sabato 18 aprile 2009

La lotta della Fiat di Pomigliano ad un passaggio decisivo

di Jacopo Renda - Falcemartello Prc
In questi mesi i lavoratori della Fiat auto di Pomigliano hanno dimostrato grande combattività e tenacia. In poche settimane grazie alla loro compattezza con una serie di iniziative sono riusciti a conquistare la scena politica e sindacale. Questo oltre a dare loro una visibilità anche su alcuni mezzi di informazione che fino a qualche tempo fa avevano assolutamente cancellato la classe lavoratrice dalle loro copertine ha soprattutto avuto il ruolo di rendere la lotta di Pomigliano un punto di riferimento per i lavoratori in tutta Italia.
Tutto ciò è un primo successo non scontato della mobilitazione. Davanti alla cassa integrazione, alle cariche della polizia, ai ricatti dell’azienda sui precari, all’incertezza sul futuro non si è risposto con la rassegnazione ma con iniziative di lotta partecipate. Agli scettici e a tutti coloro che credevano che davanti a noi ci fosse solo il deserto sociale basterebbe partecipare ad un corteo per sentire la determinazione del grido “Pomigliano non si tocca, la difenderemo con la lotta”.
La lotta quindi continua ma sarà lunga e difficile ed è chiaro che il suo esito non parla solo agli operai dello stabilimento “Gianbattista Vico” ma può cambiare lo scenario del conflitto di classe in Italia. Infatti in un momento di crisi come questo in cui milioni di lavoratori vedono a rischio il futuro loro e delle loro famiglie una vittoria di una fabbrica così importante potrebbe cambiare i rapporti di forza nel mondo del lavoro.
Purtroppo malgrado la mobilitazione la Fiat non ha ancora dato un piano industriale e durante l’ultimo consiglio di amministrazione Marchionne ha dichiarato che l’unico stabilimento non a rischio è quello di Mirafiori lasciando intendere che quelli del Mezzogiorno, Pomigliano in testa, sono i più a rischio.
Allo stesso tempo la proprietà sta facendo di tutto per dividere i lavoratori, rompere l’unità di classe, che fino ad ora è stato il punto di forza della lotta e prova a spezzare il fronte operaio.
Questa “sapiente” operazione di divide et impera è una chiara strategia aziendale aiutata dai cosiddetti ecoincentivi del governo Berlusconi che non riguardano tutti gli stabilimenti ma solo alcuni.
Accade infatti che il boom dovuto agli ecoincentivi, anche se di breve durata, permetta alle organizzazioni sindacali Fim, Uil e Fismic di firmare, con la contrarietà della Fiom, un accordo che prevede, mentre c’è cassa integrazione a Pomigliano, che si facciamo gli straordinari a Melfi e addirittura che 300 apprendisti, cioè precari, si spostino da Pomigliano a Melfi.
Se mettiamo questo accordo assieme alla volontà di queste organizzazioni sindacali di non fare uno sciopero nazionale del gruppo Fiat ma “solo” una manifestazione e soprattutto di spostarla in avanti al 16 maggio capiamo chiaramente come vi sia la volontà di gettare sabbia sul fuoco della mobilitazione.
E per questo che la lotta della Fiat di Pomigliano è a un passaggio decisivo ed è assolutamente vitale fare un salto di qualità prima che la combattività e la compattezza lascino il campo a demoralizzazione e divisioni.
Tutto ciò che si è ottenuto fino ad ora, compresa l’integrazione alla cassa integrazione erogata dalla Regione Campania, non è certo arrivato grazie alla magnanimità di qualche assessore ma alla capacità di mobilitazione di massa dimostrata in questi mesi. Sulla stessa integrazione alla Cigo, provvedimento di per sè positivo, sarà necessario vigilare perché venga attuata senza il tetto dei mille euro previsto dalla prima delibera, che dividerebbe ulteriormente i lavoratori tra i più giovani che percepirebbero l’integrazione e quelli con famiglia e maggiore anzianità che rischierebbero di esserne esclusi.
Questi provvedimenti certamente utili a lenire parzialmente la povertà operaia sempre più dilagante non sono certamente la soluzione del problema e soprattutto non affrontano il nodo vero di questa mobilitazione cioè il futuro del gruppo Fiat, dello stabilimento di Pomigliano e soprattutto delle decine di migliaia di posti di lavoro della fabbrica e dell’indotto.
Da questo punto di vista il fatto che sia ad aprile che a maggio si lavorerà una sola settimana non aiuta il processo di organizzazione della lotta e il protagonismo dei lavoratori.
Alla volontà di Fim e Uilm di allentare i tempi della mobilitazione, perfettamente in linea con gli accordi separati che Cisl e Uil stanno attuando assieme a Governo e Confindustria, si aggiunge una difficoltà della Fiom sempre più schiacciata tra la volontà dei lavoratori e la ricerca dell’unità sindacale.
è necessario quindi uno strumento che provi a superare la difficoltà oggettiva dovuta al fatto che sia ad aprile che a maggio la fabbrica sarà sostanzialmente ferma.
Questo strumento può essere un Comitato dei Cassaintegrati che provi a raccogliere tutti i lavoratori, iscritti e non al sindacato, un luogo di discussione e di confronto per decidere le iniziative di lotta, lasciando la gestione dei tempi e delle modalità della mobilitazione in mano ai legittimi proprietari: i lavoratori.
Allo stesso tempo è necessario ripetere in altri stabilimenti la giornata di mobilitazione che i compagni del circolo Prc Fiat auto-Avio di Pomigliano insieme ai militanti del Prc lucano hanno fatto a Melfi con un volantinaggio e un comizio davanti alla Fiat Sata invitando all’unità dei lavoratori.
Le prossime settimane saranno decisive per compattare i lavoratori di Pomigliano, coordinarsi con altre aziende in crisi a livello provinciale costruendo un percorso verso lo sciopero generale regionale a partire dalle aziende in crisi, chiedendo risposte chiare al governo nazionale e regionale.
Un primo passaggio per costruire l’unità di tutti i lavoratori del gruppo Fiat è dare vita in tempi brevi ad uno sciopero con manifestazione nazionale a Torino. Non si può esitare su questi punti e la Fiom deve essere in prima fila in questa battaglia.
L’unità è certamente uno strumento importante per vincere ma la prima unità che va salvaguardata è quella dei lavoratori, dicendo no a chi vuole dividerli ed evitando che lo scenario voluto da Marchionne e dalla proprietà rimanga l’unico possibile, facendo pagare la crisi ai lavoratori, ristrutturando lo stabilimento e chiedendo ulteriori sacrifici ai soliti noti.
Abbiamo già dato e la forza mostrata in questi mesi di mobilitazione dimostra che si può vincere. Se la Fiat non vuole dare un futuro produttivo al gruppo ed allo stabilimento si faccia da parte, con la nazionalizzazione, un piano industriale pubblico, una nuova auto ecologica e la creatività operaia il futuro c’è, oggi più che mai è nelle nostre mani.

Polveriera Pomigliano



La produzione in caduta libera. E il reddito di 9 mila famiglie a rischio. Cronaca da una piazza che rischia di esplodere.

di Emiliano Fittipaldi

Vincenzo, spalle larghe e lingua veloce, lavora alle carrozzerie da vent'anni. Portare la grande croce per una cinquantina di metri non gli ha pesato più di tanto. È fiero di aver messo in scena venerdì, insieme ai suoi compagni, una delle 'Via Crucis' più operaiste degli ultimi decenni. Una scelta del parroco don Peppino, che ha voluto le tute blu della Fiat di Pomigliano, i "nuovi crocifissi", per rappresentare la passione di Gesù. Sono passati quattro giorni dall'evento. Vincenzo riempie i polmoni e sbraita. "Il macigno vero noi lo portiamo dentro. Pomigliano ormai non è più una fabbrica, ma una polveriera. Se i politici e l'azienda non si danno una mossa, qui esplode tutto. Sarà molto peggio della Francia, dei sequestri in Belgio".
È martedì 14 aprile, ma il parcheggio destinato a carristi e lastratori della Fiat è deserto come fosse domenica pomeriggio. Il piazzale delle auto invendute, ordinate a comporre file colorate, è invece pieno come un uovo. La crisi mondiale ha azionato il ralenty alla catena di montaggio che mette insieme i pezzi delle Alfa 147 e 159. I lavoratori sono tutti in cassa integrazione ordinaria. Spenti pure gli schermi al plasma dell'area ristoro, inaugurata poco più di un anno fa. Era stata creata per evitare che gli operai si preparassero il caffè durante il turno: dentro una portiera era stato trovato un bicchierino di plastica sporco. Colpa dell'indisciplina, della bassa produttività e dell'assenteismo: i 5mila dipendenti erano stati costretti a seguire per due mesi un 'corso di rieducazione'. Vincenzo al solo ricordo schiuma altra rabbia. Poi guarda la fabbrica muta, e si fa cupo. "È una tragedia. Pomigliano è l'ultima cattedrale della classe operaia rimasta in Campania, l'ultimo grande impianto produttivo che genera un po' di lavoro. Se chiude, è la fine".
Le forze dell'ordine, i sindaci della zona, persino la Chiesa sanno che la santabarbara, in terra di camorra e tassi di disoccupazione a doppia cifra, rischia davvero di saltare. È il punto più sensibile d'Italia, dove la recessione s'intreccia con il disfacimento del patto tra lavoratori, aziende e istituzioni. Il luogo, soprattutto, in cui sindacati e partiti stanno perdendo il tradizionale ruolo di mediatori. Le nuove Brigate rosse l'hanno capito al volo, e stanno tentando di trasformare la vecchia Alfa Sud nel simbolo della lotta contro il capitalismo delle disuguaglianze. "Con tre brutali cariche a freddo", hanno scritto gli imputati al processo in Corte d'assise a Milano dopo gli scontri sulla 'A1' dello scorso febbraio, "le forze della repressione hanno cercato di impedire che la giusta lotta degli operai valicasse i cancelli della fabbrica coinvolgendo la popolazione con il blocco dell'autostrada. Vicinanza e solidarietà agli operai Fiat di Pomigliano, così come a tutte quelle situazioni che lottando non intendono subire passive gli effetti della crisi del capitalismo". Il pm Ilda Boccassini ha impedito che il comunicato fosse letto in aula, ma non ha potuto bloccarne la divulgazione su Internet: sul sito di Indymedia, su quello di un collettivo antagonista, persino su una pagina dedicata agli ultras è possibile trovare il testo con gli attacchi al governo, al "padronato" e al giuslavorista Pietro Ichino.
Pomigliano è un'icona, da sempre. Difficile che oggi i metalmeccanici facciano un tuffo all'indietro negli anni Settanta: le ideologie egualitarie e solidali sono morte, gli operai non sono più, per dirla alla maniera del sociologo Aris Accornero, "macchine per la lotta di classe" come i loro padri. Sono individui, guardano il 'Grande Fratello' e 'Amici', pensano solo a guadagnarsi 'la mesata'. "Ma la tempesta sta arrivando lo stesso", avverte Andrea Amendola, capo della Fiom della città e memoria storica dell'alfismo militante. Tra dipendenti e indotto il vecchio stabilimento fa mangiare novemila famiglie, in tutta la Campania il settore dell'auto occupa oltre 20 mila persone, rappresentando una parte rilevante del Pil regionale. Decine di piccole imprese gravitano intorno alla Fiat dal 1971. L'agonia dei consumi ha gettato tutti nel panico. La produzione è passata dalle 195 mila auto del 2001 alle 60 mila del 2008. Un crollo mai visto. Le stime per quest'anno sono catastrofiche: se il trend non si inverte, si costruiranno in totale meno di 40 mila vetture. "Il fatto è che, a parte la costosa 159, non sono previste nuove linee", spiega Amendola:"Anche Termini Imerese, che fa solo Lancia Y, se la passa male. A Melfi e Cassino, dove si assemblano la Grande Punto e la nuova 149, respirano ancora".
In città la 'caccia al manager' organizzata dai lavoratori francesi infuriati per tagli e licenziamenti inizia a far breccia nella pianificazione delle proteste. I capifamiglia, quelli monoreddito, pretendono che i sindacati alzino l'asticella della contestazione. Qualcuno spiega che occupare Pomigliano sarebbe inutile, si farebbe solo un favore ai manager di Torino. "Meglio puntare sui capannoni di Melfi", dicono i più arrabbiati: "Il danno economico sarebbe ingente. Ma per sfondare le porte e conquistare l'edificio servono circa 400 compagni, il blitz va organizzato bene".
Il cellulare dei delegati sindacali squilla in continuazione. Arrivano pressioni, minacce. Persino i duri della Fiom temono per la loro incolumità. La sede dei metalmeccanici è un porto di mare. Arrivano quelli dell'Avio, altra azienda traballante: la divisione che fa revisione ai motori degli aerei ha perso la commessa Alitalia, che ha preferito rivolgersi a una ditta israeliana, la Bedek. Si fanno sentire quelli della Cablauto e dell'ex Selca, che tra pochi giorni rimarranno senza alcun reddito. Il virus della cassa integrazione se lo sono presi anche quelli della Marelli, che costruiscono sistemi di scarico; i compagni della Lear, che montano i seggiolini; la G.M. di Arzano, specializzata nella motorizzazione.
Aniello Niglio, operaio di 47 anni, due figlie di 15 e 16 anni da mandare a scuola, un mutuo e qualche debito fatti con il credito al consumo, spiega che il sindacato finora ha fatto da valvola di sfogo alle tensioni. Ma annuncia che "il tempo delle chiacchiere sta scadendo". L'appello di Paolo Bonolis durante Sanremo per la sopravvivenza dell'impianto, come la solidarietà di Benedetto XVI, è un'operazione mediatica che ha permesso alla vertenza di finire sulle pagine dei giornali, ma i lavoratori si lamentano di aver raccolto, dopo mesi di battaglia, assai poco. Il corso finanziato dalla Regione Campania, importante welfare perequativo voluto da Antonio Bassolino, non è ancora partito, mentre il patto tra Obama e la Fiat per salvare la Chrysler dal fallimento ha ulteriormente esacerbato gli animi. "Marchionne va a prendersi gli applausi a Detroit e abbandona al loro destino gli operai italiani. Bisogna avere il coraggio di dire che le politiche industriali per Pomigliano sono state fal-li-men-ta-ri". L'ingegnere italo-canadese non ha per ora sciolto le riserve. La berlina 159, unico modello rimasto appannaggio dello stabilimento, non rientra nemmeno tra le vetture agevolate dagli incentivi statali. I politici hanno proposto che il sito si riconverta alle auto verdi ultraecologiche, ma per ora nessuna decisione è stata presa.
Anche il prefetto Alessandro Pansa ammette di essere preoccupato: "Questa è l'unica area industriale importante della provincia. L'età media degli operai Fiat, poi, è bassissima: trentasei anni. Non è un caso che Berlusconi in persona abbia incontrato i lavoratori per più di un'ora". Nel faccia a faccia il premier ha promesso di impegnarsi nella vicenda "con la testa e con il cuore". Si è preso gli applausi appena ha parlato di un (difficile) prolungamento della cassa integrazione, ma qualcuno ha storto il naso quando, puntando l'indice sulla pancia straripante di un delegato della Fim-Cisl, il Cavaliere gli ha prima intimato una dieta ferrea, poi ha dichiarato alla platea che lui, se fosse licenziato, si rimboccherebbe le maniche.
Il miscuglio di rabbia e indignazione che ribolle nel ventre della città non si vede in superficie. Esclusi sei giorni di lavoro al mese gli operai se ne stanno in famiglia, o ciondolano per le strade. "Qualcuno cerca di arrotondare lo stipendio, ridotto a 7-800 euro, con qualche lavoretto in nero, ma certe nicchie sono ormai monopolizzate da africani e rumeni", dice Giuseppe Saccoia, in catena di montaggio da quasi 35 anni. Se i giovani non torneranno presto a indossare le loro tute da Cipputi, dice, rischieranno di finire intrappolati nelle maglie della camorra. Il prefetto getta acqua sul fuoco. "Il sistema non ha mai reclutato operai, figuriamoci quelli della Fiat. A Pomigliano i rischi veri", conclude Pansa,"sono l'indebitamento, il boom dell'usura, l'infiltrazione della criminalità nelle piccole imprese".
L'operaio Saccoia scuote la testa e sorride amaro. Dice che è sempre stato legato alle istituzioni, al sindacato, ai partiti. Stima il presidente Giorgio Napolitano, che ha votato quando era candidato a Bagnoli. Oggi racconta che se tutto andrà in malora anche lui si unirà alla lotta. "Io ancora oggi credo in una democrazia compiuta. Ma voglio proprio vedere quale giudice avrà il coraggio, dopo che sono stato mortificato come uomo e come lavoratore, di dirmi in faccia che sono un terrorista".

Nessun commento:

Posta un commento