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lunedì 4 maggio 2009

Roma contesta il razzista Lieberman

Oggi lunedi 4 maggio, la Roma antirazzista e no-war protesta in Largo di Torre Argentina, contro la visita in Italia del ministro degli esteri del nuovo governo israeliano Lieberman.
Leader della destra radicale, è arrivato ieri sera a Roma, prima tappa di un tour che proseguirà a Berlino, Parigi e Praga. Lieberman sarà ricevuto da Berlusconi, dal presidente della Camera Fini, e dal collega Frattini. La visita, ufficialmente incentrata sulle sorti del processo di pace mediorientale sara' l'occasione per mettere a punto la cooperazione militare tra Italia e Israele e giunge alla vigilia del vertice italo-egiziano a Sharm el Sheikh e precede i colloqui negli Usa del presidente Obama col premier Netanyahu e con Abu Mazen.
Uno striscione recante la scritta «Lieberman go home, Palestina libera» è comparso ieri sera sull'autostrada Roma-Fiumicino. Con questa iniziativa - si legge in una nota di Forumpalestina - comincia «la mobilitazione contro la presenza di chi propugna la pulizia etnica per la popolazione palestinese e contro la complicità italiana con la politica di apartheid e di occupazione israeliana della Palestina». Nel ribadire che «Lieberman non è un ospite gradito in Italia», Forumpalestina ricorda la manifestazione di protesta organizzata per le 18 di oggi nel centro di Roma, in largo Torre Argentina.
Le seguenti associazioni e forze politiche, Forum Palestina, Donne in Nero, Comitato Palestina nel cuore, Sport sotto l’assedio, UDAP, Associazione Punto Critico, Associazione La Villetta, Associazione Altrimondi, Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Critica, Rete dei Comunisti, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Comunista dei lavoratori, Collettivo Antagonista Primavalle , CIP, Coordinamento Giovani in Lotta, Rete Semprecontrolaguerra…., in solidarietà con il popolo palestinese considerano la visita del ministro israeliano una vergogna e contestano la permanenza a Roma di Lieberman.

www.forumpalestina.org

mercoledì 29 aprile 2009

Francia, studenti e medici scendono in piazza insieme

di Anna Maria Merlo
Due cortei che si fondono in uno, medici e ospedalieri da un lato, ricercatori e studenti dall'altro, ognuno con le proprie rivendicazioni, ma con un malessere comune: tutti contro l'irruzione della logica mercantile ed economicista nel servizio pubblico. I ricercatori erano ieri alla loro undicesima manifestazione dall'inizio del movimento, che, con fasi alterne, continua malgrado le forti pressioni della ministra Valérie Pécresse, che minaccia di far perdere l'anno se i corsi non saranno completati prima delle vacanze estive. In venti università sulle 85 che conta la Francia, l'agitazione resta forte. A Lione II, lunedì ci sono stati alcuni incidenti, in occasione del voto per levare il blocco dei corsi organizzato dal rettorato: ha votato una piccola percentuale, meno del 15%, più dell'80% è favorevole alla ripresa dei corsi, mentre il principale sindacato degli studenti, l'Fse (legato alla sinistra radicale) aveva invitato al boicottaggio delle urne. Dopo gli scontri, l'università è stata chiusa. Al di là di questo episodio violento, i ricercatori hanno percepito in grande maggioranza come una «provocazione» la recente decisione del consiglio dei ministri di approvare la riforma che li riguarda, con qualche ritocco rispetto al testo originale, malgrado la forte opposizione degli ultimi mesi. La contestazione riguarda la logica economicista che il governo vuole imporre.
E' la stessa protesta che ha ora raggiunto gli ospedali. Qui, per la prima volta, si è formato un fronte comune del personale sanitario, dai grandi professori fino a tutti i dipendenti. Ieri, nel corteo parigino - 20 mila persone, secondo gli organizzatori, 8 mila per la polizia - c'erano anche alcuni nomi famosi della medicina francese che hanno sfilato dietro lo striscione «contro l'ospedale-impresa». La riforma preparata dalla ministra della sanità Roselyne Bachelot significa «l'onnipotenza del direttore dell'ospedale - afferma Bernard Debré, figlio di un primo ministro di De Gaulle ed ex ministro della sanità in un governo di destra - ma io avevo l'impressione che fossero i medici a curare i pazienti, non il direttore». I medici contestano la logica dell'ospedale-impresa, che annullerebbe la specificità della sanità pubblica, applicando i criteri di gestione delle cliniche private, gerarchizzando le decisioni, tutte in mano al presidente-manager. Venticinque grandi professori di cliniche universitarie hanno firmato un testo di condanna della riforma, «la cui parola-chiave non è più la salute ma la redditività. La preoccupazione centrale non è più il malato, ma il budget dell'ospedale». La riforma Bachelot non è però contestata da tutti. Claude Evin, presidente della Federazione ospedaliera di Francia ed ex ministro della sanità socialista, la ritiene «assolutamente necessaria» e «lungi dall'essere liberista». François Chérèque, della Cfdt, afferma: «Non sono sicuro che difendendo il potere dei medici si difenda l'ospedale».

venerdì 24 aprile 2009

G8 Ambiente. Il controvertice sfila nelle strade di Siracusa

di Simone Di Stefano
SIRACUSA - La solita girandola di cifre sui presenti, tra chi minimizza riducendo il corteo ad una scampagnata e gli organizzatori che invece parlano di numeri consistenti. Se la verità è nel mezzo allora i presenti al contro-corteo del G8 di Siracusa di ieri erano alcune migliaia. E chi si aspettava vetrine in frantumi e cassonetti rigirati stavolta sarà rimasto deluso perché mai come oggi la scia di manifestanti ha regolarmente concluso il suo percorso nella più risoluta compostezza.
Eppure la giornata non era iniziata nel migliore dei modi. L'arresto di un cittadino polacco colto in possesso di un coltello non aveva fatto altro che alimentare le paure dei negozianti ignari degli appelli del sindaco Roberto Visentin a sedare gli «inutili allarmismi», tanto che stamattina per il centro di Siracusa diverse erano le serrande abbassate. Il corteo è però partito da Piazza Sgarlata senza arrecare danno a nessuno. Presenti come di consueto i soliti caschi blu, i manganelli e la Polizia a cavallo, ma stavolta nessun intervento e solo ordinaria amministrazione. A parte un allarme bomba in tarda serata ieri, che ha destato i visi tirati dal sonno dei poliziotti. Tutto rientrato dopo che gli artificieri hanno fatto brillare il contenitore, che altro non era se non una vecchia cassa acustica. «La scelta di Siracusa limita la partecipazione a livello nazionale. Quindi qui sono presenti soprattutto giovani siciliani. Siamo qui per manifestare il nostro forte dissenso rispetto alla dissennata politica ambientale che ci propinano i partecipanti del G8», ha spiegato l'ex parlamentare e leader dei no global, Francesco Caruso, alla testa del corteo. Molte le sigle: Prc, Sinistra e Libertà, No dal Molin, Cobas e anche migranti africani richiedenti il permesso di soggiorno. Una folta rappresentanza di Rifondazione ha accompagnato il corteo fino all'ingresso di Ortigia, dove si svolge il vertice internazionale sull'ambiente e dove era prevista la conclusione della manifestazione. Oltre a Ramon Mantovani (direzione nazionale Prc), anche il segretario regionale Luca Cangemi, che ha lanciato una frecciata a chi temeva incidenti. «A Siracusa - ha affermato Cangemi - è stato diffuso un terrore ingiustificato della nostra iniziativa che ha colpito e preoccupato la città. Ma ciò nonostante dalla Sicilia sono arrivate delegazioni da tutte le nove province. Siamo contenti comunque che il nostro contro-vertice, due giorni di incontri tra associazioni varie, abbia avuto un grande successo riuscendo a mettere insieme tutte le più grandi vertenze ambientali e sociali dell'isola». Nel frattempo 19 ministri discutevano, approvavano, rimandavano. Contento il ministro dell'ambiente danese, Connie Hadegaard, che ritiene «questo G8 un passo avanti rispetto ai precedenti incontri». Poi continua, «dovrebbe arrivare un messaggio molto chiaro ai capi di stato alla Maddalena a luglio». Contenta del vertice anche Lega Ambiente che ha apprezzato la Carta sulla biodiversità che ne è scaturita. Ma poi c'è anche chi crede che «da 40 anni questi signori girano per il mondo per dire che c'è un problema ambientale ma loro stessi non hanno alcun interesse a bloccarlo», ha spiegato Francesco Caruso. A giudicare dal dolce girar circense il leader no-global non è troppo lontano dal vero. A forum ancora in corso, infatti, già si guarda alla prossima conferenza sulla protezione della biodiversità che si terrà ad Atene il 27 aprile e ultima in ordine di tempo arriva anche la decisione che il G8 della Maddalena è stato spostato a L'Aquila. Così i Summit internazionali diventano nomadi …

Scontri a Kfar Qassem, ancora ordini di demolizioni per abitazioni di palestinesi. Oggi nuova manifestazione a Bil'in

È di cinque agenti israeliani contusi e diversi dimostranti arrestati il bilancio degli scontri verificatisi nel cuore della notte di ieri nel villaggio arabo-israeliano di Kfar Qassem, dove le forze di polizia erano arrivate per eseguire un ordine di demolizione della magistratura di un edificio in costruzione ritenuto abusivo. Secondo Ynet, l'agenzia online del giornale israeliano Yediot Ahronot, 400 abitanti del villaggio, armati di sassi e bottiglie molotov hanno atteso l'arrivo delle forze dell'ordine. Quattro dimostranti sono stati arrestati sul posto, mentre altri fermi sono in corso in queste ore in base alle identificazioni effettuate dopo gli scontri.
"Sono venuti di notte come ladri, ma eravamo pronti ad accoglierli", ha detto un abitante a Ynet, contestando come un pretesto il richiamo alle norme edilizie dietro l'ordine di demolizione. Le autorità israeliane sono impegnate in una serie di procedure di demolizione in aree contese - in particolare nella zona di Gerusalemme est, a maggioranza araba - denunciate dai palestinesi come altrettanti tentativi di modifica degli equilibri etnici e che hanno suscitato preoccupazioni anche da parte di Usa e Ue.
“Oggi come ogni venerdì la gente di Bil’in protesterà pacificamente davanti il muro costruito dagli israeliani, ma questa volta ricorderà Bassem che la scorsa settimana è stato ucciso dai soldati per la sola colpa di rivendicare in maniera pacifica la terra espropriata del suo villaggio”: la vice-presidente del parlamento europeo, Luisa Morgantini, raggiunta dalla MISNA a Bil’in, racconta la storia di questo villaggio che ha perso il 65% delle sue terre coltivabili a causa della costruzione di un muro di separazione da parte di Israele. “C’è anche una sentenza della Corte israeliana che ha dato ragione agli abitanti ma che è stata finora disattesa da esercito e governo” continua la Morgantini sottolineando come ciononostante la reazione della gente sia sempre stata affidata a manifestazioni di protesta pacifiche.
“Purtroppo non è così dall’altra parte del muro - dice - tanto che la scorsa settimana Bassem, un palestinese molto noto a Bil’in e da sempre animatore di parecchie iniziative, è stato colpito a morte da un candelotto lacrimogeno sparato da brevissima distanza”. A Bil’in sarà una giornata speciale in suo ricordo, ma anche per la presenza di numerose delegazioni straniere venute qui in occasione della IV Conferenza annuale della resistenza non violenta all’occupazione israeliana. “Delegati pervenuti da ogni continente – ha detto ancora la vice-presidente del parlamento europeo – stanno discutendo di forme di lotta non violenta e popolare. Noi stessi, nell’ambito del parlamento, stiamo cercando di evitare che l’Unione Europea potenzi gli accordi attualmente in vigore con lo stato israeliano”. Boicottaggi e proteste pacifiche, oggi anche a nome di Bassem, le cui immagini stampate in grandi poster campeggiano per le strade di Bil’in accanto alla bandiera palestinese.

Palestina: Israele uccide un manifestante a Bil'in
Quando ancora non si sono sopite le polemiche internazionali sorte intorno alla conferenza di Durban2, giunge, già vecchia di qualche giorno, questa nuova, orribile testimonianza dei metodi "democratici" dello stato d'Israele: l'uccisone di un palestinese (pacifista!).
Dal solo filmato ora visibile si vede chiaramente e senza ombra di dubbio che: tutti i manifestanti dimostravano in modo assolutamente non violento urlando slogan. Bassem Abu Rahme (questo il suo nome)è in prima fila visibilissimo e senza intenzioni di lanciare pietre o qualsiasi altro oggetto i soldati sparano i candelotti sembra di nuova fattura ad altezza d'uomo al punto da colpire in pieno petto Bassem.
La protesta di Bil'in - che vede palestinesi insieme a pacifisti israeliani ed internazionali - si batte da anni contro il Muro della vergogna voluto da Sharon. Muro che, in data 9 luglio 2004, è stato dichiarato illegale dalla corte internazionale dell'aja. ( è comunque legittima indipendentemente dal giudizio del tribunale in quanto opposizione ad un'occupazione straniera). Muro nche serve solo a permettere l'annessione di nuovi territori alla popolazione palestinese per darla ai coloni che si insediano violando così la quarta convenzione di ginevra.
Tutto questo le potenze occidentali non solo non lo condannano ma continuano ad appoggiare permettendo ad israele di fare il bello e il cattivo tempo. Boicottare i prodotti israeliani disdire gli accordi con quelle università israeliane che hanno programmi di ricerca nel campo militare o artisti che appoggiano la politica del loro governo è una necessità inderogabile.

Video dell'ennesimo omicidio di stato:


giovedì 23 aprile 2009

G8 Ambiente. Difendiamo l’ambiente, la vita e il lavoro dai “grandi” della terra

COORDINAMENTO REGIONALE SICILIANO “CONTRO G8”

Dal 22 al 24 aprile la città di Siracusa sarà sede del summit G8 sull’ambiente. I ministri per l’ambiente degli otto governi cosiddetti più grandi del mondo, grandi sostenitori e applicatori delle politiche liberiste, grandi inquinatori, grandi devastatori, grandi responsabili del declino inarrestabile del Pianeta e dell’oppressione dei suoi abitanti, arriveranno a Siracusa e si barricheranno dentro il castello Maniace dell’isola di Ortigia.
A otto anni dalla rivolta di Genova gli 8 grandi troveranno ad attenderli, con la stessa determinazione di sempre, i movimenti che hanno riempito le piazze di tutto il mondo per opporsi al neoliberismo, allo sfruttamento, alla guerra, alla devastazione del pianeta. Sono movimenti presenti anche in Sicilia impegnati da sempre a difendere i territori, la salute, la vita, sostenere l’Antimafia Sociale, affermare i diritti fondamentali, costruire la solidarietà ai migranti, salvaguardare il valore delle differenze e le ragioni delle minoranze.
Siracusa rappresenta il simbolo della distruzione ambientale e umana, causata da sfruttamento estremo del territorio in nome dello “sviluppo a tutti i costi” a esclusivo vantaggio del profitto privato e del gioco dei politicanti locali, così ben rappresentati in parlamento e al governo, poggiante su solide saldature tra massoneria, politica, mafia.
La scelta di questa città come sede del summit sull’ambiente, voluto dalla ministra per l’ambiente Stefania Prestigiacomo, è paradossale perché l’area siracusana, limitrofa al triangolo della morte “Priolo-Augusta-Melilli” e all’area di Noto sfregiata dalle trivellazioni, è tra le più inquinate d’Italia e si appresta a superare ogni primato con l’arrivo di un rigassificatore e un inceneritore previsti dal governo di cui la Prestigiacomo fa parte.
Non dimentichiamo che la ministra, col possesso di tre aziende di famiglia presenti nel triangolo della morte (Coemi spa, Vetroresina engineering development, Sarplast –fallita), è una vera “figlia d’arte” quanto a pertinace impegno antiambientale. È anche azionaria di un’azienda gestita dal padre (Ved), sulla cui testa incombono processi per bancarotta fraudolenta, trattamento e smaltimento illegale di rifiuti, violazione delle norme di sicurezza nei confronti dei dipendenti. Eppure, con questo curriculum, con inverosimile spudoratezza osa ergersi a paladina dell’ambiente!
L’operato della famiglia Prestigiacomo ci sembra emblematico di un sistema di potere governativo. Le classi politiche che hanno amministrato questi territori possono fregiarsi di molti record negativi su scala nazionale e internazionale. Da mezzo secolo le multinazionali del petrolio e della chimica hanno inquinato aria, terra, acqua e annientato ogni forma di vita, ingannando la popolazione col miraggio del posto di lavoro. Le persone sono state e sono aggredite dai veleni, le famiglie sterminate dal cancro, la popolazione espropriata della speranza di un futuro, frustrata dall’impossibilità di consegnare un avvenire ai figli, la cui vita, come quella di ogni essere vivente dell’area siracusana, è segnata da rischio certo. Questo accade in un territorio, quello siciliano, che da sempre ha vissuto sulla propria pelle le scelte spregiudicate di un potere coloniale che impone privatizzazione di beni comuni come l’acqua, attua ostili processi di militarizzazione, espropria intere fette di territorio alle popolazioni locali (la base di Sigonella), si accinge a progettare e costruire, con costi altissimi per la popolazione, macchine di morte come inceneritori, rigassificatori e centrali nucleari, realizza il grande carcere per migranti a cielo aperto di Lampedusa e molti altri “guantanamo”, nostrani, semisegreti. E per non smentire l’arroganza colonialista del governo italiano, a coronamento del danno, si annuncia la beffa: un ponte faraonico, devastante per il territorio e di cui nessuno ha bisogno tranne l’avidità di governanti, ideatori e costruttori, palese espressione di delirante megalomania, estranea alla realtà e antitetica ai bisogni reali di sostegno e tutela delle popolazioni e dei luoghi.
Denunciamo questi attacchi contro la Sicilia e conosciamo anche cosa gli impostori del G8 fanno “per l’ambiente” sull’intero pianeta. I G8, riuniti per trattare a gran voce questioni ambientali, vanno a programmare nuovi saccheggi, impoverimenti, disastri sempre più traumatici per il pianeta, per il suo ecosistema, per l’umanità, praticando a livello mondiale quanto a livello locale agiscono i loro vassalli.
Non sapendo e non volendo cambiare rotta, scelgono di servirsi di vaste regioni della terra per farne sterminate discariche e preferiscono trasformare in nubi di diossina gli scarti del sovraconsumo di massa che hanno indotto, quando è ormai improrogabile ripensare i modelli di vita e di produzione/consumo e investire sulle conosciute e sane energie rinnovabili e sulle innocue e proficue, anche in termini di posti di lavoro, tecniche di riciclaggio dei rifiuti.
Il peggioramento delle condizioni di vita di interi pezzi di popolazioni testimonia il fallimento delle teorie economiche neo-liberiste, generatrici del drastico aumento della sperequazione sociale, della totale precarizzazione del lavoro in nome della “flessibilità”, della scomparsa del lavoro stesso.
Quello che è stato sbandierato e propinato al mondo come migliore “modello di sviluppo”, attraverso l’innesco di un processo di omologazione planetaria di consumo detta globalizzazione, è figlio dell’ultimo ruggito dell’esasperato capitalismo che ha scelto l’autocapitalizzazione della finanza, da un lato, e lo sfruttamento estremo di risorse e lavoro, dall’altro. Due vortici senza controllo e senza limiti, voluti e garantiti dai governi, che scaricano sugli anelli più deboli della catena il prezzo impagabile di questa escalation: lavoratori schiavizzati, popolazioni allo stremo, risorse in prosciugamento, cancellazione di ecosistemi. Il modello di sviluppo globale “all’infinito” inciampa e si infrange di fronte ai confini fisici del pianeta per l’incompatibilità fra la pretesa vorace e la disponibilità che si riduce, una pseudofilosofia che deve fare i conti con gli equilibri degli ecosistemi globali e locali, con le ricchezze delle diversità culturali e con i relativi tessuti sociali.
Le scelte dei governi di socializzare il debito e privatizzare gli utili, attraverso le elargizioni “statali” a banche e imprese, stanno aggravando i processi involutivi ancora a danno delle popolazioni. Addirittura si pretende di andare nella stessa direzione, come nel caso italiano, inventando inutili, rovinosi e costosissimi ecomostri da fare gravare sulle comunità, imponendoli con la forza, attraverso repressione del dissenso e militarizzazione dei territori.
Ma non possono e non devono essere queste le scelte volte a sanare i disavanzi pubblici prodotti da comitati d’affari, oggi direttamente governanti, coinvolti in vorticosi traffici miliardari; non dovranno essere pagati dai cittadini i debiti causati dalla finanza “creativa” che ha preteso di considerarsi sganciata dall’economia reale.
Noi, figli di questa terra devastata, non vogliamo stare a guardare un G8 che mortifica la vita e offende l’intelligenza. Reclamiamo la partecipazione attiva della popolazione perché cominci finalmente a divenire protagonista delle scelte del proprio destino e di quello dei luoghi a cui appartiene. Non aspettiamo che i grandi avvoltoi ed il loro seguito di sciacalli banchettino coi nostri
cadaveri. Invitiamo tutti a impegnarsi per la preparazione di questo importante appuntamento e a lavorare per proseguire, dopo questa tappa, su un percorso responsabile di riappropriazione del diritto di autodeterminazione.
Chiamiamo a raccolta ogni forma di aggregazione sociale, culturale e politica e quante altre persone disposte a impegnarsi per cambiare questo stato di cose attraverso un ampio fronte di dissenso contro coloro che giocano con i destini della nostra terra e delle nostre comunità. Ancora una volta pensiamo che i conflitti sociali siano l’unica via d’uscita dalle crisi e continuiamo la nostra lotta al sistema di sfruttamento e alle istituzioni nazionali e sovranazionali che lo rappresentano.
Il coordinamento regionale “Contro G8” promuove tre giorni di mobilitazione a Siracusa, 22, 23 e 24 aprile, in cui si contesterà con determinazione il vertice di Ortigia e si confronteranno proposte concrete, coniugabili con la tutela primaria del pianeta, dell’integrità dei suoi molteplici equilibri, di tutti i viventi, dell’umanità tutta e dei suoi diritti fondamentali.

mercoledì 22 aprile 2009

Molex e Continental: scene di lotta di classe dalla Francia

di Marco Santopadre
Sono stati liberati ieri sera i due dirigenti della Molex Automotive, filiale francese della statunitense Molex, sequestrati ieri mattina da alcuni dipendenti nella sede di Villemur-sur-Tarn, nei pressi di Tolosa: lo hanno reso noto fonti della Prefettura della Haute-Garonne, dove in serata dovevano iniziare i negoziati fra azienda e dipendenti. La Molex aveva annunciato nell'ottobre scorso di voler chiudere l'impianto per trasferire le attività in Cina, con la perdita di 300 posti di lavoro: nel corso di una riunione d'impresa (fra rappresentanti sindacali e dirigenti, prevista per legge in Francia) tuttavia è saltato fuori che la dirigenza sapeva dei piani di smobilitazioni da molto prima dell'annuncio ufficiale e da mesi avrebbe già iniziato a stornare le materie prime ad altri stabilimenti all'estero, il che ha scatenato la rabbia dei dipendenti. I due dirigenti sequestrati erano il co-amministratore delegato, Marcus Kerriou, e la direttrice delle risorse umane, Coline Colboc. I dipendenti reclamano la conservazione dello stabilimento e dei propri posti di lavoro anche nel caso in cui l'azienda dovesse decidere di lasciare l'attività: "Devono restituire i materiali e andarsene, perché nessuno vuole più lavorare perla Molex, ma devono anche lasciarci 100 milioni di euro di indennità per aver mentito e rubato da quando hanno rilevato l'azienda, cinque anni fa", ha dichiarato uno dei rappresentanti sindacali, Denis Parise, che ha aggiunto: "Troveremo un altro acquirente o manterremo noi stessi lo stabilimento". E' il sesto caso di sequestro di dirigenti avvenuto in Francia in poco più di un mese: il 12 marzo scorso l'amministratore delegato della Sony francese era stato virtualmente sequestrato dai dipendenti e costretto a passare la notte nella fabbrica di Pontonx-sur-l'Adour, che chiuderà ad aprile; e non si può evitare di notare come nelle ore immediatamente successive sia stato concluso un accordo che migliorava sensibilmente le condizioni di allontanamento dei lavoratori. Il 23 marzo era invece toccato al direttore dello stabilimento della 3M di Pithiviers, liberato dei giorni dopo dietro l'impegno a riprendere i negoziati sulle condizioni di allontanamento di 110 dipendenti; il 30 marzo era stata la volta di cinque manager della Caterpillar France, rilasciati anche qui con l'impegno e riprendere i negoziati sulla ristrutturazione del gruppo, che prevedeva oltre 700 licenziamenti. Il giorno successivo il patron della Ppr, il miliardario Francois Henry-Pinault, era stato bloccato per un'ora a Parigi da un centinaio di dipendenti, che avevano circondato la sua auto; l'8 aprile tre manager della britannica Scapa erano stati sequestrati per 24 ore e rilasciati dopo che l'azienda aveva accettato di raddoppiare la cifra disponibile per le buonuscite. Azioni causate dalla grave situazione di crisi e che per la maggior parte dei sindacati sono "legittime": "Non dico di approvarle, ma mettetevi nei panni di questi lavoratori che non hanno nulla da perdere", sottolineava un rappresentante di Force Ouvriere, mentre Cgt e Solidaires facevano notare come "la violenza fatta ai dipendenti vittime di un licenziamento è ben più grave".
Il governo e i partiti di destra continuano a stigmatizzare quella che definiscono l’inaccettabile ‘ricorso alla violenza’ da parte degli operai, mentre le autorità continuano a richiamare tutti al rispetto dello ‘stato di diritto’. Certo alcune notizie diffuse dalla stampa non contribuiscono a placare la rabbia dei lavoratori: l’ultima, ieri, parla di una liquidazione di quasi 850 mila euro per il manager di una grande azienda transalpina.
E sempre ieri alcune decine di operai dell'azienda Continental hanno assaltato e fortemente danneggiato nel pomeriggio gli uffici della sotto-prefettura di Compiegne, nell'est del Paese, dopo che il tribunale aveva respinto una loro richiesta di annullare o sospendere la chiusura della loro azienda. Gli uffici sono stati danneggiati, computer e documenti buttati a terra, come è stato mostrato da immagini televisive trasmesse da varie emittenti. Molti danni materiali, ma nessuna persona è rimasta ferita. Continental, azienda di pneumatici tedesca, ha annunciato l'11 marzo la chiusura del sito francese di Clairoix dove lavorano 1.120 persone. Qualche settimana fa il direttore di Continental era stato fischiato nel corso di un'assemblea con i dipendenti, preso a colpi di uova e costretto a lasciare di corsa la fabbrica.

martedì 21 aprile 2009

Ginevra. La Conferenza dell'ONU sul razzismo rivela l'isolamento dell'Europa e di Israele.

I delegati della maggioranza del pianeta applaudono il discorso del presidente iraniano

Sono le 15 e 30 passate da poco quando l’attacco del presidente iraniano Amadinejhad a Israele, mai nominato, va a segno, sia pure con toni meno veementi che in passato (nessun auspicio alla sua «cancellazione dalle carte geografiche»). Nel suo intervento alla Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo, il capo dello Stato iraniano ha infatti nuovamente attaccato Israele: «Dopo la fine della Seconda guerra, loro (gli alleati, ndr) hanno fatto ricorso all'aggressione militare per privare una nazione intera delle sue terre, prendendo come pretesto la sofferenza ebraica», ha affermato. «Hanno mandato degli emigranti dall'Europa e dagli Stati Uniti per creare un governo razzista nella Palestina occupata», ha sottolineato Ahmadinejad. I rappresentanti dei 23 Paesi dell’Unione europea che avevano scelto di non boicottare la Conferenza (fra loro Francia, Gran Bretagna e Spagna) si alzano e abbandonano l’Assemblea, come avevano annunciato in caso di attacchi a Israele da parte del presidente iraniano. Ahmadinejad, interrompe il discorso. Aspetta il silenzio e riprende: «È necessario mettere fine agli abusi dei sionisti e di chi li sostiene», dice leggendo dal testo, adesso. Ma è quando accusa «gli Stati occidentali di essere rimasti in silenzio di fronte ai crimini commessi a Gaza» che gran parte dell’assemblea - composta ormai in maggioranza dai rappresentanti dei paesi arabi, africani, asiatici e dell'America Latina - applaude in modo visibile e scrosciante rivelando al mondo che i paesi europei non sono più i "rappresentanti del mondo" ma solo una parte di esso e neanche più quella principale.

Israele. I sopravvissuti ai lager nazisti vivono in miseria e dimenticati dal governo

Migliaia di sopravvissuti dell'Olocausto che vivono in Israele devono ancora ricevere gli aiuti garantiti loro dallo Stato, nonostante siano state introdotte nuove leggi negli ultimi due anni per migliorare le loro condizioni di vita. Lo riporta il sito web del Jerusalem Post. Secondo le statistiche fornite ieri dal ministero del Welfare israeliano, poco più della meta dei 243mila sopravvissuti che vivono in Israele hanno ricevuto finora aiuti da parte dello Stato. Il Jerusalem Post ha inoltre appreso che appena 2.300 persone hanno beneficiato degli aiuti addizionali previsti da una legge del marzo 2008, che avrebbe dovuto aiutare circa 8mila sopravvissuti, in gran parte immigrati della ex Unione Sovietica. Per i gruppi no-profit oltre un terzo dei sopravvissuti della Sohah vive al di sotto della soglia di povertà. Oggi in Israele si celebra la Giornata della Memoria, in cui vengono ricordati i sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti. Ieri sera, nel corso della cerimonia di apertura, il premier Benjamin Netanyahu ha promesso ai sopravvissuti che il suo governo si impegnerà a fornire la massima assistenza possibile.

G8 blindato, ma ci sarà il controvertice

Nasce un cartello contro il summit. In previsione un forum e una manifestazione

di Costantino Cossu
I servizi di sicurezza, che lavorano a ritmi serrati in collaborazione con l'Interpol, hanno già fatto scattare la prima delle tre cinture di sicurezza che blinderanno il G8 in programma dall'8 al 10 luglio alla Maddalena. Saranno sbarrate le porte di accesso all'isola su tutto il Mediterraneo con un sistema che prevede, fra l'altro, il controllo dei flussi turistici alle frontiere. E mentre l'aeroporto «Costa Smeralda» di Olbia si prepara alla chiusura, sono allo studio i dati sulla capacità operativa dell'aeroporto di Alghero, su cui verranno dirottate molte delle tratte del «Costa Smeralda» nel periodo del vertice.
Intanto si precisano meglio le iniziative del fronte anti-G8, rinvigorite dalle recenti mobilitazioni contro il G20 di Londra e la Nato a Strasburgo: organizzazioni, reti e movimenti che si battono per dare uno sbocco a sinistra alla crisi della globalizzazione neoliberista e controvertici, come quello in programma alla Maddalena, che violano le più elementari regole di controllo e di partecipazione democratica. Per il momento sono quarantacinque le organizzazioni che si sono messe insieme. Meno che al G8 di Genova 2001 (dove erano più di 500 da tutto il mondo), ma comunque tante considerando che per il momento si tratta di una mobilitazione solo italiana e in un luogo pressocché inaccessibile. Per il momento, quello che è sicuro è che è stato aperto uno spazio pubblico all'interno del quale confluiranno i manifestanti che da tutta Europa potrebbero decidere di venire a contestare il summit, come accade di solito a ogni appuntamento dei Grandi.
Tra le organizzazioni che hanno aderito ci sono Arci, Cagliari Social Forum, Cantiere Sociale Alguer, Carta per l'altra Europa, Cobas, Gettiamo le basi, Altra agricoltura, Legambiente, Liberazione sarda, Manifesto sardo, Sos Razzismo, No logo global project, Partito comunista dei lavoratori, Rete Lilliput, Rifondazione comunista, Rifondazione sarda per la sinistra, Sinistra critica. Sabato si sono riunite a Cagliari in un'assemblea dalla quale è uscita la decisione di promuovere, nel periodo precedente il summit, la più ampia mobilitazione. Bisogna innanzitutto coordinare le attività già programmate dalle singole organizzazioni e poi mettere in campo nuove iniziative, in Sardegna e sulla penisola. L'impegno è quello di definire un calendario di tutte le manifestazioni e di pubblicizzarlo. Ma è solo il primo passo.
«Come culmine delle iniziative - si legge nel documento uscito dall'assemblea - vogliamo realizzare un forum internazionale in Sardegna per dare forza e massima visibilità alle vertenze, alle lotte, alle risposte e alle alternative alla crisi che si vivono in Sardegna, in Italia, nel mondo. Dentro il forum, che si svolgerà con la stessa metodologia di spazio pubblico del Forum sociale mondiale, tutto questo avrà piena cittadinanza». Resta ancora da stabilire se il forum avrà la durata di tre giorni (dal 7 al 9 luglio) o di due (dall'8 al 9 luglio). In entrambi i casi, comunque, la prima giornata del forum sarà dedicata alle lotte e alle vertenze sarde e al dialogo con i soggetti sociali che le rappresentano. «In quanto alla località più adatta per fare il forum - si legge nel documento - si terrà conto, alla luce della trattativa che andrà svolta rapidamente con le autorità governative, di un mix di condizioni: massima vicinanza possibile alla Maddalena, qualità dell'accoglienza e degli spazi disponibili per un numero ottimale di partecipanti, adeguata presenza dei mezzi di informazione, ambiente sociale e politico del luogo prescelto».
L'assemblea di Cagliari ha anche deciso di organizzare, per il 10 luglio, una manifestazione internazionale in una località sarda la più vicina possibile alla Maddalena. «Il luogo ove si svolgerà il forum e quello della manifestazione - specifica ancora il documento approvato dall'assemblea - non necessariamente dovranno coincidere: dipenderà da una serie di valutazioni politiche e logistiche che saranno valutate nel corso della prossima assemblea, che si terrà a Cagliari il prossimo 4 maggio». Quel giorno nascerà il comitato organizzatore che preparerà sia il forum sia la manifestazione del 10 luglio.

lunedì 20 aprile 2009

Ginevra. E' cominciata la Conferenza dell'ONU sul razzismo boicottata da USA, Israele...e Italia

Si apre a Ginevra, con l'intervento inaugurale del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, la conferenza sul razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia promossa dalle Nazioni Unite, meglio nota come 'Durban 2'. Assenti, oltre all'Italia, una serie di nazioni che hanno deciso di boicottare il summit che rischia, dicono, di mutarsi in un processo a distanza a Israele: ai lavori non partecipano Stati Uniti, Italia, Germania, Australia, Canada, Olanda, Nuova Zelanda e Israele.
Barack Obama ha difeso il no degli Usa ribadendo di essere un presidente che "crede nell'Onu" ma spiegando di non poter accettare il "linguaggio controproducente" contenuto nella bozza del documento finale. Evidentemente si crede nell’Onu purché non tocchi l’impunità di alcuni stati.

domenica 19 aprile 2009

Francia, mini-blackout elettrici la nuova protesta dei lavoratori

Piccoli black-out, la luce elettrica a intermittenza, la fornitura del gas interrotta per qualche ora. E' l'effetto della protesta dei lavoratori di Edf e Gdf [electricité e gas de France] che sta provocando disagi a migliaia di utenti in tutta la Francia. Da tre settimane, i dipendenti delle due compagnie energetiche sono in agitazione. Oltre alle giornate di sciopero (l'ultima giovedì) alcuni lavoratori hanno deciso di interrompere la fornitura o di diminuire la potenza di alcune utenze. Secondo un primo calcolo, sarebbero già 66.500 le famiglie colpite dalla protesta.
Mercoledì un ospedale della città settentrionale di Douai è rimasto senza corrente per 40 minuti, così come i settanta anziani dell'ospizio di Mazères, nel centro del paese. A Brest, in Bretagna, oltre 6.200 case e 650 imprese hanno avuto un fornitura ridotta per un'intera giornata e molti negozi sono stati costretti a chiudere anticipatamente. "Sono senza gas da due giorni: ci laviamo con l'acqua fredda", racconta Danièle Hoffmann, una madre di due bambini nel Val d'Oise, intervistata da Le Parisien. In questa regione non lontano da Parigi sono rimasti al buio decine di case popolari e un grande centro commerciale.
Dopo il "sequestro" dei manager in alcune fabbriche, le "interruzioni selvagge" degli operai energetici sono un ulteriore segnale della radicalizzazione del conflitto sociale nel paese. E' la prima volta in anni recenti che la protesta dei lavoratori ha ricominciato a usare mezzi di rivendicazione illegali. "Un tabù è caduto", ha notato con preoccupazione il giornale Le Parisien, che teme un diffusione di questi fenomeni spontanei, senza il filtro di una rappresentanza sindacale, tradizionalmente debole e divisa nel paese. Finora, le principali sigle sindacali, come la Cgt, hanno infatti giustificato le azioni dei dipendenti definendoli "sintomo di disperazione" ma anche come un modo per conquistare visibilità.
Gli amministratori delle compagnie energetiche hanno invitato i sindacati a tornare al tavolo delle trattative. Secondo un portavoce si tratta di "atti isolati compiuti da una piccola minoranza di lavoratori". Più severo il giudizio del premier, François Fillon, che ha parlato di "sabotaggi" e ha detto che il governo non tollererà altri black-out. "Manifestazioni di violenza non hanno nulla a che vedere con il dialogo sociale", ha detto Fillon. Un concetto ribadito dal ministro del Lavoro, Brice Hortefeux. "Queste interruzioni di corrente elettrica non sono assolutamente equiparabili al legittimo diritto di sciopero".

sabato 18 aprile 2009

Usa, militari che torturarono immuni per Obama

Tutti assolti. Meglio immuni, perché le torture ci furono. Emerge in questa prima parte del mandato Obama quello che alcune (poche) voci avevano cercato di far sapere; la Cia ha torturato - dal 2001 al 2004 - con pratiche diverse, efferate. E nel giorno della "riflessione", Obama fa pubblicare quattro memorandum dai quali emerge molto. Come le tecniche di interrogatorio autorizzate che andavano dall'annegamento simulato alla privazione del sonno, all'esposizione del freddo o del caldo. Il numero due del Dipartimento di Stato - Richard Armitage - ha confermato che contro presunti terroristi, o meglio contro i "combattenti nemici" dell'America, riconducibili alla lista nera pubblicata dall'agenzia informativa americana, venne ogni metodo di guerra.
Ovviamente si tratta di un ennesimo strumento pubblicitario, dopo la chiusura di Guantanamo, per far sapere al mondo della presunta svolta di questo "nuovo corso" che dovrebbe chiudere i siti neri in Asia, Europa dell'Est. Ma, come sta succedendo per la questione economica e quella militare - sull'agenda del presidente americano - oltre le parole c'è una continuità che va garantita. Intanto dunque si rende evidente, per chi ancora ne avesse dubbi, che le orribili immagini emerse da Abu Ghraib, dall'Afghanistan non sono eccezioni, o fatti isolati di singoli militari, ma parte di una quotidianità di comportamento dell'esercito a stelle e strisce.

venerdì 17 aprile 2009

Altri 5 manager in ostaggio in Francia: liberati dagli operai dopo dieci ore

I dipendenti dell'azienda Faure e Machet contestano il piano di ristrutturazione.
I dirigenti sono stati chiusi nella sala riunioni. L'attività della fabbrica verrà trasferita nel 2010 in Malaysia.

PARIGI - Oltre 120 dipendenti dell'azienda francese Faure e Machet (gruppo Fm Logistic) hanno tenuto per dieci ore in ostaggio cinque membri della direzione a Woippy (Mosella), nello stabilimento che dovrà chiudere entro il 2010: protestano contro le condizioni poste per i licenziamenti.

CHIUSI IN SALA RIUNIONI - Giovedì mattina i manager sono stati chiusi nella sala riunioni, perché sono state giudicate «insufficienti» le misure prese per compensare al piano di licenziamenti, ha indicato un delegato sindacale. Nessuna tensione, assicurano i dipendenti, che hanno concesso ai manager di andare al bagno e ristorarsi. Fino alla liberazione, in tarda serata. L'attività della fabbrica verrà trasferita nel 2010 in Malaysia e verranno soppressi 498 posti di lavoro. I dipendenti chiedono indennità superiori a quelle assegnate dalla direzione. «Giudicando le misure insufficienti, circa 125 lavoratori hanno deciso di mettere pressione ai dirigenti chiudendoli a chiave nella sala congressi» ha detto Bruno Damien del sindacato Cfe-Cgc.

lunedì 13 aprile 2009

Il Grande gioco non serve

La politica dell'escalation non porterà alla pace in Afghanistan e nel resto della regione.
di Noam Chomsky
Fin dall'antichità la regione che oggi chiamiamo Afghanistan è stata d'importanza strategica per i grandi conquistatori, da Alessandro Magno a Gengis Kan e Tamerlano.
Nell'ottocento l'impero russo e quello britannico si contesero l'Asia centrale, affrontandosi nel cosiddetto Grande gioco.
Nel 1893 sir Henry Mortimer Durand, un ufficiale dell'esercito coloniale inglese, tracciò una linea lunga più di duemila chilometri per delimitare il confine occidentale dell'India governata dalla Gran Bretagna.
La Linea Durand tagliava in due le zone abitate dai pashtun, che gli afgani consideravano parte del loro territorio. Nel 1947 l'area nordoccidentale della regione fu di nuovo divisa per creare il Pakistan.
Ancora oggi, nella zona di confine tra Afghanistan e Pakistan, il Grande gioco continua.Questa regione, che si estende da una parte e dall'altra della debole e permeabile Linea Durand, ora è chiamata, in modo appropriato Afpak.
La popolazione non ha mai accettato questa linea di confine e anche lo stato afgano non l'ha riconosciuta.
È un fatto storico incontestabile che gli afgani sono sempre riusciti a cacciare tutti i loro invasori. Ma l'Afghanistan rimane ancora il premio geostrategico del Grande gioco.
Il presidente statunitense Barack Obama ha deciso d'intensificare la guerra nell'Afpak, portando avanti l'escalation dell'amministrazione Bush.Attualmente l'Afghanistan è occupato dagli Stati Uniti e dai loro alleati della Nato.
La presenza militare degli stranieri non fa che aggravare il conflitto, mentre quello che servirebbe è uno sforzo comune delle varie potenze regionali – comprese Cina, India, Pakistan e Russia – per aiutare gli afgani a risolvere i loro problemi interni in modo pacifico.
Alle manovre delle grandi potenze si contrappone un forte movimento per la pace, che sta crescendo anche in Afghanistan. I suoi attivisti chiedono la fine dei combattimenti e l'avvio di negoziati con i taliban.Accettano volentieri l'aiuto degli stranieri per la ricostruzione e lo sviluppo, ma non a scopi militari. Questo movimento sta raccogliendo molti consensi tra la popolazione locale.
Le prossime truppe americane che arriveranno, quindi, non dovranno affrontare solo i taliban. Come ha scritto Pamela Constable sul Washington Post, dovranno fare i conti anche con "un nemico disarmato ma altrettanto pericoloso: l'opinione pubblica del paese".
Molti afgani sono convinti che "invece di aiutare a sconfiggere gli insorti e a ridurre la violenza che dilaga in tutto il paese, l'arrivo di altre truppe straniere peggiorerebbe la situazione".
La maggior parte degli afgani intervistati dalla giornalista ha dichiarato che "preferirebbe un accordo negoziato con gli insorti a un'intensificazione della campagna militare. Molti hanno ricordato che i taliban ribelli sono afgani e musulmani come loro, e che il paese ha sempre risolto i suoi conflitti interni attraverso gli incontri tra le comunità e le tribù".
La prima richiesta del presidente afgano Hamid Karzai a Obama è stata la fine dei bombardamenti contro i civili. Karzai ha anche dichiarato a una delegazione dell'Onu che vorrebbe un piano di ritiro delle forze straniere (cioè statunitensi).
Così facendo ha perso il sostegno di Washington e ha smesso di essere il leader preferito dei mezzi d'informazione occidentali, che ora lo descrivono come "corrotto" e "inaffidabile". Forse è vero, ma se lo è oggi, lo era anche quando lo chiamavano il "nostro uomo" a Kabul.
Secondo la stampa statunitense, Washing­ton e i suoi alleati vogliono metterlo da parte e sostituirlo con un leader scelto da loro.Un corrispondente esperto come Jason Bur­ke del Guardian ha scritto: "Stiamo ancora cercando di costruire non lo stato che vogliono gli afgani, ma quello che secondo noi dovrebbero volere. Se chiedete a un afgano a quale paese si augura che somigli il suo tra qualche decennio, vi risponderà l'Iran".
In questo scenario l'Iran ha un ruolo particolarmente importante. I suoi rapporti con l'Afghanistan sono molto stretti. Teheran si oppone al ritorno dei taliban e ha offerto aiuti sostanziosi al governo di Kabul per combatterli. Come ringraziamento è stata inserita nell'Asse del male.
L'Iran ha più interesse di qualsiasi altro paese ad avere come vicino un Afghanistan stabile e prospero. E, naturalmente, è in buoni rapporti con Pakistan, India, Turchia, Cina e Russia. Se gli Stati Uniti continueranno a impedire a Teheran di avere buoni rapporti con l'occidente, la sua intesa con Mosca e Pechino potrebbe rafforzarsi.
Durante la recente conferenza sull'Afghanistan dell'Aja Karzai ha incontrato alcuni alti funzionari iraniani, che si sono impegnati ad aiutare Kabul nella ricostruzione e nella lotta al fiorente traffico di droga.
La politica dell'escalation non porterà alla pace in Afghanistan e nel resto della regione. La cosa più importante è che gli afgani siano liberi di risolvere da soli i problemi del paese. Senza interferenze da parte di stranieri più o meno coinvolti nel Grande gioco.

venerdì 10 aprile 2009

Fiat prigioniera: Belgio, sequestarti anche tre manager

«Non li lasceremo fare, la legge va rispettata» aveva detto lunedì Sarkozy riferendosi ai casi dei "sequesti dei manager". Parole inutili perchè proprio nel pomeriggio altri quattro dirigenti della Scapa, azienda britannica produttrice di adesivi e colle industriali, venivano presi in ostaggio dai dipendenti in sciopero. Dopo aver trascorso la notte nello stabilimento, sono stati liberati mercoledì pomeriggio.La crisi economica, i tagli sul personale, la delocalizzazione degli stabilimenti: un mix esplosivo che ha portato, nel solo ultimo meso, a quattro sequestri. Quello della Sony il 12 marzo, quello della 3M di Pithiviers il cui manager è stato liberato dopo giorni dietro l'impegno a riprendere i negoziati sulle condizioni di allontanamento di 110 dipendenti. Poi ancora il 30 marzo e i cinque manager della Caterpillar France, rilasciati dopo aver promesso di bloccare 700 licenziamenti. E infine quello della Ppr, durante il quale il miliardario Francois Henry-Pinault è stato bloccato a Parigi da un centinaio di dipendenti che avevano circondato la sua auto. Sempre ieri, in serata, un altro sequesto. Quello del direttore della Faurecia, a Sud-Ovest di Parigi, che produce componentistica per auto. Anche in questo caso un blitz dei lavoratori, furiosi per i licenziamenti previsti, ha impedito i piani di ristrutturazione e delocalizzazione.
E ieri altri due. Il primo nella zona sud ovest di Parigi, alla Faurecia che produce componentistica per auto. Risoltosi in poche ore, dopo aver avuto sicurezze per 34 posti di lavoro. Il secondo invece nel vicino Belgio, a Bruxelles. Alla Italian Automotive Center, la più importante concessionaria Fiat del paese. I tre manager della fabbrica torinese, uno italiano e due belgi, sono stati sequestrati per alcune ore, poi rilasciati solo dopo aver assicurato di congelare il piano di ristrutturazione dell'azienda che prevedeva 24 tagli su 90 addetti. Il Lingotto, da parte sua, si è prontamente attivato per scaricare i tre, dicendo che non si tratta di "vero sequestro" ma di una trattativa. Probabilmente per evitare "pubblicità negativa" di ritorno, che riconfermerebbe come neppure gli spot di Obama siano riusciti a smuovere la situazione della Fiat.





di Anna Maria Merlo
I francesi fanno scuola. Ieri alle 13,45 tre dirigenti dell'Italian Automotive Center (Iac) di Bruxelles, una concessionaria Fiat, Alfa Romeo e Lancia che dipende direttamente da Torino, sono stati bloccati in due stanze dai dipendenti, che hanno occupato per tutto il pomeriggio l'accesso agli uffici della direzione. Ieri sera i tre dirigenti sono potuti uscire, ma senza fare nessuna dichiarazione. Il sindacato Fgtb, che nega che si sia trattato di un «sequestro», ha precisato che i lavoratori hanno occupato l'accesso agli uffici per chiedere una trattativa chiara, ma che i dirigenti rifiutano di rispondere. E alla fine, « sono stati fatti uscire». Secondo il sindacalista Louis Van Heddegen, della Csc, la Fiat ha l'intenzione di chiudere la filiale di Schaerbeek a causa delle perdite di esercizio: 14 operai e 10 impiegati perderanno il posto. Fiat Belgio occupa, in tutto, 90 persone. Da due mesi, dal 12 dicembre scorso, sono in corso trattative con i sindacati. Ma il dialogo è bloccato. Di qui la protesta dei lavoratori. I contatti con i dipendenti che occupavano i locali sono stati tenuti direttamente dal Lingotto.
Il caso della Fiat Belgio arriva dopo una serie di sequestri in Francia, tattica che ha già fatto proseliti in Gran Bretagna. Secondo un sondaggio, il 45% dei francesi approva o almeno comprende questi gesti disperati. Per René Valandon, di Force ouvrière, c'è «molta ipocrisia» attorno a questi episodi. Quando succede, «c'è sempre dietro un rifiuto della direzione di discutere. Capisco la disperazione dei lavoratori. Il sequestro è un ultimo ricorso, perché non hanno nessuno con cui parlare. Non l'approviamo, ma non lo condanniamo. Si tratta, sempre, di casi particolari. La gente non accetta di venire disprezzata». Stessa analisi dall'Italia. Giorgio Cremaschi, della Fiom, afferma che «la gente sta male dappertutto per la crisi, è un fatto giusto e sacrosanto che dei lavoratori della Fiat si arrabbino se l'azienda non cambia. Ci sono segnali di rilancio, ma solo per il gruppo e gli azionisti, non per i dipendenti. C'è ancora tanta cassa integrazione e lo stabilimento di Pomigliano è ancora fermo».
In Francia, la radicalizzazione delle reazioni dei lavoratori si sta diffondendo. Ieri, il Medef (la Confindustria francese) ha diffuso un appello alla calma e al rispetto della legge. L'organizzazione padronale si è detta «preoccupata» per queste derive: «Qualunque sia la gravità delle situazioni riscontrate - dice un comunicato del Medef - non è accettabile che si deroghi alla legge». Per il Medef, «le risposte ai conflitti sociali devono trovarsi nelle trattative libere e consenzienti tra le parti, attraverso l'intervento dei poteri pubblici, nel quadro delle loro prerogative e, se è il caso, con il ricorso alla giustizia».
Ma i lavoratori che scelgono gli atti radicali denunciano l'assenza di dialogo, tanto più forte in Francia anche a causa della debolezza oggettiva dei sindacati (pochi iscritti, solo l'8% sul totale degli occupati). Ieri, l'Eliseo aveva invitato una delegazione della Caterpillar a venire a discutere della crisi del'azienda e dei licenziamenti previsti. Ma gli operai hanno rifiutato di venire a Parigi: «Che Sarkozy venga da noi - hanno affermato - non andiamo da chi ci ha trattati da delinquenti». Sarkozy aveva difatti aspramente stigmatizzato il sequestro di 5 dirigenti alla Caterpillar a Grenoble a fine marzo. Per Luc Chatel, portavoce del governo francese, i qsequestri sono «inammissibili». Ma il ricorso a questa forma estrema di lotta si diffonde perché i lavoratori sono esasperati dal fatto che hanno la netta sensazione di essere i soli - o almeno i più esposti - a pagare la crisi.

mercoledì 8 aprile 2009

Decine di arresti e uccisi 2 studenti in Turchia. Ora sì che può entrare in Europa...

Mentre in Europa (con Obama come sponsor) si continua a parlare dell'ingresso della Turchia nell'UE, le forze di sicurezza di Ankara continuano ad uccidere.Vista la capacità di stravolgere gli eventi, l'avamposto Nato nel Medio Oriente può ora ritenersi soddisfatto: ha fatto valere le sue ragioni, ed ha fatto capire ai propri alleati in Europa e nel mondo come si possa cucire la bocca alle opposizioni. Contro chi ha a cuore la questione Curda, la questione delle minoranze politiche e religiose, l'importante è affermare l'identità nazionale della Turchia moderna, che tanto ha da condividere con il nazionalismo europeo. La Turchia ed i suoi lupi grigi gridano a gran voce "we can". Il prezzo è alto, ma all'Europa ed agli americani non interessa se a rimetterci è la gente comune, le minoranze, i popoli. L'importante è fermare l'Iran.
Riportiamo il comunicato della delegazione Europa Levante che racconta la repressione contro gli studenti scesi in piazza per denunciare l'uccisone di quattro loro colleghi.
Amed 7 aprile 2009 - Questa mattina gli studenti dell'Universita' di Amed hanno manifestato pacificamente denunciando l'uccisione dei due ragazzi il 4 aprile a Amara e l'arresto, avvenuto ieri durante il primo sit in, di 26 studenti di cui 15 sono ancora in stato di fermo.

Circa un migliaio di giovani dalle 9.00 hanno partecipato al presidio gridando slogan contro la violenza del governo e contro il primo ministro T. Erdoðan. Uno degli studenti uccisi, un giovane di 21 anni, era proprio della "Dicle University". La zona centrale dell'universita' era presidiata da un tank e da numerosi poliziotti in assetto antisommossa che hanno circondato gli studenti fino all'arrivo del sindaco della citta' O. Baydermir, della parlamentare del DTP A. Tuðluk e di S. Demirtaþ che sono intervenuti ed hanno portato il loro sostegno e solidarieta' accompagnati dall'avvocato M. Erbay (presidente IHD Amed) e della sindaca neo-eletta della Municipalita' di Baðlar A. Baran.
La presenza della polizia in borghese che filmava gli studenti mentre O. Baydermir parlava ha creato un momento di forte tensione che e' stato mediato dall'intervento dell'avvocato M. Erbey. La polizia, i militari ed i servizi segreti stanno controllando capillarmente sia gli studenti che i rappresentanti delle istituzioni, l'arresto dei 26 giovani avvenuto ieri e' stato preceduto proprio da una intervista di "giornalisti/agenti" agli studenti.
Delegazione Europa Levante

Turchia/ Dimostrazione pro-Ocalan fuori controllo, due morti
In 3mila verso il paesino del leader curdo per 60esimo compleanno
Ankara, 4 apr. (Ap) - Una dimostrazione di sostenitori del leader del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), Abdullah Ocalan, attualmente detenuto in un supercarcere sull'isola di Imrali, è finita fuori controllo nel sud-est della Turchia, dove sono stati registrati scontri tra polizia e migliaia di manifestanti che tentavano di raggiungere il paese natale del leader dei ribelli curdi per celebrare il suo sessantesimo compleanno. Secondo l'agenzia Dogan, la polizia è ricorsa a idranti e lacrimogeni per disperdere la folla di circa 3mila persone. L'agenzia di Stato turca, Anatolia, ha riferito che nove persone sono rimaste ferite e due di loro sono poi morte in ospedale. Le immagini della tv turca hanno mostrato centinaia di dimostranti che lanciavano pietre contro poliziotti e soldati. Gli agenti in tenuta anti-sommossa hanno preso posizione sulla cima di una collina per impedire ai manifestanti di raggiungere Omerli, il paese dove Ocalan è nato il 4 aprile del 1949.

lunedì 6 aprile 2009

G20: giudizi e bilanci su di un fallimento

Il G20 è finito e tutto quello che ha lasciato dietro di sé è l'incapacità dell'attuale ceto politico delle super-potenze a governare le prime instabilità della crisi (figuriamoci programmarne una fuoriuscita!). Squilibri, Nord-Sud, disparità sociali, crisi economica, tensioni internazionali sono il lascito di un modello di sviluppo mondializzato che ha egemonizzato le partiche e i discorsi degli ultii 30 anni.
Un'egemionia oggi però quantomai in declino... chi sarebbe oggi disposto ad avallare l'indiscutibilità del pensiero e modello unico neoliberista? Sono proprio i capi di stato ed i banchieri a invocare oggi intervento statale... certo per loro, nell'ottica capitalistica di socializazione delle perdite.
I Comunisti e i movimenti anticapitalisti oggi, possono ben dire di aver sempre avuto ragione, di aver intravisto e interpretato tendenza e direzione di questo modello di squilibrio.
Proponiamo a questi links 2 commenti/letture sugli esiti (fondalmente nulli) del recente G20 consumatosi a Londra, per i movimenti il conto da fare con una nuova - e potenziale - composizione sociale del conflitto; per i padroni del mondo, la celebrazione di un'impotenza.
Il primo articolo è un commento di J.Halevi sui global imbalances lasciati inalterati- e come era possibile fare altrimenti?- dal G20 e forieri di cattive notizie sul fronte della situazione economica.


Il summit e i conflitti intercapitalistici
di Joseph Halevi
Sul Financial Times del 31 marzo Martin Wolf aveva stabilito un semplicissimo criterio per valutare le decisioni dei G20. Riusciranno questi paesi a spostare la distribuzione della domanda mondiale dai paesi in deficit a quelli in surplus per farli spendere ed importare? L'ipotesi di Wolf, rivelatasi esatta, era che non avrebbero nemmeno tentato di farlo. Come osserva il New York Times la riunione ha approvato, tramite il Fondo monetario internazionale, dei fondi in caso di crisi di pagamenti da parte dei paesi in via di sviluppo e delle linee di credito per un totale di 1100 miliardi di dollari ma non ha varato alcuna misura diretta di stimolo della domanda. I G20 non erano quindi politicamente in grado di affrontare il nodo cruciale posto da Wolf. Per scioglierlo però bisogna rompere la deflazione salariale in Europa e riorientare le strutture produttive sia del Giappone che della Cina.
La Francia e la Germania non vogliono sentir parlare di stimoli fiscali all'economia. Lo scorso ottobre Angela Merkel affermò che non avrebbe speso un ulteriore euro in favore del resto dell'eurozona per non indebolire le capacità finanziarie della Germania. Nell'intervista rilasciata al Financial Times il 27 marzo, riferendosi alla dipendenza dalle esportazioni della Germania, la cancelliera ha detto "è un fatto che nemmeno intendiamo cambiare." Per il governo e il capitale tedesco l'economia non deve essere rilanciata perché, aumentando le importazioni dal resto dell'Europa, se ne dissiperebbero all'estero gli effetti. In forma più paludata le stesse tesi vengono espresse in Francia: se si stimola, si rilanciano principalmente le importazioni. Quindi, dice Sarkozy, per uscire dalla crisi bisogna aumentare la produttività; ovviamente per esportare di più verso l'Europa. Con l'euro, il perno del neomercantilismo intraeuopeo è oggi la deflazione salariale competitiva che rimpiazza le svalutazioni nei tassi di cambio del passato. La garanzia risiede in una moneta austera, quasi aurea, come il franco francese degli anni Trenta.
Parigi e Berlino sono d'accordo nel proteggere il sistema bancario e di ricondurlo in un alveo istituzionalmente monopolistico con rendite garantite. La Francia ne è un esempio: malgrado le perdite in borsa le banche hanno dichiarato grossi profitti. La crisi è populisticamente vista solo come il prodotto della corrotta finanza Usa che ha esposto le innocenti banche europee alle cartacce del mercato subprime.
A Washington la speranza di rivalutare le cartacce, grazie alle aste truccate di Geithner e Summers, mostra che non ci sono serie intenzioni di riformare il sistema bancario. La volontà di rilancio economico viene abbinata alla difesa delle megabanche ed alla rivalutazione artificiale dei prodotti tossici. Tuttavia gli Usa non si propongono più di agire da importatori globali per via degli squilibri che ciò causa nelle bilance dei pagamenti. Sebbene tale obiettivo sia di difficile attuazione, ha di che preoccupare sia la zona dell'euro che il Giappone. La riduzione del ruolo di importatore mondiale degli Usa comporterebbe una forte svalutazione del dollaro ed un aggravamento della crisi europea dato che Parigi e Berlino non intendono spendere. Il Giappone vorrebbe stimolare, ma non è in grado farlo E' pieno zeppo di capacità produttive eccedentarie ben oltre le possibilità di assorbimento interno. Le strutture industriali del paese sono in sintonia con il ruolo di oligopoli globali delle sue multinazionali. Il Giappone dipende quindi dalla domanda mondiale, cioè dalla Cina e dagli Usa, visto che l'Europa si autocongela nel sistema euro-aureo.
La Cina sta subendo gli effetti più pesanti della crisi: nelle zone esportatrici milioni di persone hanno già perso il posto di lavoro e molti altri milioni li perderanno. Intere aree industriali si svuotano con i macchinari che vengono imballati e/o venduti. Non ci sono delle reali reti di protezione sociale, la sanità è cara, senza lavoro in città non si può vivere. Da un anno venti milioni di operai e operaie sono rientrati nelle campagne assai povere. Anche il governo sollecita i «rimpatri». La Cina intende spendere per mitigare la crisi. Tuttavia le misure adottate finora favoriscono l'industria pesante e quindi aumentano il divario tra consumi ed investimenti.
Ora il problema è l'allargamento del mercato interno del consumo. E' evidente che la Cina si propone di ricalibrare senza abbandonare il modello di crescita attraverso le esportazioni, malgrado questo sia in crisi. Per Pechino diventa impellente affrontare la questione degli attivi in dollari che non rendono, sia per i bassi tassi Usa che per la tendenziale svalutazione del dollaro. Con le esportazioni che non crescono più, il sacrificio inerente alla detenzione di dollari non è compensato da maggiori guadagni nel commercio estero.
La Cina non vuole affondare la barca, bensì porre sul tappeto la governabilità del dollaro e usa il surplus accumulato per aumentare il suo peso politico-legale nel Fondo monetario internazionale. Ma gli Usa non accetteranno ridiscutere il ruolo della loro moneta. Nessuno dei partecipanti al G20 ha un'analisi profonda della crisi ed un relativo schema per discuterne. Ugualmente nessuno tra i cosiddetti economisti ha una visione del futuro come l'ebbe Keynes a Versailles nel 1919, vedendo in maniera lucidissima dove il tutto sarebbe andato a parare.

Il secondo riporta invece i commenti sull'esito delle trattative da parte della stampa anglosassone, come sempre puntuali e non ipocriti, soprattutto sul punto inevaso di cosa fare dei toxic assets e con un episodio alquanto emblematico del nuovo peso della Cina.

Deludente, vago, inadeguato. Il G20 dei media anglosassoni
A leggere la stampa anglosassone, e invece i giornali italiani, sembra che a Londra si siano tenuti due vertici del G20 completamente diversi. Uno, descritto dalla stampa nostrana, avrebbe conseguito successi storici, abolito i paradisi fiscali, imposto nuove norme cogenti al Far west della speculazione finanziaria, iniettato migliaia e migliaia di miliardi nell'economia mondiale: avrebbe posto le basi di un nuovo capitalismo.
Per la stampa americana e inglese il vertice sarebbe stato, se non un insuccesso, certo una delusione. Il più devastante, come al solito, è l'Economist: «L'esito del G20: meglio di niente. Ma può l'Fmi salvare il mondo?» Titolo che non richiede particolari spiegazioni. L'Economist descrive il Fondo monetario internazionale come una sorta di barile in cui sono state scaricate tutte le questioni su cui le diverse parti non trovavano un accordo.
Altrettanto secco il titolo del quotidiano Financial Times: «Le grandi cifre del G20 nascondono profonde divisioni»: «L'enfasi sulle quantità più che sugli accordi concreti serve a mascherare il grande elemento mancante nel comunicato: un nuovo e vincolante impegno a misure specifiche per ripulire gli assets tossici del sistema bancario internazionale», scrive l'organo della City, che prosegue: «I numeri annunciati alla fine di ogni summit internazionale vanno esaminati da vicino, in particolare quelli presentati dal primo ministro britannico che è preceduto dalla sua reputazione d'inflazione numerica e di doppio conteggio».
Altrettanto scettico è l'organo della borsa di New York, il Wall Street Journal: «I leaders delle nazioni del gruppo del G20 hanno annunciato giovedì misure che - hanno detto - aiuteranno a risollevare l'economia mondiale, ma hanno rinviato le decisioni più spinose o le hanno scaricate su istituzioni non abituate a tali responsabilità». E più in là: «Le misure adottate potranno alleviare gli effetti della crisi economica. Ma molte dichiarazioni sono state solo di principio, e dovranno trovare seguito altrove - alcune in un altro vertice G20 più tardi quest'anno». «Il comunicato emesso dal gruppo alla fine dell'incontro non affronta specificamente i problemi che secondo molti sono alla radice della crisi odierna, come il fallimento dei sistemi bancari».
Tutta la stampa anglosassone, in particolare quella americana, insiste sul fatto che Obama non ha ottenuto quasi nulla sul punto che gli premeva di più: «Il gruppo non ha preso nessun impegno su un obiettivo concreto di stimolo, sostenuto dagli Usa. Invece, i leader si sono vagamente impegnati a 'offrire un livello di stimolo fiscale necessario per restaurare la crescita'» (WSJ).
Moderato fallimento è il giudizio del New York Times nel suo editoriale: «In tempi normali non ci aspettiamo molto dai vertici economici. Ma con l'economia mondiale che implode, giovedì i leaders delle maggiori 20 potenze economiche mondiali avevano l'urgente responsabilità di formulare politiche concrete per rimettere in sesto il sistema finanziario globale e rilanciare la crescita. Non ci sono riusciti». E conclude: «Per uscire dalla crisi ci vorrà molto più di quanto è stato fatto a Londra».
Per esemplificare il livello di disaccordo, tutti i giornali citati riportano a lungo un episodio ignorato dalla stampa italiana. Ecco la versione del NYT: «Per più di una tesissima ora, giovedì, Nicholas Sarkozy e il presidente della Cina Hu Jintao si sono scontrati sui paradisi fiscali. Circondati dagli altri 18 leaders, si sono beccati reciprocamente. Sarkozy voleva che il comunicato del G20 nominasse e deplorasse i paradisi fiscali, magari includendo Macao o Hong Kong che sono sotto sovranità cinese. Come ovvio, Hu non ne voleva sapere. Sembrava arrabbiato che Sarkozy stesse di fatto accusando la Cina di lassismo e che il leader francese gli chiedesse di appoggiare sanzioni emanate dall'Ocse (un club di nazioni ricche cui la Cina non partecipa ancora). Secondo il resoconto di funzionari della Casa bianca, Obama ha accompagnato i due a turno, uno alla volta, in un angolo del salone per dirimere la disputa: "Se sostituissimo la parola 'riconosciamo' con il termine 'notiamo'?" ha suggerito Obama. Risultato: nel comunicato finale si legge: "Notiamo che l'Ocse ha oggi pubblicato una lista di paesi che il Global Forum definisce non rispondenti ai criteri internazionali di scambio di informazioni fiscali". Hong Kong e Macao non apparivano nella lista».

sabato 4 aprile 2009

Verso l'assedio del vertice di Strasburgo! Scontri con la polizia, No Nato a ridosso della zona rossa

Le promesse dei giorni scorsi e le prime avvisaglie della mattina si sono concretizzate tutte in questo pomeriggio di battaglia campale tra movimento e forze dell'ordine. Dai 2 lati del Reno i rispettivi cortei francese e tedesco hanno colpito e polverizzato nel fuoco il simbolo politico e militare della divisione statuale e gerarchica dei territori nazionali. I due palazzi delle rispettive Dogane sono andati in fumo sotto un lancio fitto di bottiglia molotov. L'Unione tra le 2 sponde di stati ex nemici non è stata sancita dalla passeggiata dei capi di stato ma da questo atto di guerra all'organizzazione capitalista del dominio.
Dal primo pomeriggio sono aumentati di intensità gli scontri con delle forze dell'ordine impegnate in un uso non comune della forza: oltre 50 i feriti registrati. La maggior parte dei feriti è stata provocata dai lanci di lacrimogeni e dai proiettili di gomma, sparati dalle forze dell'ordine in assetto antisommossa.
Dopo che il corteo principale (circa cinquemila persone) ha preso il via nei pressi della riva francese del Reno, decine di giovani incappucciati hanno appiccato incendi a un posto di frontiera francese abbandonato e a un albergo, e hanno saccheggiato una stazione di rifornimento e una farmacia. Gli scontri più duri si sono verificati nei pressi del Ponte d'Europa che collega Francia e Germania.
L'alto rischio di nuovi scontri ha avuto una conseguenza sul vertice: la polizia francese ha cancellato parte del programma delle first lady, che avrebbero dovuto visitare un ospedale per malati di cancro.
Aggiornamento h 17: Gli scontri stanno continuando massicci dalla parte francese. Colpito e briuciato anche un grosso ufficio del Tgv (Alta Velocità francese). La polizia ha spezzato il corteo in tanti sotto-gruppi. Uso massiccio della forza: lacrimogeni, bombe stordenti, manganellate e pestaggi indiscriminati. Tanti pezzi del corteo sono ora circondati. La polizia sembra interessata a non concedere la possibilità di disperdersi.
Ascolta la diretta con la nostra inviata Francesca (h 17.00)
Ascolta la diretta con la nostra inviata Francesca (h 15.30)
Quanti pretendevano già morte le istanze del movimento No Global si son dovuti ricredere di fronte alla ripresa fiammante di questi giorni, a Londra prima, a Strasburgo poi. Semplicemente - ma è un dato che non può che farci ben sperare - quelle istanze si stanno socializzando, da convinzioni di avanguardie politicizzate diventano patrimonio comune di consapevolezza per masse che stanno misurando sulla propria pelle la natura brutale del capitalismo nelle prime battute di questa sua crisi sistemica. A Londra sono stati pezzi di middle class senza più referenti cui guardare, a Strasburgo la miscela sociale (post)coloniale di banlieues mai integrate e un proletariato rabbioso saldato insieme alle punte più avanzate e radicali dell'antagonismo europeo.
Quelli che si volevano liquidare come meri appuntamenti ritualistici e residuali si stanno invece evidenziando come cartine di tornasole e visibilità di istanze radicali che covano nelle metropoli europee.
Strasburgo ci dice quel che avrebbe potuto essere la battaglia su Vicenza e il No Dal Molin se solo la si fosse voluta intendere come battaglia NoWar anti-imperialista, proiettandola su un piano europeo ed internazionale, e non meramente localistico-comunitario. A dimostrazione, se ancor ce ne fosse il bisogno, che determinante e centrale resta la soggettività politica e radicale dei movimenti di piazza. A Strasburgo sono stati i sindacati e i partiti della Sinistra a sentirsi obbligati a scendere - e difendere, pur nelle differenze - il piano di conflitto determinato dai gruppi autonomie antagonisti. Dal dopo-Genova in avanti, nel nostro paese, si è perso troppo tempo a rincorrere invece il punto ottimale di compatibilità, nello stemperamento di quelle spinte allo scontro che l'Europa, e la crisi che la attraversa, stanno riportando in primo piano.
Foto maninstream:
Repubblica.it (video)
Corriere.it (video)


Vertice Nato: Strasburgo brucia, guerriglia e decine di feriti


Duemila manifestanti sono già riusciti a penetrare nella zona del palazzo della Musica, dove si tiene il summit


Mentre la Nato si prepara ad affrontare la sua giornata clou del vertice dell'Alleanza Atlantica, a sessant'anni dalla sua creazione, iniziano a prendere forma anche le mobilitazioni di protesta, le quai hanno visto già nei giorni scorsi momenti di tensione e scontro ai margini di Strasburgo. Viene mantenuto da parte delle autorità il divieto di manifestazione, nel tentativo di contenere la protesta e relegarla ai campi dei vari campeggi anti-Nato organizzati. Vertice Nato più blindato che mai, con un dispiegamento esorbitante di forze dell'ordine alle porte di Strasburgo e la creazione di zone rosse ed arancioni in città.
Anche nel pomeriggio di ieri si sono registrate tensioni con la polizia. Gli scontri sono scoppiati quando la polizia in assetto anti-sommossa ha circondato il campeggio anti-Nato di Strasburgo. I manifestanti hanno formato barricate e lanciato sassi e petardi, mentre la polizia ha sparato gas lacrimogeni e usato gli idranti.
Oggi invece, fin dal mattino presto si sono date più iniziative contro il vertice Nato, partite tutte dal campeggio alle porte della città francese e dirette verso il centro cittadino, nel tentativo di avvicinarsi il più possibile a Palazzo della Musica, dove si sta tenendo il summit. Un gruppo di manifestanti è riuscito ad avvicinarsi molto, giungendo ad un chilometro dal centro, riuscendo a percorrere almeno 4 dei 5 chilometri che separano il campeggio da Strasburgo. I manifestanti sono divisi in più tronconi, cercano di prendere posizione nonostante la polizia, addobbata in assetto da guerra, è da ore protagonista di un fitto lancio di lacrimogeni per disperdere le manifestazioni. La manifestazione principale blocca il viale centrale di Strasburgo che porta al centro congressi e anche al centro stampa. 25 persone sono state arrestate negli scontri di questa mattina, la metà dovrebbero essere sulla via del rilascio. Una ventina sarebbero anche i manifestanti feriti dalle cariche della polizia.
E mentre prosegue il tentato assedio al vertice della Nato, che sta ottenendo i primi importanti risultati, alla luce del fatto che tanti diversi gruppi stanno cercando di accedere in città superando i ponti e forzando i blocchi di polizia, ma anche della capacità di un gruppo di oltre 500 manifestanti di spingersi a ridosso della zona rossa, giungendo fino a place de la Republique, uno degli obiettivi di questa mattina, sicuramente il più più vicino al luogo del summit. Nel pomeriggio si svolgerà il corteo vietato a più riprese dalle autorità e che resta non autorizzato: il concentramento, fissato nella zona industriale di Strasburgo, è stato spostato dalle 13 alle 15 per permettere a tutti i manifestanti bloccati alle ricreate frontiere (per l'occasione) di arrivare e partecipare alla manifestazione contro la Nato.
Ascolta la corrispodenza da Strasburgo con la nostra inviata Francesca

venerdì 3 aprile 2009

Vertice Nato: Strasburgo, militarizzazione preventiva: oltre 300 arrestati

Schierati oltre 25mila poliziotti a presidio del vertice Nato che festeggia il 60esimo anniversario.
Massiccia operazione di polizia dopo gli scontri di piazza di ieri a Strasburgo, e alla vigilia delle manifestazioni previste per oggi e domani in occasione del vertice della Nato. La polizia francese ha effettuato 300 arresti, e 105 persone sono ancora in stato di fermo. Per la legge francese, possono restare in detenzione 48 ore prima di essere formalmente incriminati.

Gli scontri di piazza sono cominciati nel pomeriggio di ieri, con i manifestanti che hanno preso a muovere verso il centro città dai loro campi di covergenza poco fuori dal centro. Nella città al confine con la Germania sono stati schierati 25mila poliziotti, incaricati di "tenere a bada" le decine di migliaia di manifestanti attesi a Strasburgo. Durante il corteo di ieri, i giovani hanno esposto degli striscioni chiedendo di porre fine alla repressione a Londra e a Strasburgo. Scontri si sono verificati nel pomeriggio di ieri tra polizia ina ssetto anti-sommossa e migliaia di attivisti. Partiti dal villaggio autogestito per raggiungere il centro-città "fortezza" e manifestare solidarietà alle mobilitazioni contro il G20 di Londra, nel quartiere di Neuhof (sobborgo a sud di Strasburgo) i manifestanti sono stati attaccati dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa con il lancio di gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Gli attivisti si sono difesi con il lancio di pietre, barricate e fuochi d’artificio.
La pianificazione urbanistica della "sicurezza" è stata decisa dai governi francese e tedesco in associazione con i consulenti statunitensi della NATO, scavalcando gli interlocutori cittadini, il sindaco di Strasburgo, Rolan Ries del Partito Socialista, ha dichiarato che non ha avuto scelta di fronte alle richieste degli organizzatori del vertice.
Tantissime le persone bloccate preventivamente nelle strade e autostrade di accesso alla città francese. Un fotografo tedesco dell’Agenzia Ddp è stato colpito da una pallotola di gomma al ventre durante gli scontri. Oggi pomeriggio dovrebbe esserci un corteo; un altro, più grande, è previsto per sabato ma le forze della polizia locale hanno vietato qualunque corteo durante lo svolgimento del vertice...
C'è però un'interessante novità: sinistra istituzionale e sindacati, fino a qualche giorno fa piuttosto diffidenti verso le frange radicali del movimento, sembrano comunque disposte a pretendere agibilità e praticare insieme al movimento la grande giornata di mobilitazione prevista per sabato.
Ascolta la diretta da Strasburgo con la nostra inviata Francesca

Vertice NATO: scontri a Strasburgo - Oggi sono attesi più di 20mila manifestanti
La polizia francese ha effettuato un centinaio di fermi dopo gli scontri fra diverse centinaia di militanti anti-Nato e la polizia. Gli scontri si sono verificati alla vigilia del vertice dell'Alleanza atlantica a Strasburgo.
Video: Strasburgo vertice Nato Mezzi militari assaltati dai manifestanti


Centinaia di manifestanti si sono scontrati ieri nella città francese di Strasburgo con la polizia anti sommossa alla vigilia di un vertice della Nato.
La polizia ha sparato gas lacrimogeni contro i giovani, costringendoli a rientrare in un accampamento allestito per i manifestanti durante il vertice di due giorni che sarà ospitato insieme da Francia e Germania.
I manifestanti nel tentativo di raggiungere il centro della città hanno infranto vetrine, danneggiato auto in sosta e hanno eretto barricate in una strada.
"Dei mediatori nell'accampamento stanno cercando di parlare con gli attivisti e con la polizia e stanno cercando di calmare la situazione", ha dichiarato Reiner Braun, uno degli organizzatori del movimento anti Nato, aggiungendo che la polizia non consente di entrare o uscire dal campo.
"Non abbiamo alcuna simpatia per i vandalismi", ha detto.
I leader della protesta hanno dichiarato di voler portare il caos alla riunione della Nato con mezzi pacifici e la polizia ha avvertito che gli scontri avvenuti al G20 di Londra hanno fatto alzare la tensione.
I manifestanti hanno preso d'assalto un veicolo militare che si era trovato ad attraversare loro la strada, con un giovane dal volto coperto che ha tirato un bastone sul parabrezza del mezzo. Uno dei due occupanti, in uniforme, ha estratto la pistola e l'ha puntata in alto, dando al suo commilitone il tempo di allontanarsi con il veicolo.
In seguito la polizia ha arrestato decine di dimostranti. Ai giornalisti è stato impedito di avvicinarsi alla zona dell'accampamento.
Altri giovani si sono diretti nei boschi circostanti, inseguiti dalle guardie di sicurezza.
Stamattina è atteso l'arrivo del presidente Usa Barack Obama che parteciperà a due appuntamenti a Strasburgo prima di trasferirsi a Baden Baden , appena al di là del confine con la Germania.
La polizia tedesca ha dichiarato di temere che ci saranno degli scontri oggi a Baden Baden quando il vertice Nato comincerà formalmente. Sono attesi circa 20.000 dimostranti.