sabato 25 aprile 2009

”Quel” 25 aprile

di Maria Rosa Calderoni
No. Per conto mio, mi metto fuoririga e fuoriluogo. Il 25 Aprile non è di tutti, e noi non siamo tutti uguali, non ancora; l’antifascismo non è uguale o simile al fascismo e nemmeno il fascismo è uguale o simile all’antifascismo. No, non ancora. Sono diversi. restano diversi.

E anche noi siamo “diversi”, restiamo diversi, ci piace di esserlo e di restarlo, in questi tempi di orizzonte piatto, dove valori ruoli partiti nomi e cognomi tendono a mescolarsi, a confondersi, a rimpicciolire le distanze, a farsi contigui. All’insegna volgare dell’uno che vale l’altro (o quasi). No. «L’unità morale del nostro popolo? Una comune e serena riflessione»? La verità di Fiuggi « che tutti i democratici erano antifascisti, ma non tutti gli antifascisti erano democratici»? No. Non vediamo dove due visioni e due concezioni (non solo della politica, ma della storia, del mondo, dello spirito,
della cultura) che non hanno niente in comune possano incontrarsi; né dove né perché. L’ecumenismo, a volte, può far rima con il nullismo; o peggio, con la resa. Può servire a far dimenticare chi siamo, da dove veniamo, quanto è costato. A introiettare le parole altrui, magari avversarie, e a non trovare più le nostre. Ci congratuliamo con il presidente della Camera, se alla fine l’ha capita pure lui, che l’idea “giusta” di nazione (e non solo di nazione...) era la nostra, meglio tardi che mai. Ma per favore, non facciamo finta che oggi tutto si equivale e che l’ambivalenza è il “nuovo” valore che conta. Nessuno può appropriarsi della storia che non ha avuto, e l’equiparazione, nonostante i tempi grigi che corrono, resta quella che è: un falso.
Con il nostro cuore “allegro e veloce” - è l’espressione di un poeta - ce ne infischiamo degli alti pensieri di tanti accidiosi revisionismi; per conto nostro - con tutte le nostre bandiere e tutti i nostri ideali - continuiamo a salutare quel 25 Aprile in cui abbiamo creduto e continuiamo a credere.
Quello in cui hanno creduto i nostri padri combattenti, i nostri fratelli e i nostri compagni che hanno dato la vita. Siamo generosi - lo siamo sempre stati - ma non immemori.
Tutto ciò che di grande e importante e duraturo c’è in questo Paese, lo si deve a “quello”, al nostro 25 Aprile, così come l’abbiamo conquistato e difeso: la Costituzione che oggi tutti lodano (anche Fini, meglio tardi che mai), la libertà, la democrazia, l’emancipazione sociale.
Conquistato con le armi, in una lotta che - non dimentichiamolo - è stata dura, sanguinosa e spietata. Conquistato e poi difeso tenacemente, giorno per giorno, in tutti questi lunghi anni, con l’impegno, l’intelligenza, la dedizione, il sacrificio di milioni di persone (i nostri compagni, nell’accezione larga del termine).
No, state tranquilli; quando diciamo noi, non intendiamo dire solo «noi comunisti», no; nella Resistenza hanno combattuto con noi socialisti, liberali, cattolici; ma di questa lotta noi comunisti - sissignori, è storia documentata - siamo stati una parte grande, e ci piace ricordarlo. Questo fa parte della nostra antropologia, ci piace ricordarlo. E questo, questo “nostro” 25 Aprile, col suo sogno di riscatto della politica, del popolo, della società, nessuno può oscurarlo né confonderlo.
Siamo imperfetti, non siamo riusciti a raggiungere tutto ciò che volevamo e che anche avevamo promesso, una società più giusta e civile.
Per questo resistiamo ancora, per questo siamo qui ancora. Siamo imperfetti, abbiamo anche commesso errori e abbiamo subito sconfitte. Ma siamo qui, e abbiamo le nostre buone ragioni.
Perché, è questo forse il tempo in cui l’Italia può guardare «con fiducia al futuro e con serenità al passato», come ci vengono a dire, con l’alibi antico della sempre invocata “unità dell’Italia”, l’alibi
buono per tutte le stagioni, e tutti i misfatti, disgraziate guerre incluse? L’unità su che cosa, di grazia. Sui mille morti del lavoro all’anno?; sui 200 milioni (di euro) di buonuscita per Romiti e i 1000 mensili scarsi dello stipendio operaio?; sulla “privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite” in vigore oggi ancor più che ai tempi del vecchio Marx (come la global crisi insegna)?
Macché. Non siamo uguali.
Siamo diversi.

Nessun commento:

Posta un commento