamento e a lavorare per proseguire, dopo questa tappa, su un percorso responsabile di riappropriazione del diritto di autodeterminazione. Chiamiamo a raccolta ogni forma di aggregazione sociale, culturale e politica e quante altre persone disposte a impegnarsi per cambiare questo stato di cose attraverso un ampio fronte di dissenso contro coloro che giocano con i destini della nostra terra e delle nostre comunità. Ancora una volta pensiamo che i conflitti sociali siano l’unica via d’uscita dalle crisi e continuiamo la nostra lotta al sistema di sfruttamento e alle istituzioni nazionali e sovranazionali che lo rappresentano. Il coordinamento regionale “Contro G8” promuove tre giorni di mobilitazione a Siracusa, 22, 23 e 24 aprile, in cui si contesterà con determinazione il vertice di Ortigia e si confronteranno proposte concrete, coniugabili con la tutela primaria del pianeta, dell’integrità dei suoi molteplici equilibri, di tutti i viventi, dell’umanità tutta e dei suoi diritti fondamentali.
Ufficialmente si trattava di un'operazione preventiva contro l'allarme 'coltelli' esploso tra i giovani della Capitale dopo una serie di sanguinose risse. In pratica è stato un agguato della polizia contro sette giovani militanti della sinistra che stavano attacchinando manifesti per il 25 aprile. Le due auto dei giovani - la maggior parte universitari - sono state seguite durante l'attacchinaggio dal Prenestino fino a largo della Croce Rossa (nei pressi della direzione nazionale del PRC) e poi bloccate dagli agenti con le pistole in pugno. Che non si trattasse di un gruppo uscito dalla discoteca per organizzare risse era piuttosto evidente seguendo la scia dei manifesti che erano stati attacchinati sui muri della città. Ma forse è proprio questo il motivo del blitz della polizia: quei manifesti erano antifascisti. Le veline della Questura fanno emergere un quadro inquietante come se nelle macchine ci fosse un arsenale, ma lo stesso verbale scrive di "manici di piccone lunghi 30 centimetri" (ossia poco più lunghi del palmo di una mano) e della gamba di una sedia. Un pò poco per essere un arsenale ed anche per affrontare le eventuali squadracce neofasciste che invece vengono lasciate scorazzare indisturbate nella Capitale. I sette giovani sono stati denunciati per possesso di arma impropria e rilasciati dopo ben sette ore di fermo nel commissariato di via Farini.
Il progetto presentato dalla Indesit ai sindacati in alternativa alla chiusura dello stabilimento di None, comporterebbe il mantenimento di 190 lavoratori, da un organico attuale di oltre 600 unità. E' quanto è emerso dall'incontro sindacale tenutosi a Roma fra Indesit e Fim, Fiom, Uilm. I sindacati ritengono la proposta dell'azienda "ancora lontana dalla possibilità di un accordo", anche se complessivamente ci sono gli "ingredienti" per lavorare a una soluzione comune. La Indesit ha proposto di assegnare a None il 60% della produzione di lavastoviglie da incasso, pari a circa 180mila unità all'anno, che sarebbero destinate al mercato dell'Europa occidentale, cioè Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Spagna e Portogallo. Sugli strumenti a cui Indesit sta pensando per ridurre l'organico si parla di cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione della durata di due anni prorogabili, prepensionamenti, reindustrializzazione (attraendo nuove aziende a None), esodi incentivati o possibile ricollocamento dei dipendenti in altre aziende.Il prossimo incontro è previsto a Torino il giorno 24.
I lavoratori della Numonyx torneranno a manifestare nella mattinata di giorno 24 davanti ai cancelli della STMicroelectronics alla zona industriale di Catania. Una prima manifestazione c'era già stata venerdì 3 Aprile in occasione del primo giorno di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria. I lavoratori della Numonyx avevano manifestato in corteo da Piazza Duomo lungo la via Etnea fino ad arrivare alla Prefettura, dove una delegazione di lavoratori, assistita dalla RSU e dalle Segreterie Provinciali, è stata ricevuta dal Vice Prefetto. Durante l’incontro la delegazione di lavoratori aveva presentato un dossier nonché tutti gli accordi siglati, dal 2000 ad oggi, dai sindacati, dai rappresentanti del governo nazionale e delle due aziende coinvolte, con particolare riguardo a quelli relativi alla cessione del ramo d’azienda tra la ST e la nascente Numonyx. Galeani si è impegnato a trasmettere i documenti al Governo Nazionale e a quello Regionale con lo scopo di sollecitare la riconvocazione urgente del tavolo negoziale costituito presso il MSE (Ministero Sviluppo Economico) nel quale le due aziende STM e Numonyx si erano impegnate a presentare i relativi piani industriali ormai mancanti da oltre due anni. In quell’ occasione i lavoratori Numonyx hanno ribadito il loro diritto al reintegro in ST in quanto tutti i punti indicati nel protocollo sulla cessione di ramo d’azienda e nel documento d’accordo sindacale successivo non sono stati mantenuti. Proprio per sottolineare questo ultimo punto e per richiamare l’intervento delle istituzioni i lavoratori della Numonyx torneranno a manifestare venerdi prossimo.
In questo video, a cura dell'associazione Aut Aut, i principali momenti della grande manifestazione contro l'ordinanza antiborsoni che ieri ha attraversato la città di Pisa.
Manifestazione antirazzista: 3000 no all’ordinanza anti-borsoni di J. Bonnot Pisa. La città, come previsto, è stata attraversata da un’imponente e colorata manifestazione a cui hanno partecipato circa 3000 persone. Il corteo ha lasciato con un pò di ritardo piazza Sant’Antonio: una delle tantissime associazioni e comunità senegalesi che avevano annunciato la loro presenza, quella di Piombino, tardava ad arrivare. Ben presto tuttavia il numero di persone era tale che la piazza a stento le conteneva, e si è deciso quindi di far partire il corteo, che subito ha imboccato Corso Italia. Nonostante una sottile pioggia, è prevalsa la volontà di farsi sentire di chi è spesso costretto al silenzio e cori e slogan non si sono fermati un istante. Grande protagonista di essi è stato ovviamente il Sindaco Filippeschi, divenuto simbolo di una politica di chiusura e discriminazione che, se pur diffusa ormai in tutta Italia, a Pisa stentava ad attecchire. Ma interventi e cori non si sono limitati a criticare la famosa ordinanza e la giunta comunale, ma ribadito il fatto che i migranti non sono colpiti solo dal decreto di Filippeschi e da una legge nazionale a dir poco razzista, ma anche da tutti quei problemi che, in questo periodo di crisi, affliggono anche gli italiani: la casa, gli affitti, il lavoro, le difficoltà economiche. Il corteo si è fermato a lungo di fronte al Comune, dove i manifestanti hanno improvvisato un breve sit-in durante il quale non è mancato un minuto di silenzio dedicato alle famiglie colpite dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo, ed è proseguito poi sui lungarni, verso ponte Solferino. Quando la manifestazione è arrivata all’altezza della chiesa della Spina alcuni ragazzi dell’Assemblea Antirazzista hanno srotolato dalla cima dell’ex-Enel – l’enorme palazzo sfitto da anni – uno striscione che recitava “Non c’è sicurezza senza diritti”, e hanno ribadito che l’unico “nero” che a Pisa non è benvoluto è quello degli affitti al nero. Il corteo si diretto infine verso piazza dei Miracoli, dove si è concluso con una serie di interventi fatti proprio nel luogo dal quale tanti dei partecipanti alla manifestazione sono stati banditi. Tutti sono concordi nel ribadire l’importanza di una giornata che ha visto scendere in piazza, fianco a fianco, senza alcun tipo di strumentalizzazione, le comunità senegalesi di tutta la Toscana insieme a tante associazioni, circoli, realtà varie e semplici cittadini, accomunati dal rifiuto netto di ogni tentativo di risolvere complessi problemi sociali attraverso ottusi e semplicistici provvedimenti di ordine pubblico.
Una manifestazione di almeno 4000 persone ha percorso in corteo i circa 6 km che dividono l'american palace, storico riferimento per gli immigrati del litorale domizio, dalla piazza di Castelvolturno. Alle ore 13:30 dopo l'arrivo nella piazza si è tenuta un comizio-assemblea con la presenza di diverse rappresentanze istituzionali che hanno aderito alle ragioni di chi oggi manifestava antirazzismo. Da quando a settembre è stata il teatro della brutale strage di 6 migranti, la zona di Castelvolturno è diventata il riferimento del pensiero antirazzista campano. Lo sa bene la polizia, che qui si esibisce in sgomberi spettacolari delle comunità africane, lo sanno bene quanti sperimentano le frizioni e le varie forme di convivenza vivendo da queste parti o arrivandoci ogni mattina alla ricerca rituale del lavoro mattutino nei campi, e non solo . E’ da qui che ieri si è rilanciato il messaggio antirazzista con una manifestazione di massa, in un paese dove occorre scendere in piazza per ribadire valori e diritti che stanno diventando sempre più illegali.
Diverse migliaia in piazza ieri a Brescia (più di 3.000), cittadini migranti e nativi, contro il Pacchetto Sicurezza e l'istituzionalizzazione delle sue pratiche segreganti. Il corteo è arricchito anche da una battaglia più specificatamente locale, contro le ordinanze liberticide del (vice)sindaco-sceriffo Rolfi, mal sopportate anche da molti* brescian*: impossibilità di mangiare e bere nei parchi, proposta della restrizione del bonus-bebé ai soli nativi italiani oltreché la costruzione di un Cie in città.
Ma la giornata di ieri rispedisce al mittente queste provocazioni e pratica anche la prima violazione del protocollo che vieta il passaggio delle manifestazione nelle vie ad alto traffico automobilistico.
La manifestazione ha visto una fortissima componente di migranti soprattutto egiziani e del subcontinente indiano; la maggior parte sono lavoratori stanziali ormai da anni forza-lavoro stabile della bassa bresciana.
Una giornata di lotta riuscita, visto e considerato che si trattava soprattutto di una mobilitazione cittadina e locale a cui hanno partecipato tutti i soggetti non rassegnati della città: studenti, centri sociali, sindacati di base e gli/le antirazzist*.
di Jacopo Renda - Falcemartello Prc In questi mesi i lavoratori della Fiat auto di Pomigliano hanno dimostrato grande combattività e tenacia. In poche settimane grazie alla loro compattezza con una serie di iniziative sono riusciti a conquistare la scena politica e sindacale. Questo oltre a dare loro una visibilità anche su alcuni mezzi di informazione che fino a qualche tempo fa avevano assolutamente cancellato la classe lavoratrice dalle loro copertine ha soprattutto avuto il ruolo di rendere la lotta di Pomigliano un punto di riferimento per i lavoratori in tutta Italia. Tutto ciò è un primo successo non scontato della mobilitazione. Davanti alla cassa integrazione, alle cariche della polizia, ai ricatti dell’azienda sui precari, all’incertezza sul futuro non si è risposto con la rassegnazione ma con iniziative di lotta partecipate. Agli scettici e a tutti coloro che credevano che davanti a noi ci fosse solo il deserto sociale basterebbe partecipare ad un corteo per sentire la determinazione del grido “Pomigliano non si tocca, la difenderemo con la lotta”. La lotta quindi continua ma sarà lunga e difficile ed è chiaro che il suo esito non parla solo agli operai dello stabilimento “Gianbattista Vico” ma può cambiare lo scenario del conflitto di classe in Italia. Infatti in un momento di crisi come questo in cui milioni di lavoratori vedono a rischio il futuro loro e delle loro famiglie una vittoria di una fabbrica così importante potrebbe cambiare i rapporti di forza nel mondo del lavoro. Purtroppo malgrado la mobilitazione la Fiat non ha ancora dato un piano industriale e durante l’ultimo consiglio di amministrazione Marchionne ha dichiarato che l’unico stabilimento non a rischio è quello di Mirafiori lasciando intendere che quelli del Mezzogiorno, Pomigliano in testa, sono i più a rischio. Allo stesso tempo la proprietà sta facendo di tutto per dividere i lavoratori, rompere l’unità di classe, che fino ad ora è stato il punto di forza della lotta e prova a spezzare il fronte operaio. Questa “sapiente” operazione di divide et impera è una chiara strategia aziendale aiutata dai cosiddetti ecoincentivi del governo Berlusconi che non riguardano tutti gli stabilimenti ma solo alcuni. Accade infatti che il boom dovuto agli ecoincentivi, anche se di breve durata, permetta alle organizzazioni sindacali Fim, Uil e Fismic di firmare, con la contrarietà della Fiom, un accordo che prevede, mentre c’è cassa integrazione a Pomigliano, che si facciamo gli straordinari a Melfi e addirittura che 300 apprendisti, cioè precari, si spostino da Pomigliano a Melfi. Se mettiamo questo accordo assieme alla volontà di queste organizzazioni sindacali di non fare uno sciopero nazionale del gruppo Fiat ma “solo” una manifestazione e soprattutto di spostarla in avanti al 16 maggio capiamo chiaramente come vi sia la volontà di gettare sabbia sul fuoco della mobilitazione. E per questo che la lotta della Fiat di Pomigliano è a un passaggio decisivo ed è assolutamente vitale fare un salto di qualità prima che la combattività e la compattezza lascino il campo a demoralizzazione e divisioni. Tutto ciò che si è ottenuto fino ad ora, compresa l’integrazione alla cassa integrazione erogata dalla Regione Campania, non è certo arrivato grazie alla magnanimità di qualche assessore ma alla capacità di mobilitazione di massa dimostrata in questi mesi. Sulla stessa integrazione alla Cigo, provvedimento di per sè positivo, sarà necessario vigilare perché venga attuata senza il tetto dei mille euro previsto dalla prima delibera, che dividerebbe ulteriormente i lavoratori tra i più giovani che percepirebbero l’integrazione e quelli con famiglia e maggiore anzianità che rischierebbero di esserne esclusi. Questi provvedimenti certamente utili a lenire parzialmente la povertà operaia sempre più dilagante non sono certamente la soluzione del problema e soprattutto non affrontano il nodo vero di questa mobilitazione cioè il futuro del gruppo Fiat, dello stabilimento di Pomigliano e soprattutto delle decine di migliaia di posti di lavoro della fabbrica e dell’indotto. Da questo punto di vista il fatto che sia ad aprile che a maggio si lavorerà una sola settimana non aiuta il processo di organizzazione della lotta e il protagonismo dei lavoratori. Alla volontà di Fim e Uilm di allentare i tempi della mobilitazione, perfettamente in linea con gli accordi separati che Cisl e Uil stanno attuando assieme a Governo e Confindustria, si aggiunge una difficoltà della Fiom sempre più schiacciata tra la volontà dei lavoratori e la ricerca dell’unità sindacale. è necessario quindi uno strumento che provi a superare la difficoltà oggettiva dovuta al fatto che sia ad aprile che a maggio la fabbrica sarà sostanzialmente ferma. Questo strumento può essere un Comitato dei Cassaintegrati che provi a raccogliere tutti i lavoratori, iscritti e non al sindacato, un luogo di discussione e di confronto per decidere le iniziative di lotta, lasciando la gestione dei tempi e delle modalità della mobilitazione in mano ai legittimi proprietari: i lavoratori. Allo stesso tempo è necessario ripetere in altri stabilimenti la giornata di mobilitazione che i compagni del circolo Prc Fiat auto-Avio di Pomigliano insieme ai militanti del Prc lucano hanno fatto a Melfi con un volantinaggio e un comizio davanti alla Fiat Sata invitando all’unità dei lavoratori. Le prossime settimane saranno decisive per compattare i lavoratori di Pomigliano, coordinarsi con altre aziende in crisi a livello provinciale costruendo un percorso verso lo sciopero generale regionale a partire dalle aziende in crisi, chiedendo risposte chiare al governo nazionale e regionale. Un primo passaggio per costruire l’unità di tutti i lavoratori del gruppo Fiat è dare vita in tempi brevi ad uno sciopero con manifestazione nazionale a Torino. Non si può esitare su questi punti e la Fiom deve essere in prima fila in questa battaglia. L’unità è certamente uno strumento importante per vincere ma la prima unità che va salvaguardata è quella dei lavoratori, dicendo no a chi vuole dividerli ed evitando che lo scenario voluto da Marchionne e dalla proprietà rimanga l’unico possibile, facendo pagare la crisi ai lavoratori, ristrutturando lo stabilimento e chiedendo ulteriori sacrifici ai soliti noti. Abbiamo già dato e la forza mostrata in questi mesi di mobilitazione dimostra che si può vincere. Se la Fiat non vuole dare un futuro produttivo al gruppo ed allo stabilimento si faccia da parte, con la nazionalizzazione, un piano industriale pubblico, una nuova auto ecologica e la creatività operaia il futuro c’è, oggi più che mai è nelle nostre mani.
Polveriera Pomigliano
La produzione in caduta libera. E il reddito di 9 mila famiglie a rischio. Cronaca da una piazza che rischia di esplodere.
di Emiliano Fittipaldi
Vincenzo, spalle larghe e lingua veloce, lavora alle carrozzerie da vent'anni. Portare la grande croce per una cinquantina di metri non gli ha pesato più di tanto. È fiero di aver messo in scena venerdì, insieme ai suoi compagni, una delle 'Via Crucis' più operaiste degli ultimi decenni. Una scelta del parroco don Peppino, che ha voluto le tute blu della Fiat di Pomigliano, i "nuovi crocifissi", per rappresentare la passione di Gesù. Sono passati quattro giorni dall'evento. Vincenzo riempie i polmoni e sbraita. "Il macigno vero noi lo portiamo dentro. Pomigliano ormai non è più una fabbrica, ma una polveriera. Se i politici e l'azienda non si danno una mossa, qui esplode tutto. Sarà molto peggio della Francia, dei sequestri in Belgio". È martedì 14 aprile, ma il parcheggio destinato a carristi e lastratori della Fiat è deserto come fosse domenica pomeriggio. Il piazzale delle auto invendute, ordinate a comporre file colorate, è invece pieno come un uovo. La crisi mondiale ha azionato il ralenty alla catena di montaggio che mette insieme i pezzi delle Alfa 147 e 159. I lavoratori sono tutti in cassa integrazione ordinaria. Spenti pure gli schermi al plasma dell'area ristoro, inaugurata poco più di un anno fa. Era stata creata per evitare che gli operai si preparassero il caffè durante il turno: dentro una portiera era stato trovato un bicchierino di plastica sporco. Colpa dell'indisciplina, della bassa produttività e dell'assenteismo: i 5mila dipendenti erano stati costretti a seguire per due mesi un 'corso di rieducazione'. Vincenzo al solo ricordo schiuma altra rabbia. Poi guarda la fabbrica muta, e si fa cupo. "È una tragedia. Pomigliano è l'ultima cattedrale della classe operaia rimasta in Campania, l'ultimo grande impianto produttivo che genera un po' di lavoro. Se chiude, è la fine". Le forze dell'ordine, i sindaci della zona, persino la Chiesa sanno che la santabarbara, in terra di camorra e tassi di disoccupazione a doppia cifra, rischia davvero di saltare. È il punto più sensibile d'Italia, dove la recessione s'intreccia con il disfacimento del patto tra lavoratori, aziende e istituzioni. Il luogo, soprattutto, in cui sindacati e partiti stanno perdendo il tradizionale ruolo di mediatori. Le nuove Brigate rosse l'hanno capito al volo, e stanno tentando di trasformare la vecchia Alfa Sud nel simbolo della lotta contro il capitalismo delle disuguaglianze. "Con tre brutali cariche a freddo", hanno scritto gli imputati al processo in Corte d'assise a Milano dopo gli scontri sulla 'A1' dello scorso febbraio, "le forze della repressione hanno cercato di impedire che la giusta lotta degli operai valicasse i cancelli della fabbrica coinvolgendo la popolazione con il blocco dell'autostrada. Vicinanza e solidarietà agli operai Fiat di Pomigliano, così come a tutte quelle situazioni che lottando non intendono subire passive gli effetti della crisi del capitalismo". Il pm Ilda Boccassini ha impedito che il comunicato fosse letto in aula, ma non ha potuto bloccarne la divulgazione su Internet: sul sito di Indymedia, su quello di un collettivo antagonista, persino su una pagina dedicata agli ultras è possibile trovare il testo con gli attacchi al governo, al "padronato" e al giuslavorista Pietro Ichino. Pomigliano è un'icona, da sempre. Difficile che oggi i metalmeccanici facciano un tuffo all'indietro negli anni Settanta: le ideologie egualitarie e solidali sono morte, gli operai non sono più, per dirla alla maniera del sociologo Aris Accornero, "macchine per la lotta di classe" come i loro padri. Sono individui, guardano il 'Grande Fratello' e 'Amici', pensano solo a guadagnarsi 'la mesata'. "Ma la tempesta sta arrivando lo stesso", avverte Andrea Amendola, capo della Fiom della città e memoria storica dell'alfismo militante. Tra dipendenti e indotto il vecchio stabilimento fa mangiare novemila famiglie, in tutta la Campania il settore dell'auto occupa oltre 20 mila persone, rappresentando una parte rilevante del Pil regionale. Decine di piccole imprese gravitano intorno alla Fiat dal 1971. L'agonia dei consumi ha gettato tutti nel panico. La produzione è passata dalle 195 mila auto del 2001 alle 60 mila del 2008. Un crollo mai visto. Le stime per quest'anno sono catastrofiche: se il trend non si inverte, si costruiranno in totale meno di 40 mila vetture. "Il fatto è che, a parte la costosa 159, non sono previste nuove linee", spiega Amendola:"Anche Termini Imerese, che fa solo Lancia Y, se la passa male. A Melfi e Cassino, dove si assemblano la Grande Punto e la nuova 149, respirano ancora". In città la 'caccia al manager' organizzata dai lavoratori francesi infuriati per tagli e licenziamenti inizia a far breccia nella pianificazione delle proteste. I capifamiglia, quelli monoreddito, pretendono che i sindacati alzino l'asticella della contestazione. Qualcuno spiega che occupare Pomigliano sarebbe inutile, si farebbe solo un favore ai manager di Torino. "Meglio puntare sui capannoni di Melfi", dicono i più arrabbiati: "Il danno economico sarebbe ingente. Ma per sfondare le porte e conquistare l'edificio servono circa 400 compagni, il blitz va organizzato bene". Il cellulare dei delegati sindacali squilla in continuazione. Arrivano pressioni, minacce. Persino i duri della Fiom temono per la loro incolumità. La sede dei metalmeccanici è un porto di mare. Arrivano quelli dell'Avio, altra azienda traballante: la divisione che fa revisione ai motori degli aerei ha perso la commessa Alitalia, che ha preferito rivolgersi a una ditta israeliana, la Bedek. Si fanno sentire quelli della Cablauto e dell'ex Selca, che tra pochi giorni rimarranno senza alcun reddito. Il virus della cassa integrazione se lo sono presi anche quelli della Marelli, che costruiscono sistemi di scarico; i compagni della Lear, che montano i seggiolini; la G.M. di Arzano, specializzata nella motorizzazione. Aniello Niglio, operaio di 47 anni, due figlie di 15 e 16 anni da mandare a scuola, un mutuo e qualche debito fatti con il credito al consumo, spiega che il sindacato finora ha fatto da valvola di sfogo alle tensioni. Ma annuncia che "il tempo delle chiacchiere sta scadendo". L'appello di Paolo Bonolis durante Sanremo per la sopravvivenza dell'impianto, come la solidarietà di Benedetto XVI, è un'operazione mediatica che ha permesso alla vertenza di finire sulle pagine dei giornali, ma i lavoratori si lamentano di aver raccolto, dopo mesi di battaglia, assai poco. Il corso finanziato dalla Regione Campania, importante welfare perequativo voluto da Antonio Bassolino, non è ancora partito, mentre il patto tra Obama e la Fiat per salvare la Chrysler dal fallimento ha ulteriormente esacerbato gli animi. "Marchionne va a prendersi gli applausi a Detroit e abbandona al loro destino gli operai italiani. Bisogna avere il coraggio di dire che le politiche industriali per Pomigliano sono state fal-li-men-ta-ri". L'ingegnere italo-canadese non ha per ora sciolto le riserve. La berlina 159, unico modello rimasto appannaggio dello stabilimento, non rientra nemmeno tra le vetture agevolate dagli incentivi statali. I politici hanno proposto che il sito si riconverta alle auto verdi ultraecologiche, ma per ora nessuna decisione è stata presa. Anche il prefetto Alessandro Pansa ammette di essere preoccupato: "Questa è l'unica area industriale importante della provincia. L'età media degli operai Fiat, poi, è bassissima: trentasei anni. Non è un caso che Berlusconi in persona abbia incontrato i lavoratori per più di un'ora". Nel faccia a faccia il premier ha promesso di impegnarsi nella vicenda "con la testa e con il cuore". Si è preso gli applausi appena ha parlato di un (difficile) prolungamento della cassa integrazione, ma qualcuno ha storto il naso quando, puntando l'indice sulla pancia straripante di un delegato della Fim-Cisl, il Cavaliere gli ha prima intimato una dieta ferrea, poi ha dichiarato alla platea che lui, se fosse licenziato, si rimboccherebbe le maniche. Il miscuglio di rabbia e indignazione che ribolle nel ventre della città non si vede in superficie. Esclusi sei giorni di lavoro al mese gli operai se ne stanno in famiglia, o ciondolano per le strade. "Qualcuno cerca di arrotondare lo stipendio, ridotto a 7-800 euro, con qualche lavoretto in nero, ma certe nicchie sono ormai monopolizzate da africani e rumeni", dice Giuseppe Saccoia, in catena di montaggio da quasi 35 anni. Se i giovani non torneranno presto a indossare le loro tute da Cipputi, dice, rischieranno di finire intrappolati nelle maglie della camorra. Il prefetto getta acqua sul fuoco. "Il sistema non ha mai reclutato operai, figuriamoci quelli della Fiat. A Pomigliano i rischi veri", conclude Pansa,"sono l'indebitamento, il boom dell'usura, l'infiltrazione della criminalità nelle piccole imprese". L'operaio Saccoia scuote la testa e sorride amaro. Dice che è sempre stato legato alle istituzioni, al sindacato, ai partiti. Stima il presidente Giorgio Napolitano, che ha votato quando era candidato a Bagnoli. Oggi racconta che se tutto andrà in malora anche lui si unirà alla lotta. "Io ancora oggi credo in una democrazia compiuta. Ma voglio proprio vedere quale giudice avrà il coraggio, dopo che sono stato mortificato come uomo e come lavoratore, di dirmi in faccia che sono un terrorista".
A Brescia, Pisa, Castelvolturno e in molte altre città si scenderà in piazza con e per i soggetti migranti, contro la crisi e l'istituzionalizzazione dell'apartheid sociale prevista dal pacchetto sicurezza. Tra quotidiane aggressioni e pubblica criminalizzazione, i migranti tendono sempre più ad essere individuati come il destinatario prototipico di una rabbia sociale impotente e strisciante. Più pericolosa dei singoli fatti di minuta infamia razzista (più sociale che politica) è invece l'applicazione di un pacchetto legislativo che, per quanto bocciato nelle sue articolazioni più dure - tende alla normazione di una esplicita divisione sociale dell'accesso alla cittadinanza lungo le linee del colore e della provenienza geografica. Ma dall'autunno passato a questo debutto di primavera i più facili capri espiatori di una crisi che ha ben altre origini e responsabilità non sono rimasti in silenzio: hanno preso parola e prodotto iniziative, di lotta e di resistenza. Dalla spontaneità di massa delle nuove generazioni di nuovi italiani emersa dopo l'assassinio di Abba ai riots seguiti alla strage di Castelvolturno, alle quotidiane e continue rivolte de* tanti detenut* dei troppi centri di identificazione ed espulsione disseminati sul territorio nazionale; all'emersione di una specifica battaglia di esigibilità di diritti per i richiedenti asilo (Lampedusa, Massa, Torino). Per tutto questo domani si torna in piazza, in direzione di una grande manifestazione nazionale dei e delle migranti il 23 maggio prossimo...
GLI APPUNTAMENTI DI SABATO 18 APRILE:
CORTEO a Brescia contro le politiche securitarie, contro la loro crisi, per i diritti sociali Sicuri dei nostri diritti contro la loro "sicurezza" Sabato 18 aprile 2009 ore 16 piazza rovetta (adiacente piazza Loggia) Brescia
Ogni giorno ministri, partiti politici e sindaci (con i mezzi di informazione a rimorchio) ci raccontano che sono gli immigrati il vero problema italiano, il pericolo pubblico del nostro paese. Usano la paura come principale fonte di voti e di consensi, come strumento privilegiato di comando sulla società e di salvaguardia dei propri interessi e privilegi. Promulgano leggi razziali che rendono ancora più ricattabili e precari i migranti, colpendo anche la sicurezza sociale di tutte e tutti. Hanno questo effetto la legge Bossi-Fini, il "pacchetto sicurezza", l'esclusione dei non italiani residenti da bonus e ammortizzatori sociali, la trasformazione della clandestinità in reato, l'obbligo per i medici di denunciare chi non ha un permesso di soggiorno, il divieto di iscrivere all'anagrafe i neonati figli di genitori senza permesso di soggiorno, il prolungamento a sei mesi della detenzione degli immigrati irregolari nelle galere etniche ribattezzate CIE (i centri di identificazione ed espulsione, gli ex CPT). Per gli uomini e le donne che non si lasciano intontire dall'"emergenza immigrazione" e che invece chiedono giustizia sociale, protestano e si mobilitano per far pagare la crisi (anche a Brescia i disoccupati sono raddoppiati e dilaga la cassaintegrazione) non agli ultimi fra gli ultimi ma ai banchieri, agli imprenditori e ai governanti che l'hanno provocata, la risposta è semplice: è vietato protestare, è vietato organizzarsi e pretendere diritti ed uguaglianza. Vogliono sostanzialmente cancellare il diritto di sciopero (con la trovata dello "sciopero virtuale"), partendo dai lavoratori del trasporto pubblico e prendendo a pretesto la mobilità dei cittadini. Sempre più spesso le iniziative di lotta degli studenti per la salvaguardia del diritto all'istruzione e la resistenza dei lavoratori di fronte ai licenziamenti, o per la difesa del proprio salario, vengono attaccate dalle forze dell'ordine. Inoltre, proprio in tempi di mobilitazioni nelle scuole e nelle università, il voto in condotta diventa giudizio determinante e quanto mai arbitrario. L'imperativo è il controllo sociale: la videosorveglianza arriva ovunque, si moltiplicano i corpi di polizia, si istituzionalizzano le ronde leghiste e ricevono legittimazione dall'alto persino i "bravi ragazzi italiani", organizzati in squadracce fasciste, che da tempo in varie città aggrediscono, fino ad ammazzare, immigrati, studenti e attivisti di sinistra. I sindaci della paura spingono l'ossessione securitaria fino alla proibizione dei comportamenti più innocui di coloro che vogliono vivere le vie, le piazze e i parchi pubblici (ad esempio mangiando un panino, bevendo una birra, giocando o solo sedendosi su una panchina...). Succede anche nella nostra città, dove l'Amministrazione Paroli-Rolfi toglie le panchine da piazza Rovetta, mette divieti ovunque (anche contro il diritto a manifestare), annuncia la costruzione di un carcere per immigrati irregolari (CIE). Arriva persino a rimangiarsi la decisione di concedere un bonus di 1000 euro a tutti i neonati, pur di non darlo anche ai figli di cittadini immigrati, come invece le impongono la costituzione e i ripetuti pronunciamenti della magistratura. Tutto questo nel nome della sicurezza, del decoro urbano, della lotta al degrado. Brescia sarà anche quest'anno, a metà aprile, la città di EXA, la terza esposizione al mondo di armi leggere, l'unica che non mette alcun limite di accesso al pubblico, nemmeno ai bambini. Con il solito accattivante invito ad armarsi tutti un po' per sport e un po' per difendersi meglio, saranno messe in vetrina le cosiddette armi "leggere", in realtà armi utilizzate anche negli scenari di guerra. Facciamo appello ai movimenti, alle associazioni, ai lavoratori e alle lavoratrici, ai migranti e alle migranti, agli studenti e alle studentesse, ai cittadini e alle cittadine perché Brescia e la provincia non siano il laboratorio della paura, del controllo sociale, del razzismo.
Per costruire insieme una grande mobilitazione e una grande manifestazione sabato 18 aprile 2009 ore 16 piazza rovetta (adiacente piazza Loggia) che attraversi le vie del centro della città e affermi con determinazione e convinzione che libertà, giustizia sociale, dignità e diritti devono essere per tutti e per tutte
Kollettivo Studenti in lotta - C.S. Magazzino 47 - Associazione Diritti per tutti - Confederazione Cobas - SLO (studenti lavoratori organizzati) - Radio Onda d'Urto - Sinistra Critica - Centro Sociale 28 maggio - SdL Intercategoriale - Rete antifascista provinciale - Kollettivo culturale Basso Garda
Pisa: manifestazione regionale contro il razzismo Pisa, piazza Sant'Antoniosabato 18 aprile, ore 15manifestazione regionale controil razzismo.
L'ordinanza antiborsoni, varata dal Comune di Pisa nei giorni scorsi, colpisce duramente il lavoro centinaia di ragazzi stranieri, che al Duomo, sotto la Torre Pendente, nel litorale pisano o in altri luoghi turistici sono costretti alla vendita ambulante per vivere. L'ordinanza antiborsoni è stata firmata senza consultare le comunità immigrate, le associazioni, i rappresentanti degli stranieri. Dopo la firma dell'ordinanza, la Polizia Municipale ha impedito l'ingresso al Duomo di decine di venditori: sono stati controllati, fermati e bloccati solo i cittadini stranieri, indipendentemente da "borse" e "borsoni". E in una città storicamente all'avanguardia nella cultura della solidarietà, abbiamo visto il triste spettacolo della criminalizzazione e dell'esclusione degli immigrati. Molti venditori non hanno un permesso di soggiorno: non possono cercare lavoro, non possono firmare un contratto di assunzione, non possono andare al collocamento pubblico. Sono fantasmi giuridici, a cui le leggi italiane non offrono occasioni per emergere, per vivere una vita regolare. Le comunità immigrate di Pisa da sempre hanno cercato di affrontare la questione della vendita ambulante, partendo proprio dalla regolarizzazione, dai percorsi di inserimento lavorativo. È questo l'unico modo per affrontare i problemi in modo efficace, giusto, rispettoso dei diritti di tutti. L'emanazione dell'ordinanza non ha tenuto conto dei numerosi stranieri ed italiani che in questi mesi con appelli, articoli sulla stampa locale, presidi, manifestazioni chiedevano l'apertura di un tavolo di mediazione istituzionale. L'atto del Sindaco di fatto impedisce a moltissimi giovani migranti l'unico modo che hanno per vivere. Ora queste persone sono alla fame, non sanno come mangiare, come pagare l'affitto, come sopravvivere. Noi chiediamo che riparta il dialogo tra l'amministrazione comunale e le comunità straniere. Chiediamo che si trovino, insieme, le soluzioni più giuste per tutti. Proprio per questo, è indispensabile l'apertura di un tavolo tra l'amministrazione comunale e la comunità Straniere colpita drammaticamente dal provvedimento per trovare una immediata soluzione al problema e l'immediato ritiro dell'ordinanza anti-borsoni.
Il C.AS.TO, il Coordinamento delle Associazioni Senegalesi in Toscana, convoca per questi motivi a Pisa una manifestazione regionale il giorno 18 aprile alle ore 15 da p.zza S. Antonio a P.zza Manin, invita tutte le comunità dei migranti, le associazioni, i sindacati, il movimento antirazzista tutto alla partecipazione.
Sabato 18 Aprile Concentramento ore 10,00 American Palace Stanchi del Razzismo! per un patto sociale di solidarieta 'Diritti, dignita' e permesso di soggiorno per tutti !!!
La strage di camorra che il 18 settembre sterminò 7 innocenti, un italiano e 6 africani a Castel Volturno, ha portato all'attenzione nazionale un territorio abbandonato da anni. Ma dopo la caccia ai camorristi si è aperta la "caccia" agli immigrati senza permesso di soggiorno: lavoratori, spesso vittime di un intollerabile sfruttamento, in un clima di omertoso silenzio! Ciò avviene perché l'attuale legislazione impedisce la regolarizzazione degli immigrati "imprigionando" uomini e donne nella clandestinità. I lavoratori immigrati che vi invitano a questa mobilitazione sono gli stessi lavoratori stagionali che raccolgono le arance, le patate, i pomodori ma anche chi viene licenziato dalle fabbriche ed insieme al lavoro perde anche il diritto ad avere il permesso di soggiorno. E' la logica spietata di chi vuole braccia ma non persone e che usa la discriminazione degli immigrati per peggiorare le condizioni e i livelli di garanzia di tutti i lavoratori. La crisi colpisce duro, italiani e immigrati, eppure per rispondere alla crisi il governo produce differenze. E' la strategia del "dividi e comanda" con un razzismo istituzionale sempre più strutturato, che sfiora i confini dell'apartheid. A fare da sfondo c'è il pericoloso clima di criminalizzazione degli immigrati, che alimenta la guerra tra poveri con l'inquietante corollario di ronde e linciaggi. Eppure abbiamo tanti problemi in comune: tutti abbiamo mutui e affitti da pagare, mentre i tagli alla scuola e al welfare ricacciano in casa tantissime donne. Ai migranti però è riservata una doppia precarietà, sempre sospesi sull'orlo dell'espellibilità e perciò ricattati. Così oltre un milione di donne straniere sono inchiodate al ruolo di badante, ma con orari interminabili e salari da fame. Gli immigrati oggi sostengono in maniera determinante le casse dell'Inps, eppure rischiano di non vedere mai la pensione:.. Il razzismo istituzionale serve a fare degli immigrati dei capri espiatori, per far si che a pagare il prezzo della crisi non siano i veri responsabili, finanzieri, banche e speculatori che si sono arricchiti a dismisura e intendono continuare a farlo! A questo scopo alimentano e strumentalizzano la paura sociale... PER QUESTO IN TANTI SAREMO IL 18 APRILE A CASTELVOLTURNO: PER RIBADIRE CHE NON C'E' SICUREZZA SENZA DIRITTI! Il Governo non si ferma e vuole approvare il cosiddetto "Pacchetto Sicurezza". Una serie di provvedimenti discriminatori verso gli immigrati (e non solo..): l'ingresso ed il soggiorno irregolare diventeranno reato! Chi è senza permesso di soggiorno rischierà la denuncia del medico curante, non potrà riconoscere un figlio, contrarre matrimonio, inviare i soldi ai familiari nei paesi di origine. Sarà ostacolato il rinnovo del permesso di soggiorno, sarà più difficile ottenere la residenza, verrà limitato il ricongiungimento familiare. Tutto ciò cosa c'entra con la sicurezza? Ciò favorirà soltanto la criminalizzazione degli immigrati nell'immaginario collettivo, richiederà ingenti fondi economici a soli scopi repressivi, provocherà l'esclusione sociale dei migranti, non sarà utile al contrasto delle mafie o al sentimento diffuso di insicurezza. Ma una speranza diversa viene dal nuovo protagonismo degli immigrati stessi e dalla crescente indignazione di tanti, come quei medici che vogliono curare e non denunciare, e tutti quelli che non ci stanno ad accettare la cultura dell'odio, del razzismo, delle leggi speciali. NON RESTARE INDIFFERENTE!! NON AVER PAURA!! Da Castel Volturno, per abbattere i ghetti, per i diritti di cittadinanza, per emergere dalla clandestinità. Contro il lavoro nero, la speculazione, lo sfruttamento e l'usura che assediano questo territorio. I diritti in comune, a partire dalla qualità del lavoro per tutti, sono la base per una vera rinascita! Chiediamo che in Campania e nelle altre regioni nascano finalmente vere strutture di accoglienza per i migranti, per risolvere le situazioni di maggiore disagio abitativo e sociale Per il ritiro del "PACCHETTO SICUREZZA", l'abrogazione della Bossi-Fini e delle altre norme discriminatorie. Contro tutti i razzismi, le camorre, la repressione dei migranti Contro l'istituzione di Centri di Detenzione dei migranti in Campania e altrove. Utilizziamo i fondi stanziati per essi in iniziative di sostegno ai lavoratori colpiti dalla crisi. Perché i cittadini italiani e stranieri possano liberarsi della camorra e costruire vera sicurezza sociale tramite il diritto al reddito, alla casa, al lavoro, alla salute, allo studio. Contro la clandestinità, per l'emersione dei migranti da anni in Italia ma ancora irregolari; Chiediamo che i permessi di soggiorno siano congelati in caso di licenziamento, cassa integrazione, mobilità, sospensione dal lavoro; che i migranti, così come tutti quei lavoratori che non usufruiscono di ammortizzatori, partecipino alla pari di ogni altro lavoratore alle misure di sostegno e vedano salvaguardati i contributi che hanno versato; Chiediamo che i migranti e tutti i lavoratori possano rinegoziare i loro mutui in caso di perdita del lavoro; il blocco degli sfratti per tutti i lavoratori e le lavoratrici nella stessa condizione, perché sappiamo che un migrante senza contratto di locazione diventa un lavoratore clandestino; Per garantire il diritto di asilo e di accoglienza. Per il diritto di voto, il diritto alla cittadinanza. Ascolta l'intervista con Mimma (Ex-Canapificio-Caserta)
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Manifestazione Operai FIAT Pomigliano