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lunedì 20 aprile 2009

Europa della vergogna: rimpallo diplomatico tra Malta e Italia, 154 migranti abbandonati al mare per giorni

Un'altra brutta storia si è consumata alle porte europee, risultante di una Fortezza Europa cinica e ignobile. 154 migranti lasciati in balia delle acque del Mar Mediterraneo per 4 lunghissimi giorni d'inferno, con il mare agitato, con il cadavere di una donna a bordo, senza acqua e cibo, senza coperte. Il mercantile turco Pinar giovedi scorso ha tratto in salvo nel canale di Sicilia i migranti, raccogliendoli da 2 barconi alla deriva. Le autorità maltesi hanno coordinato le operazioni di soccorso dell'imbarcazione mercantile, indicando alla porta container diretta in Tunisia di fare rotta verso il porto più vicino, Lampedusa. Il Pinar si è mosso verso la costa italiana, a 20 miglia da Lampedusa è stato bloccato dalle autorità del nostro paese, accesso non autorizzato. 154 persone, tra le quali 37 donne, di cui 2 incinte, e una quarantina di minori sono stati costretti all'attesa dalle diplomazie di Italia e Malta, le quali hanno dato vita ad un grottesco teatrino di scontro diplomatico per 4 giorni, "congelando" i migranti nella loro insostenibile e inaccettabile condizione di ospiti non graditi...
Ben poco ci interessa, in questo momento, analizzare e capire quale sarebbe dovuta essere la soluzione dettata dalle scartoffie dell'Europa. Certo è che 2 paesi dell'Unione Europea, Italia e Malta, si sono consumati in un braccio di ferro di pessimo gusto, rimpallandosi il compito di soccorso e accoglienza, omettendo le loro responsabilità, in un gioco diretto dal protegger i contigui interessi nazionali, politici ed economici... Non ha sicuramente una "cenerentola" questa diatriba, un vergognoso episodio di cui si sono macchiati entrambi i paesi coinvolti, nella conferma di una Fortezza Europa capace di trovar convergenza solamente nelle sue vesti poliziesche, nella repressione dei flussi migratori, nella discriminazione perpetua e nell'incarcerazione coatta dei migranti. Anche questo episodio non può che essere ascritto al fallimento delle politiche implementate nell'ultimo decennio: l'inconsistenza e la fragilità di un sistema incongruo e ideologico si è rivelata in queste drammatiche giornate di impasse, incongruo perchè viziato dalle interpretazioni degli accordi europei e delle convenzioni internazionali fatte dai 2 paesi, ideologico perchè abiettamente improntato nella considerazione dei flussi migranti come rotte da reprimere.

I ministri Maroni e Frattini hanno perso un'altra occasione per redimersi, contrapponendosi vigorosamente a Malta, ostinati sulla strada della non accoglienza, tra appelli all'Unione Europea e minacce diplomatiche. Il premier Berlusconi, eternamente attento anche alle ricadute mediatiche del teatro della politica, ha tolto le "castagne dal fuoco", vista anche la dimensione e la drammaticità che il caso stava prendendo, con focolai di indignazione e potenziali macchie d'immagine: i 154 migranti verranno accolti in Italia, saranno trasportati fino a Porto Empedocle, la Pinar riprenderà il suo viaggio per la tunisina Sfax.

domenica 19 aprile 2009

Manifestazione antirazzista a Pisa: video e report

In questo video, a cura dell'associazione Aut Aut, i principali momenti della grande manifestazione contro l'ordinanza antiborsoni che ieri ha attraversato la città di Pisa.




Manifestazione antirazzista: 3000 no all’ordinanza anti-borsoni
di J. Bonnot
Pisa. La città, come previsto, è stata attraversata da un’imponente e colorata manifestazione a cui hanno partecipato circa 3000 persone. Il corteo ha lasciato con un pò di ritardo piazza Sant’Antonio: una delle tantissime associazioni e comunità senegalesi che avevano annunciato la loro presenza, quella di Piombino, tardava ad arrivare. Ben presto tuttavia il numero di persone era tale che la piazza a stento le conteneva, e si è deciso quindi di far partire il corteo, che subito ha imboccato Corso Italia. Nonostante una sottile pioggia, è prevalsa la volontà di farsi sentire di chi è spesso costretto al silenzio e cori e slogan non si sono fermati un istante. Grande protagonista di essi è stato ovviamente il Sindaco Filippeschi, divenuto simbolo di una politica di chiusura e discriminazione che, se pur diffusa ormai in tutta Italia, a Pisa stentava ad attecchire. Ma interventi e cori non si sono limitati a criticare la famosa ordinanza e la giunta comunale, ma ribadito il fatto che i migranti non sono colpiti solo dal decreto di Filippeschi e da una legge nazionale a dir poco razzista, ma anche da tutti quei problemi che, in questo periodo di crisi, affliggono anche gli italiani: la casa, gli affitti, il lavoro, le difficoltà economiche. Il corteo si è fermato a lungo di fronte al Comune, dove i manifestanti hanno improvvisato un breve sit-in durante il quale non è mancato un minuto di silenzio dedicato alle famiglie colpite dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo, ed è proseguito poi sui lungarni, verso ponte Solferino. Quando la manifestazione è arrivata all’altezza della chiesa della Spina alcuni ragazzi dell’Assemblea Antirazzista hanno srotolato dalla cima dell’ex-Enel – l’enorme palazzo sfitto da anni – uno striscione che recitava “Non c’è sicurezza senza diritti”, e hanno ribadito che l’unico “nero” che a Pisa non è benvoluto è quello degli affitti al nero. Il corteo si diretto infine verso piazza dei Miracoli, dove si è concluso con una serie di interventi fatti proprio nel luogo dal quale tanti dei partecipanti alla manifestazione sono stati banditi. Tutti sono concordi nel ribadire l’importanza di una giornata che ha visto scendere in piazza, fianco a fianco, senza alcun tipo di strumentalizzazione, le comunità senegalesi di tutta la Toscana insieme a tante associazioni, circoli, realtà varie e semplici cittadini, accomunati dal rifiuto netto di ogni tentativo di risolvere complessi problemi sociali attraverso ottusi e semplicistici provvedimenti di ordine pubblico.

CastelVolturno: 18 aprile antirazzista

Una manifestazione di almeno 4000 persone ha percorso in corteo i circa 6 km che dividono l'american palace, storico riferimento per gli immigrati del litorale domizio, dalla piazza di Castelvolturno.
Alle ore 13:30 dopo l'arrivo nella piazza si è tenuta un comizio-assemblea con la presenza di diverse rappresentanze istituzionali che hanno aderito alle ragioni di chi oggi manifestava antirazzismo.
Da quando a settembre è stata il teatro della brutale strage di 6 migranti, la zona di Castelvolturno è diventata il riferimento del pensiero antirazzista campano.
Lo sa bene la polizia, che qui si esibisce in sgomberi spettacolari delle comunità africane, lo sanno bene quanti sperimentano le frizioni e le varie forme di convivenza vivendo da queste parti o arrivandoci ogni mattina alla ricerca rituale del lavoro mattutino nei campi, e non solo .
E’ da qui che ieri si è rilanciato il messaggio antirazzista con una manifestazione di massa, in un paese dove occorre scendere in piazza per ribadire valori e diritti che stanno diventando sempre più illegali.

Brescia: "sicuri dei nostri diritti" manifestazone antirazzista

Diverse migliaia in piazza ieri a Brescia (più di 3.000), cittadini migranti e nativi, contro il Pacchetto Sicurezza e l'istituzionalizzazione delle sue pratiche segreganti. Il corteo è arricchito anche da una battaglia più specificatamente locale, contro le ordinanze liberticide del (vice)sindaco-sceriffo Rolfi, mal sopportate anche da molti* brescian*: impossibilità di mangiare e bere nei parchi, proposta della restrizione del bonus-bebé ai soli nativi italiani oltreché la costruzione di un Cie in città.
Ma la giornata di ieri rispedisce al mittente queste provocazioni e pratica anche la prima violazione del protocollo che vieta il passaggio delle manifestazione nelle vie ad alto traffico automobilistico.
La manifestazione ha visto una fortissima componente di migranti soprattutto egiziani e del subcontinente indiano; la maggior parte sono lavoratori stanziali ormai da anni forza-lavoro stabile della bassa bresciana.
Una giornata di lotta riuscita, visto e considerato che si trattava soprattutto di una mobilitazione cittadina e locale a cui hanno partecipato tutti i soggetti non rassegnati della città: studenti, centri sociali, sindacati di base e gli/le antirazzist*.

venerdì 17 aprile 2009

18 Aprile: contro il razzismo istituzionale, per i diritti de* migranti

A Brescia, Pisa, Castelvolturno e in molte altre città si scenderà in piazza con e per i soggetti migranti, contro la crisi e l'istituzionalizzazione dell'apartheid sociale prevista dal pacchetto sicurezza.
Tra quotidiane aggressioni e pubblica criminalizzazione, i migranti tendono sempre più ad essere individuati come il destinatario prototipico di una rabbia sociale impotente e strisciante. Più pericolosa dei singoli fatti di minuta infamia razzista (più sociale che politica) è invece l'applicazione di un pacchetto legislativo che, per quanto bocciato nelle sue articolazioni più dure - tende alla normazione di una esplicita divisione sociale dell'accesso alla cittadinanza lungo le linee del colore e della provenienza geografica.
Ma dall'autunno passato a questo debutto di primavera i più facili capri espiatori di una crisi che ha ben altre origini e responsabilità non sono rimasti in silenzio: hanno preso parola e prodotto iniziative, di lotta e di resistenza. Dalla spontaneità di massa delle nuove generazioni di nuovi italiani emersa dopo l'assassinio di Abba ai riots seguiti alla strage di Castelvolturno, alle quotidiane e continue rivolte de* tanti detenut* dei troppi centri di identificazione ed espulsione disseminati sul territorio nazionale; all'emersione di una specifica battaglia di esigibilità di diritti per i richiedenti asilo (Lampedusa, Massa, Torino).
Per tutto questo domani si torna in piazza, in direzione di una grande manifestazione nazionale dei e delle migranti il 23 maggio prossimo...


GLI APPUNTAMENTI DI SABATO 18 APRILE:

CORTEO a Brescia contro le politiche securitarie, contro la loro crisi, per i diritti sociali
Sicuri dei nostri diritti contro la loro "sicurezza"
Sabato 18 aprile 2009
ore 16 piazza rovetta (adiacente piazza Loggia) Brescia


Ogni giorno ministri, partiti politici e sindaci (con i mezzi di informazione a rimorchio) ci raccontano che sono gli immigrati il vero problema italiano, il pericolo pubblico del nostro paese. Usano la paura come principale fonte di voti e di consensi, come strumento privilegiato di comando sulla società e di salvaguardia dei propri interessi e privilegi. Promulgano leggi razziali che rendono ancora più ricattabili e precari i migranti, colpendo anche la sicurezza sociale di tutte e tutti. Hanno questo effetto la legge Bossi-Fini, il "pacchetto sicurezza", l'esclusione dei non italiani residenti da bonus e ammortizzatori sociali, la trasformazione della clandestinità in reato, l'obbligo per i medici di denunciare chi non ha un permesso di soggiorno, il divieto di iscrivere all'anagrafe i neonati figli di genitori senza permesso di soggiorno, il prolungamento a sei mesi della detenzione degli immigrati irregolari nelle galere etniche ribattezzate CIE (i centri di identificazione ed espulsione, gli ex CPT).
Per gli uomini e le donne che non si lasciano intontire dall'"emergenza immigrazione" e che invece chiedono giustizia sociale, protestano e si mobilitano per far pagare la crisi (anche a Brescia i disoccupati sono raddoppiati e dilaga la cassaintegrazione) non agli ultimi fra gli ultimi ma ai banchieri, agli imprenditori e ai governanti che l'hanno provocata, la risposta è semplice: è vietato protestare, è vietato organizzarsi e pretendere diritti ed uguaglianza.
Vogliono sostanzialmente cancellare il diritto di sciopero (con la trovata dello "sciopero virtuale"), partendo dai lavoratori del trasporto pubblico e prendendo a pretesto la mobilità dei cittadini. Sempre più spesso le iniziative di lotta degli studenti per la salvaguardia del diritto all'istruzione e la resistenza dei lavoratori di fronte ai licenziamenti, o per la difesa del proprio salario, vengono attaccate dalle forze dell'ordine. Inoltre, proprio in tempi di mobilitazioni nelle scuole e nelle università, il voto in condotta diventa giudizio determinante e quanto mai arbitrario.
L'imperativo è il controllo sociale: la videosorveglianza arriva ovunque, si moltiplicano i corpi di polizia, si istituzionalizzano le ronde leghiste e ricevono legittimazione dall'alto persino i "bravi ragazzi italiani", organizzati in squadracce fasciste, che da tempo in varie città aggrediscono, fino ad ammazzare, immigrati, studenti e attivisti di sinistra. I sindaci della paura spingono l'ossessione securitaria fino alla proibizione dei comportamenti più innocui di coloro che vogliono vivere le vie, le piazze e i parchi pubblici (ad esempio mangiando un panino, bevendo una birra, giocando o solo sedendosi su una panchina...).
Succede anche nella nostra città, dove l'Amministrazione Paroli-Rolfi toglie le panchine da piazza Rovetta, mette divieti ovunque (anche contro il diritto a manifestare), annuncia la costruzione di un carcere per immigrati irregolari (CIE). Arriva persino a rimangiarsi la decisione di concedere un bonus di 1000 euro a tutti i neonati, pur di non darlo anche ai figli di cittadini immigrati, come invece le impongono la costituzione e i ripetuti pronunciamenti della magistratura. Tutto questo nel nome della sicurezza, del decoro urbano, della lotta al degrado.
Brescia sarà anche quest'anno, a metà aprile, la città di EXA, la terza esposizione al mondo di armi leggere, l'unica che non mette alcun limite di accesso al pubblico, nemmeno ai bambini. Con il solito accattivante invito ad armarsi tutti un po' per sport e un po' per difendersi meglio, saranno messe in vetrina le cosiddette armi "leggere", in realtà armi utilizzate anche negli scenari di guerra.
Facciamo appello ai movimenti, alle associazioni, ai lavoratori e alle lavoratrici, ai migranti e alle migranti, agli studenti e alle studentesse, ai cittadini e alle cittadine perché Brescia e la provincia non siano il laboratorio della paura, del controllo sociale, del razzismo.

Per costruire insieme una grande mobilitazione e una grande manifestazione
sabato 18 aprile 2009
ore 16 piazza rovetta (adiacente piazza Loggia)
che attraversi le vie del centro della città e affermi con determinazione e convinzione che libertà, giustizia sociale, dignità e diritti devono essere per tutti e per tutte


Kollettivo Studenti in lotta - C.S. Magazzino 47 - Associazione Diritti per tutti - Confederazione Cobas - SLO (studenti lavoratori organizzati) - Radio Onda d'Urto - Sinistra Critica - Centro Sociale 28 maggio - SdL Intercategoriale - Rete antifascista provinciale - Kollettivo culturale Basso Garda



Pisa: manifestazione regionale contro il razzismo
Pisa, piazza Sant'Antoniosabato 18 aprile, ore 15manifestazione regionale contro
il razzismo.


L'ordinanza antiborsoni, varata dal Comune di Pisa nei giorni scorsi, colpisce duramente il lavoro centinaia di ragazzi stranieri, che al Duomo, sotto la Torre Pendente, nel litorale pisano o in altri luoghi turistici sono costretti alla vendita ambulante per vivere. L'ordinanza antiborsoni è stata firmata senza consultare le comunità immigrate, le associazioni, i rappresentanti degli stranieri. Dopo la firma dell'ordinanza, la Polizia Municipale ha impedito l'ingresso al Duomo di decine di venditori: sono stati controllati, fermati e bloccati solo i cittadini stranieri, indipendentemente da "borse" e "borsoni". E in una città storicamente all'avanguardia nella cultura della solidarietà, abbiamo visto il triste spettacolo della criminalizzazione e dell'esclusione degli immigrati. Molti venditori non hanno un permesso di soggiorno: non possono cercare lavoro, non possono firmare un contratto di assunzione, non possono andare al collocamento pubblico. Sono fantasmi giuridici, a cui le leggi italiane non offrono occasioni per emergere, per vivere una vita regolare. Le comunità immigrate di Pisa da sempre hanno cercato di affrontare la questione della vendita ambulante, partendo proprio dalla regolarizzazione, dai percorsi di inserimento lavorativo. È questo l'unico modo per affrontare i problemi in modo efficace, giusto, rispettoso dei diritti di tutti. L'emanazione dell'ordinanza non ha tenuto conto dei numerosi stranieri ed italiani che in questi mesi con appelli, articoli sulla stampa locale, presidi, manifestazioni chiedevano l'apertura di un tavolo di mediazione istituzionale. L'atto del Sindaco di fatto impedisce a moltissimi giovani migranti l'unico modo che hanno per vivere. Ora queste persone sono alla fame, non sanno come mangiare, come pagare l'affitto, come sopravvivere. Noi chiediamo che riparta il dialogo tra l'amministrazione comunale e le comunità straniere. Chiediamo che si trovino, insieme, le soluzioni più giuste per tutti. Proprio per questo, è indispensabile l'apertura di un tavolo tra l'amministrazione comunale e la comunità Straniere colpita drammaticamente dal provvedimento per trovare una immediata soluzione al problema e l'immediato ritiro dell'ordinanza anti-borsoni.

Il C.AS.TO, il Coordinamento delle Associazioni Senegalesi in Toscana, convoca per questi motivi a Pisa una manifestazione regionale il giorno 18 aprile alle ore 15 da p.zza S. Antonio a P.zza Manin, invita tutte le comunità dei migranti, le associazioni, i sindacati, il movimento antirazzista tutto alla partecipazione.



Castelvolturno: manifestazione antirazzista

Sabato 18 Aprile Concentramento ore 10,00 American Palace
Stanchi del Razzismo! per un patto sociale di solidarieta
'Diritti, dignita' e permesso di soggiorno per tutti !!!

La strage di camorra che il 18 settembre sterminò 7 innocenti, un italiano e 6 africani a Castel Volturno, ha portato all'attenzione nazionale un territorio abbandonato da anni. Ma dopo la caccia ai camorristi si è aperta la "caccia" agli immigrati senza permesso di soggiorno: lavoratori, spesso vittime di un intollerabile sfruttamento, in un clima di omertoso silenzio! Ciò avviene perché l'attuale legislazione impedisce la regolarizzazione degli immigrati "imprigionando" uomini e donne nella clandestinità.
I lavoratori immigrati che vi invitano a questa mobilitazione sono gli stessi lavoratori stagionali che raccolgono le arance, le patate, i pomodori ma anche chi viene licenziato dalle fabbriche ed insieme al lavoro perde anche il diritto ad avere il permesso di soggiorno. E' la logica spietata di chi vuole braccia ma non persone e che usa la discriminazione degli immigrati per peggiorare le condizioni e i livelli di garanzia di tutti i lavoratori. La crisi colpisce duro, italiani e immigrati, eppure per rispondere alla crisi il governo produce differenze. E' la strategia del "dividi e comanda" con un razzismo istituzionale sempre più strutturato, che sfiora i confini dell'apartheid.
A fare da sfondo c'è il pericoloso clima di criminalizzazione degli immigrati, che alimenta la guerra tra poveri con l'inquietante corollario di ronde e linciaggi.
Eppure abbiamo tanti problemi in comune: tutti abbiamo mutui e affitti da pagare, mentre i tagli alla scuola e al welfare ricacciano in casa tantissime donne. Ai migranti però è riservata una doppia precarietà, sempre sospesi sull'orlo dell'espellibilità e perciò ricattati. Così oltre un milione di donne straniere sono inchiodate al ruolo di badante, ma con orari interminabili e salari da fame. Gli immigrati oggi sostengono in maniera determinante le casse dell'Inps, eppure rischiano di non vedere mai la pensione:..
Il razzismo istituzionale serve a fare degli immigrati dei capri espiatori, per far si che a pagare il prezzo della crisi non siano i veri responsabili, finanzieri, banche e speculatori che si sono arricchiti a dismisura e intendono continuare a farlo!
A questo scopo alimentano e strumentalizzano la paura sociale...
PER QUESTO IN TANTI SAREMO IL 18 APRILE A CASTELVOLTURNO:
PER RIBADIRE CHE NON C'E' SICUREZZA SENZA DIRITTI!

Il Governo non si ferma e vuole approvare il cosiddetto "Pacchetto Sicurezza". Una serie di provvedimenti discriminatori verso gli immigrati (e non solo..): l'ingresso ed il soggiorno irregolare diventeranno reato! Chi è senza permesso di soggiorno rischierà la denuncia del medico curante, non potrà riconoscere un figlio, contrarre matrimonio, inviare i soldi ai familiari nei paesi di origine. Sarà ostacolato il rinnovo del permesso di soggiorno, sarà più difficile ottenere la residenza, verrà limitato il ricongiungimento familiare. Tutto ciò cosa c'entra con la sicurezza? Ciò favorirà soltanto la criminalizzazione degli immigrati nell'immaginario collettivo, richiederà ingenti fondi economici a soli scopi repressivi, provocherà l'esclusione sociale dei migranti, non sarà utile al contrasto delle mafie o al sentimento diffuso di insicurezza.
Ma una speranza diversa viene dal nuovo protagonismo degli immigrati stessi e dalla crescente indignazione di tanti, come quei medici che vogliono curare e non denunciare, e tutti quelli che non ci stanno ad accettare la cultura dell'odio, del razzismo, delle leggi speciali.
NON RESTARE INDIFFERENTE!! NON AVER PAURA!!
Da Castel Volturno, per abbattere i ghetti, per i diritti di cittadinanza, per emergere dalla clandestinità. Contro il lavoro nero, la speculazione, lo sfruttamento e l'usura che assediano questo territorio. I diritti in comune, a partire dalla qualità del lavoro per tutti, sono la base per una vera rinascita!
Chiediamo che in Campania e nelle altre regioni nascano finalmente vere strutture di accoglienza per i migranti, per risolvere le situazioni di maggiore disagio abitativo e sociale
Per il ritiro del "PACCHETTO SICUREZZA", l'abrogazione della Bossi-Fini e delle altre norme discriminatorie.
Contro tutti i razzismi, le camorre, la repressione dei migranti
Contro l'istituzione di Centri di Detenzione dei migranti in Campania e altrove. Utilizziamo i fondi stanziati per essi in iniziative di sostegno ai lavoratori colpiti dalla crisi.
Perché i cittadini italiani e stranieri possano liberarsi della camorra e costruire vera sicurezza sociale tramite il diritto al reddito, alla casa, al lavoro, alla salute, allo studio.
Contro la clandestinità, per l'emersione dei migranti da anni in Italia ma ancora irregolari;
Chiediamo che i permessi di soggiorno siano congelati in caso di licenziamento, cassa integrazione, mobilità, sospensione dal lavoro; che i migranti, così come tutti quei lavoratori che non usufruiscono di ammortizzatori, partecipino alla pari di ogni altro lavoratore alle misure di sostegno e vedano salvaguardati i contributi che hanno versato;
Chiediamo che i migranti e tutti i lavoratori possano rinegoziare i loro mutui in caso di perdita del lavoro; il blocco degli sfratti per tutti i lavoratori e le lavoratrici nella stessa condizione, perché sappiamo che un migrante senza contratto di locazione diventa un lavoratore clandestino;

Per garantire il diritto di asilo e di accoglienza. Per il diritto di voto, il diritto alla cittadinanza.
Ascolta l'intervista con Mimma (Ex-Canapificio-Caserta)

Torino, aggredita ragazza somala: "Negra di merda!"

Nella mattinata di ieri, a Torino, si è verificato un altro infame episodio di razzismo e intolleranza. Una ragazza di origine somala, con passaporto italiano, è stata aggredita verso le 10:30 alla fermata dell'autobus, mentre attendeva l'arrivo del 17. Sabrina, nome di fantasia da lei scelto per preservare la sua privacy, attendeva l'autobus seduta sulla panchina della fermata, quando l'anziano seduto al suo fianco ha cominciato ad insultarla, gridandole "negra di merda" e arrivando a colpirla sulla testa con il bastone da passeggio. Nonostante l'indifferenza della cittadinanza presente abbia ancora una volta fatto da cornice a quest'episodio, un ragazzo ha aiutato la ragazza ed ha fermato l'anziano, prendendo e buttando via il bastone impugnato dall'uomo, il quale se l'è data poi a gambe levate salendo sul primo bus di transito alla fermata.
Sabrina, nata a Mogadiscio, da papà italiano e mamma somala, se l'è cavata con 10 giorni di prognosi per trauma cranico e con una contusione alla spalla. Denunciando l'accaduto ha dichiarata: "Non voglio compassione, ma voglio parlare anche per tutte le altre persone che vengono aggredite per il colore della pelle, ma magari sono clandestine e non lo possono denunciare come ho fatto io. Non è la prima volta che mi accade una cosa del genere. Nel 1996 ero andata in ospedale per curare una costola, mi cacciarono dicendo "Non curiamo i negri" e finimmo in procura. Pensavo non mi sarebbe accaduto più nulla e invece... Adesso ho paura, tanta paura, ma non mi arrendo".
L'aggressione di ieri mattina non può che esser letta quindi come specchio di una realtà sporcata dal razzismo, figlia di un clima prodotto tanto dalle politiche discriminatorie dei governi quanto dalle rappresentazioni mediatiche fatte sul tema dei migranti. Risultante razzista a cui si è giunti, non solo nel nostro paese, nell'implementazione di discorsi volti a scaricare ogni problema e tensione verso il basso, individuando nel migrante il prototipo dell'avversario ideale.
Ascolta l'intervista con Sabrina realizzata da Radio BlackOut
Guarda la video-intervista realizzata da La Repubblica Torino

Picchiati dalla polizia. Parlano i detenuti del Cie di Lampedusa

di Terrelibere.org
Manganellati dalla polizia, “senza pietà”. Ferite alla testa, fratture alla mano e contusioni alle gambe. Per la prima volta, parlano i detenuti del Centro di identificazione e espulsione (Cie) di Lampedusa. Sono più di 600 tunisini e un centinaio di marocchini. Rinchiusi da oltre tre mesi in condizioni inumane. Siamo riusciti a raccogliere le testimonianze di alcuni di loro. Siamo certi della loro identità, ma ci hanno chiesto di parlare sotto anonimato per evidenti ragioni di sicurezza. Denunciano pestaggi delle forze dell’ordine per sedare la rivolta il giorno dell’incendio, lo scorso 18 febbraio. Ma anche le indegne condizioni di sovraffollamento, la diffusa somministrazione di psicofarmaci per sedare gli animi e la convalida differita di provvedimenti di trattenimento che non hanno tenuto conto delle settimane pregresse di detenzione. Un ritratto a tinte fosche che fa luce sul lato oscuro delle politiche del Governo sull’immigrazione a pochi giorni da un’importante scadenza. Il 26 aprile infatti scade il decreto 11/2009 che aveva prolungato da due a sei mesi il limite della detenzione nei Cie. Senza un nuovo provvedimento, i 700 detenuti sull’isola torneranno in libertà. E potranno raggiungere – seppure clandestinamente - i familiari che li aspettano da mesi, in Italia e nel resto d’Europa. Se invece, come probabile, il Governo tornerà a prolungare i termini di detenzione, torneremo a sentire storie come queste.
La denuncia dei pestaggi. “Ci hanno picchiato coi manganelli, ci hanno lanciato gas lacrimogeni. E noi eravamo senza niente. Eravamo in un angolo, e c’era gente che dormiva ancora. Una cosa mai vista”. Mo. ricorda così la mattina del 18 febbraio 2009. Quel giorno un incendio distrusse completamente uno dei padiglioni del Cie di Lampedusa. Il fuoco venne appiccato da alcuni detenuti tunisini, in risposta alle cariche della polizia - più di un centinaio di agenti in tenuta antisommossa - che avevano ferito diverse persone. F. ha assistito alla scena: “Li hanno trattati in un modo selvaggio. Senza pietà”. “C’erano poliziotti dappertutto - dice un altro testimone sotto anonimato, M. - tutti che picchiavano con i manganelli. Davanti a me, c’era uno che sanguinava e un poliziotto che l’ha manganellato sulla testa. Gli hanno messo dieci punti. Un altro aveva la mano rotta. E c’era uno che non riusciva a camminare sul piede”. Gli scontri sarebbero iniziati davanti alla mensa, dove quattro o cinque agenti avrebbero aggredito – secondo M., che era presente sul luogo – alcuni tunisini che li avevano attaccati verbalmente. Da lì la protesta si sarebbe estesa alle centinaia di persone presenti, che quindi sarebbero state caricate dalla polizia dopo il lancio di gas lacrimogeni, almeno quattro. Le violenze sarebbero continuate anche nelle ore successive all’incendio, durante le fasi dell’identificazione e dell’arresto di una ventina di persone accusate di aver appiccato il fuoco nelle stanze.
Come all’inferno. Y. parla dei pestaggi come di qualcosa di evidente: “Tutti sanno che quel giorno la polizia picchiò i tunisini, anche le organizzazioni che lavorano qui. La polizia era così arrabbiata. Alcuni li prendevano in due sotto braccio, e li portavano in bagno, uno alla volta. Poi chiudevano porte e finestre e li picchiavano”. Mo. invece non si capacita di quanto accaduto: “Abbiamo incontrato dei tunisini gravemente feriti, sembravano ferite di guerra”. E allora si chiede: “Dico grazie alla Marina italiana che ci ha salvato in mare. Ma perchè, penso, ci hanno salvato se dovevano metterci nell’inferno?”
Il sovraffollamento. “Se aveste visto il centro, l’avreste messo voi il fuoco. Non è un posto per delle persone, è un posto per cani”. Il centro è ancora sovraffollato: ospita più di 700 persone in una struttura pensata per 381 posti e in parte distrutta dall’incendio. “Nella mia camera – dice F. – siamo 21 persone in 12 letti. La gente dorme sotto i letti, su dei materassini. Oppure in due sullo stesso letto. E alcuni dormono ancora nei corridoi”. Niente rispetto a fine gennaio, quando il centro era arrivato a ospitare più di 1.900 persone. “All’epoca – dice Mo. - le condizioni erano terribili. Docce e toilette erano fuori uso. In una camerata eravamo oltre 100 persone. Dormivamo in due su ogni materasso e in due sotto il letto, per terra, i piedi davanti alla testa dell’altro”. Per un periodo c’erano addirittura dei turni per dormire. Y. per esempio, dopo le prime quattro notti all’addiaccio, a metà gennaio, ha diviso per dieci giorni il letto con un amico marocchino. “Lui dormiva la notte e io la mattina”.
Gli psicofarmaci. La somministrazione di farmaci antidepressivi e calmanti nel Cie di Lampedusa sarebbe una pratica diffusa, secondo i detenuti intervistati. “La gente è troppo nervosa, prendono dei calmanti. Sono in molti. Li vedi perché hanno la bocca storta. Le medicine sono forti”, dice M. Altri invece lamentano la scarsità di medicinali. “Per qualsiasi malattia, ti danno sempre la stessa pasticca – dice Mo”. Y. invece è convinto che a volte vengano messi dei calmanti nel cibo della mensa. “Era un paio di mesi fa. Un paio d’ore dopo pranzo eravamo tutti così stanchi che volevamo dormire.. abbiamo pensato che ci fosse qualcosa nel cibo”.
Le convalide. Il decreto che ha trasformato il centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola in un Cie è entrato in vigore il 26 gennaio. A partire da quello stesso giorno, la Questura di Agrigento ha iniziato a rilasciare i provvedimenti di respingimento ai 1.134 detenuti presenti. Nel giro di due settimane, Giudici di pace del Tribunale di Agrigento e avvocati d’ufficio hanno provveduto alla convalida di quei provvedimenti, e quindi al trattenimento per 60 giorni degli stranieri. Sessanta giorni che però non hanno tenuto conto del periodo di detenzione già scontato. L’udienza di convalida del trattenimento di Y. e Mo. si è tenuta il 30 gennaio 2009. I due erano detenuti nel Cie da tre settimane, dal loro arrivo il 9 gennaio. Il decorrere dei 60 giorni di trattenimento però è iniziato a partire dal 31 gennaio. E i 21 giorni precedenti? Una banale detenzione arbitraria alla frontiera d’Italia, alla frontiera del diritto.

mercoledì 15 aprile 2009

Stranieri e sicurezza. Sul lavoro

Un opuscolo in italiano, al primo giorno di lavoro. Oppure solo i tappi per le orecchie, e via nel reparto. La sicurezza in fabbrica raccontata dagli immigrati.
di Fiorella Farinelli
Ogni giorno in Italia ci sono 2500 incidenti sul lavoro, 27 i lavoratori che restano invalidi in modo permanente, 3 quelli che ci muoiono. A provocare morti e malattie, anche se la causa scatenante è intervenuta molto tempo prima, c’è poi l’esposizione a sostanze nocive per inalazione e contatto. Responsabilità innanzitutto delle aziende, ma anche imprudenze ed errori dei lavoratori in gran parte dovuti – dicono studi attendibili - a scarsa e inadeguata formazione. Un problema enorme in un paese dove le imprese che si occupano di formare i propri dipendenti sono solo il 32% ( 47% in Spagna, 74% in Francia, 90% nel Regno Unito ). E dove sono in aumento lavori atipici e temporanei in cui sia l’impresa che il lavoratore hanno poco interesse ad investire in attività formative. E poi, come si fa concretamente la formazione per la sicurezza? Che cosa si insegna, per esempio, a chi entra per la prima volta in un reparto? E quale attenzione si riserva a come sono le persone, se hanno o no un’istruzione, se hanno già esperienza di quei tipi di lavorazione, se capiscono davvero quello che gli viene detto sul funzionamento delle macchine, sui dispositivi di protezione individuale, sui rischi che possono correre loro stessi e far correre agli altri?
Parecchie cose attorno a questi temi ce le dice l’indagine di Riconversider condotta d’intesa con Fim, Fiom,Uilm in aziende lombarde e venete di tipo metallurgico – il settore industriale a più alto tasso di incidenti. A parlare, per una volta, non sono politici o giornalisti, ma Rsu, rappresentanti sindacali della sicurezza, e anche lavoratori. Lavoratori immigrati, perché questo è il fuoco dell’indagine: capire perchè è così alta la frequenza di incidenti che colpiscono i lavoratori stranieri, verificare se pesano comportamenti derivanti dall’estraneità di alcuni gruppi nazionali alla cultura industriale, indagare come si svolge la loro formazione alla sicurezza. Un buon approccio, utile per tutti, lavoratori italiani compresi.
“Nella mia fabbrica – dice un delegato sindacale – quando si assumono dei lavoratori stranieri nessuno accerta se uno sa l’italiano oppure no, gli danno i tappi per le orecchie e le scarpe e lo mandano in reparto, con il capo che lo affianca, un’ora o una giornata intera, dipende da com’ è il lavoro... gli dice di guardare come fanno gli altri... la formazione alla sicurezza non si fa subito, può succedere anche molto dopo, quando è programmato il corso per l’antincendio o la 626 o un’altra cosa... corsi uguali per tutti, si capisce, immigrati e italiani". Siamo in Veneto, fonderia, più del 35% i lavoratori stranieri. In un’altra azienda, sempre siderurgica, sempre veneta, come vanno queste cose lo racconta un pakistano – nell’università del suo paese ha studiato statistica, qui è operaio comune – che ci lavora da quattro anni : “...il primo corso sulla sicurezza l’ho fatto solo l’anno scorso, quando sono entrato non c’era niente... mi hanno dato un opuscolo, solo in italiano, e poi mi hanno fatto firmare che avevo avuto l’informazione sui rischi... per noi stranieri è un problema... io quando leggo e non capisco non chiedo agli altri, nessuno di noi chiede agli altri.. all’inizio capivo solo i disegni, per fortuna c’era un vecchio operaio che mi ha aiutato... negli altri paesi quello che serve per la sicurezza lo scrivono nelle diverse lingue, anche quattro o cinque, magari in inglese, tanti di noi lo capiscono perchè l’hanno studiato a scuola.. non si può fare così, è troppo pericoloso. Quando è stato assunto un altro pakistano, l’hanno portato da me e mi hanno detto di spiegargli il lavoro.. ma anche i corsi per la sicurezza dovrebbero farne di speciali per noi immigrati perché gli italiani capiscono mentre noi diciamo subito che abbiamo capito anche se non è vero... o se no farci prima imparare l’italiano”.
Non va così dappertutto, per fortuna. Le parole dei delegati e degli operai srotolano anche qualche storia diversa, che tiene conto del fatto che nell’industria meccanica veneta, per esempio, gli occupati stranieri dal 2000 al 2007 sono più che raddoppiati, da 20.820 a 42.410. Una “babele linguistica “, dice un delegato, in cui qualcosa comincia però a andare nel verso giusto. “Da noi hanno fatto un corso di italiano chiesto dall’azienda, tre mesi fuori dall’orario di lavoro...il corso l’ha fatto la regione o il comune.. comunque da noi appena uno viene assunto gli fanno un test per sapere cosa sa di italiano e anche cosa capisce di macchine e motori..e finché uno di italiano non ne sa abbastanza non viene messo su certi lavori... ci sono troppi pericoli in certi reparti, e dall’errore di uno dipende la vita di tanti”. Ma su una ventina di casi aziendali sono pochine le situazioni in cui sembra non ci sia sottovalutazione dei rischi , formazione tempestiva, attenzione – nel caso degli stranieri – alle competenze linguistiche. Tanti, per esempio, dicono che ci sono problemi anche per gli italiani, con corsi fatti in fretta – poche ore per moltissime nozioni - , nessuno che ti dica che cosa succede se un certo dispositivo per la sicurezza personale non viene usato regolarmente o se, per fare più in fretta, aggiri qualche regola, e si comincia a lavorare sapendone troppo poco del ciclo produttivo, dell’organizzazione del lavoro e delle macchine. Con capi che qualche volta i nuovi assunti li prendono davvero in carico, e altre volte invece se la cavano in poche battute. Quanto agli operai stranieri, i problemi vengono anche dal fatto che raramente vengono assunti stabilmente dopo un contratto di apprendistato o a tempo determinato, come succede per lo più agli italiani. La maggioranza arriva all’azienda dal lavoro interinale o dalle cooperative, e quindi chi assume dà per scontato che abbiano già esperienza e che conoscano la lingua. Ma le cooperative, quasi sempre di un unico gruppo nazionale – ce ne sono di soli bosniaci, bengalesi, polacchi, senegalesi – non sono luoghi dove si impara l’italiano. E anche le agenzie interinali, che pure di risorse per la formazione ne hanno in abbondanza, ne utilizzano assai poche per la formazione linguistica. Il resto lo fanno processi di inserimento che, anche se migliorati rispetto ad anni fa quando di formazione per la sicurezza non ce n’era quasi niente, sono casuali o troppo brevi o fatti prevalentemente di lezioni astratte che sono poco utili. Anche per gli italiani, anche se per loro ovviamente va decisamente meglio. Ma ci vorrebbero, come sugli aerei, non solo opuscoli ma anche filmati. Non solo in italiano, ma anche in altre lingue. E magari il buon esempio, dei capi e degli operai più anziani , che non sempre c’é.
In entrambi gli studi, quello sulle aziende lombarde e quello sulle aziende venete, si è anche cercato di capire se il maggior coinvolgimento negli incidenti degli operai stranieri derivi da fattori soggettivi: come il fatto di non avere alcuna esperienza pregressa di organizzazione industriale del lavoro, o di prendere troppo sottogamba regole e disciplina. Le risposte sono ovunque più o meno le stesse. Ci sono, è vero, lavoratori che non hanno mai visto prima il lavoro in fabbrica – come del resto parecchi giovani italiani – e che vengono da paesi poveri di sviluppo industriale come quelli dell’Africa subsahariana, ma in genere gli stranieri fanno una grande attenzione, almeno all’inizio, a rispettare le regole. Molti , del resto, e più spesso di quanto non si immagini, hanno storie scolastiche e professionali che garantiscono della capacità di disciplina e di autocontrollo. Semmai è più tardi che prendono le cattive abitudini degli operai italiani, specie quelli più giovani. I problemi più seri sono altrove. Nel fatto – richiamato da diverse testimonianze raccolte da Riconversider – che gli immigrati vengono solitamente collocati nei reparti di maggior rischio e nelle postazioni di lavoro più dequalificate (le stesse che vengono per lo più tagliate fuori dalla formazione continua ) e che sono soggetti a turni e ritmi più stressanti (“qualche volta li vediamo addormentarsi sul posto di lavoro") : e che tutto ciò si verifichi sopratutto per la loro maggiore disponibilità a orari prolungati, a straordinari, al lavoro notturno e festivo (“capita perfino che accettino di fare un secondo turno dopo il primo”). Perché il lavoro è importante per il permesso di soggiorno, il mantenimento delle famiglie lontane, la scuola per i figli. Perché si deve negoziare con l’azienda la possibilità di cumulare tutte insieme le ferie di due-tre anni per poter tornare nei paesi d’origine : e dunque si accettano anche le condizioni che i nostri rifiutano. Ma pesa, e parecchio, anche il fatto che molti degli operai stranieri, in quanto dipendenti da imprese esterne di pulizia, manutenzione impianti, trasporti, lavorano in fabbrica ma senza conoscerne l’intero ciclo produttivo e il funzionamento degli impianti. Fuori dalla possibilità di essere coinvolti nella formazione strutturata che riguarda solo i dipendenti in organico, estranei alla trasmissione delle conoscenze dai più ai meno esperti , tagliati fuori – finché non imparano la lingua – da molte informazioni e relazioni. Un quadro complesso, pieno di sfumature, che dice molto sulla sicurezza nel lavoro, su che cosa è oggi il lavoro in fabbrica, su come bisognerebbe fare la formazione. Meglio tenerlo a mente, quando si discute – e si litiga - di norme e contratti.

Quel "vizio" dei vigili di Parma, un nuovo caso Bonsu

I vigili di Parma ancora sotto i riflettori, ancora per violenze contro un migrante. Dopo il caso Bonsu si è aperto oggi presso il tribunale di Parma un nuovo processo. L'imputato è Lucie Aka Kouame, giornalista della Costa d'Avorio di 38 anni. E' un rifugiato politico, ormai da qualche anno in Italia. E' accusato di resistenza a pubblico ufficiale. Un'escamotage classico: denunciare per coprire le malefatte. Infatti Kouame è stato fermato - in modi violenti e senza alcun reato - da alcuni vigili, portato nella sede centrale del corpo (che era all'epoca dei fatti, nel novembre del 2006, alla Villetta), è stato prima interrogato e poi pestato a sangue. Dalla sua denuncia né è nata un'inchiesta della procura in cui sono finiti dieci vigili, otto agenti, un commissario capo e un ispettore. Le ipotesi di reato vanno dal sequestro di persona alle percosse aggravate, dalla calunnia alla violazione dei doveri d'ufficio, e poi ingiuria, falso ideologico e materiale. Tre dei vigili accusati sono implicati nel caso Bonsu.

martedì 14 aprile 2009

Si fa visitare in ospedale. Processata e espulsa

di Alessandro Braga
Nella specialissima gara alla delazione da parte dei medici, che la norma contenuta nel pacchetto sicurezza attualmente all'esame del parlamento vorrebbe istituzionalizzare, non poteva certo mancare il Veneto. Nella fattispecie Treviso. Per essere ancora più precisi, Conegliano Veneto. La terra d'origine del sindaco sceriffo per antonomasia, Giancarlo Gentilini, mica poteva deludere il suo illustre compaesano. E del resto il primo firmatario della proposta è il leghista Federico Bricolo, che a Verona ha i suoi natali. Allora, anche se un po' in ritardo rispetto ad altre parti d'Italia più celeri nel recepire le «belle novità» legislative del governo, ecco apparire in classifica anche il Veneto, con il suo caso. Quello di una ragazza nigeriana che, arrivata al pronto soccorso per farsi curare, si è vista recapitare una bella lettera di espulsione dal territorio italiano.
La legge fortemente voluta dalla Lega nord non è ancora in vigore, ma le sue prime «vittime» le ha già fatte. Prima è arrivata Napoli, con la vicenda di Kante, la giovane ivoriana denunciata mentre era all'ospedale Fatebenefratelli del capoluogo campano per partorire. Poi, la «doppietta» lombarda, Brescia e Pavia. Nella «Leonessa d'Italia» Baccan Ba, un ragazzo senegalese di 32 anni, ha aspettato quattro giorni prima di andare all'ospedale per un mal di denti che gli faceva patire le pene dell'inferno per paura di essere espulso. Quando si è convinto a farsi curare, una zelante guardia giurata lo ha portato al commissariato. Si è dovuto tenere il mal di denti e, in aggiunta, si è beccato un «foglio di via». Nella patria dei «bata lavar» (i tipici agnolotti in brodo dell'Oltrepò) Carlos, ventunenne boliviano, irregolare, ha passato dieci giorni con dolori lancinanti all'addome prima che i suoi amici lo convincessero a farsi ricoverare in un ospedale della città lombarda. È già stato operato cinque volte ed è ancora in sala di rianimazione, gravissimo. Non si sa se sopravviverà. Fosse andato subito a farsi curare, se la sarebbe cavata con un'operazione di routine e qualche giorno di degenza. A chiudere la lista degli episodi, almeno per ora, Conegliano Veneto.
La ragazza, vent'anni, nigeriana, viveva un po' dove le capitava. Spesso nei pressi della stazione della cittadina veneta. Se era fortunata, la ospitava qualche amico. Qualche sera fa si è sentita male mentre era a casa di connazionali e ha pensato che, se fosse andata all'ospedale, l'avrebbero curata. Del resto, per definizione un ospedale serve proprio a quello. Allora, intorno all'una di notte, si è recata al pronto soccorso dell'ospedale santa Maria dei Battuti di Conegliano. Visitata dal medico di turno, la ragazza è stata tenuta sotto osservazione per un paio d'ore. Per tutto il tempo, alle pressanti richieste del personale ospedaliero, che voleva sapere le sue generalità, ha risposto picche. E allora lo zelante medico non ha trovato di meglio da fare che chiamare il 113, per avvisare gli agenti che nell'unità operativa era stata presa in carico una «paziente ignota». Per giustificarsi, il dottore ha dichiarato che le generalità servivano per «fugare il rischio di eventuali problemi sanitari», riscontrabili attraverso un controllo dei database in possesso dell'ospedale. Il primario del pronto soccorso dell'ospedale, il dottor Enrico Berardi, ha immediatamente preso le distanze dal collega: «Non ne sapevo nulla - ha detto - approfondirò il caso. Ma se è vero che un collega del mio reparto ha denunciato una paziente perché clandestina, ha avuto un comportamento scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammalati».
Trasportata al commissariato, la ragazza ha ceduto, e ha detto come si chiamava. Così i poliziotti hanno scoperto che la giovane aveva già ricevuto un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento. Dopo essersi sottoposta all'esame delle impronte digitali, la fanciulla ha dovuto passare una notte al fresco. Il mattino successivo, il processo per direttissima. A nulla sono servite le spiegazioni, tra le lacrime, della giovane, che ha dichiarato davanti al giudice di essere scappata dalla Nigeria per sfuggire alla morte. Al termine dell'udienza si è ritrovata con in mano un nuovo foglio di espulsione. Dovrà lasciare il territorio italiano entro pochi giorni, senza accompagnamento.

lunedì 13 aprile 2009

Milano, più vigili contro gli artisti di strada che per i controlli sulla sicurezza nei cantieri

Milano, i vigili multano la statua vivente. I passanti protestano e scatta la colletta.
Il 19enne, un romeno da due mesi in Italia, aveva cominciato a lavorare in anticipo e a qualche metro dalla porzione di strada assegnata dal Comune: si era spostato per ripararsi dal sole. L'episodio alle spalle del Duomo.

E’ mezzogiorno e mezzo, l’imperatore è immobile in corso Vittorio Emanuele. Arrivano tre vigili e gli chiedono l’autorizzazione. Il foglietto salta fuori da una tasca della tunica, ma i ghisa staccano un verbale da 100 euro. E’ tutto in regola: gli agenti contestano alla statua di avere cominciato a lavorare in anticipo, però, e di trovarsi a qualche metro di distanza dalla zolla di pavimento che gli è stata assegnata dal Comune. Comincia a formarsi il capannello dei curiosi, i passanti si informano. Parlano solo i vigili, l’imperatore sta in silenzio: un po’ perché è un mimo, e un po’ perché sotto il cerone c’è Leon, un ragazzo romeno di 19 anni che non parla bene italiano, arrivato a Milano da due mesi.
I vigili, di fronte alla piccola folla, cominciano a raccontare: «Questo non rispetta le regole, fa il furbo». Spiegano della mezz’o ra di sforamento sull’orario consentito e del fatto che, per non cuocere al sole, il ragazzo si sia spostato dall’altra parte della strada. La gente non ci sta. Attacca una signora in bicicletta: «Non ha fatto nulla, è un’ingiustizia». Poi una ragazza di neanche vent’anni: «Anziché multare le auto in doppia fila tampinate un mimo, che senso ha?». Un signore elegante, con una copia di Libero sottobraccio: «Capisco che non è colpa vostra, eseguite ordini, ma è brutto vedere questo accanimento contro un poveraccio». Leon sta lì, immobile. Butta l’occhio ogni tanto alla gazzarra che ha sollevato, suo malgrado. «Le statue pensano di fare quello che vogliono - cerca di spiegare un agente - anche per loro ci sono delle regole». Dalla folla qualcuno comincia a dare offerte al mimo. Monetine, ma anche biglietti da 5 euro, «almeno ci si paga la multa».
Arriva un quarto vigile in motocicletta, si unisce ai colleghi, il verbale passa di mano in mano. Una multa che Leon pagherà. «Lo hanno umiliato ma non è un ladro. Versa regolarmente i soldi per l’o ccupazione del suolo», dice un amico, connazionale e collega. Leon pagherà in nome del regolamento comunale sugli artisti di strada, votato nel 2000. Una serie di regole poco applicate fino al gennaio scorso, quando un ordine di servizio del comando dei vigili ha destinato ogni giorno 18 agenti al controllo dei permessi per madonnari, suonatori e uomini statuta. In tre mesi sono stati fatti 3mila accertamenti, ma i verbali staccati sono poco più di 30, quasi tutti a ritrattisti fuori posto.
Per Marco Radaelli, sindacalista di Cgil-Polizia locale, «i colleghi non hanno colpe e a loro va tutta la mia solidarietà. Ci si chieda però se per controllare gli artisti di strada abbia senso impiegare 18 uomini, più di quelli che verificano la sicurezza nei cantieri».


giovedì 9 aprile 2009

La delazione nuoce gravemente alla salute!

Dopo Kante, un altro giovane africano arrestato da solerti cittadini(-spie)
Nuova espulsione a Brescia
La storia di Maccan Ba, clandestino 32enne. La direzione degli Spedali Civili respinge qualsiasi accusa

BRESCIA—Espulso per un mal di denti. E dire che Maccan Ba, senegalese di 32 anni, clandestino, in ospedale non ci voleva proprio andare. Ma dopo 4 giorni senza dormire e mangiare a causa del dolore, non ce l’ha fatta più ed è corso agli Spedali Civili. Ha pagato il ticket e si è messo in coda.
Ma Maccan dall’ospedale è finito dritto in Questura, con il suo ascesso che gli faceva vedere le stelle. «Mi hanno prelevato nella sala d’attesa del pronto soccorso odontoiatrico —racconta Maccan che ora vive con il foglio di via in tasca nascondendosi in casa di amici e parenti —. Non saprei dire chi mi ha denunciato, se il medico o la guardia giurata a cui ho chiesto indicazioni per arrivare al pronto soccorso. Sta di fatto che sono stato espulso e d’ora in poi non metterò mai più piede in un ospedale».
La direzione degli Spedali Civili respinge qualsiasi accusa e chiosa: «Nei primi tre mesi dell’anno abbiamo assistito 1.006 pazienti extracomunitari. Nessuno di questi è mai stato denunciato perché clandestino. Nel caso specifico è stata una guardia giurata a chiamare la polizia dopo che l’uomo si era rifiutato di lasciare l'ospedale». Oggi davanti all’ospedale ci sarà un sit-in di protesta dell’Associazione «Diritti per tutti».

Nel disegno di legge conosciuto come pacchetto sicurezza è contenuta la possibilità per i medici di denunciare gli immigrati senza permesso di soggiorno che si recano negli ospedali per curarsi. La delazione legalizzata, non ancora entrata in vigore, determina già situazioni inaccettabili: i mass media in questi giorni hanno parlato della donna africana denunciata dopo il parto a Napoli e separata dal suo bambino, ma anche a Brescia alcune settimane fa è successo un fatto inaudito: un giovane senegalese senza permesso di soggiorno, bisognoso di cure, è stato denunciato da un dipendente dell'ospedale civile ed è stato prelevato dai poliziotti dalla sala d'attesa del pronto soccorso; è stato portato in questura, trattenuto per molte ore e poi ha ricevuto l'ordine di espulsione.
La denuncia avanzata da
Radio Onda d'Urto non e' passata inosservata. La vicenda, infatti, ha suscitato l'interesse di diversi giornali e televisioni nazionali. Le realtà antagoniste e antirazziste bresciane che stanno preparando la grande manifestazione del 18 aprile a brescia contro i provvedimenti e le leggi xenofobe del governo e della giunta locale, organizzeranno giovedì 9 aprile alle ore 13 davanti all'ingresso del satellite dell'ospedale civile di brescia un presidio di protesta anche per avere risposte dalla direzione dell'ospedale e per chiedere che un simile fatto non si ripeta e che il diritto alla salute sia garantito a tutti.

mercoledì 8 aprile 2009

Ronde e migranti: governo battuto dalla propria maggioranza.

Il Parlamento boccia le misure volute dalla Lega per tenere 180 giorni i migranti rinchiusi nei Cpe. Il voto segreto e senza fiducia ha fatto adirare i leghisti che hanno subito chiesto la sospensione della seduta.
Già precedentemente era stato stralciato l'articolo che riguardava le ronde, ma con la bocciatura della detenzione amministrativa di 180 giorni salta uno dei capisaldi della politica razzista della Lega Nord.
Tecnicamente sarà un emendamento della commissione a cancellare dal decreto sicurezza la norma sulle ronde. Le norme poi verranno molto probabilmente inserite in un disegno di legge.
La Camera ha battuto il Governo sul dl sicurezza, quindi, approvando la soppressione dell'articolo sull'esecuzione dell'espulsione degli immigrati. L'Aula ha infatti approvato a scrutinio segreto (232 voti a favore, 225 contrari e 12 astensioni) gli emendamenti identici di Pd e Udc che miravano alla soppressione dell'articolo 5 che aumentava a 180 giorni il tempi di permanenza nei Cpt degli immigrati.
I Cpe (cpt) o come si vogliano chiamare corrispondono a tante Guantanamo sul nostro territorio. La detenzione amministrativa è disumana e contro ogni principio di diritto. Anche in uno stato liberale. Bisognerebbe chiedere l'apertura delle frontiere, ma è già qualcosa se un governo reazionario si auto-batte su questioni così importanti ed al centro di campagne mediatiche eterodirette. Si capisce, così, perchè Berlusconi è costretto a mettere la fiducia su tutto.

lunedì 6 aprile 2009

Appello manifestazione 18 aprile contro l'ordinanza antiborsoni

Il C.AS.TO, Coordinamento delle Associazioni Senegalesi in Toscana, attraverso una conferenza stampa significativamente convocata sotto la torre pendente, ha lanciato la manifestazione contro l'ordinanza antiborsoni che si svolgerà a Pisa il 18 aprile 2009.
Dopo mesi e mesi in cui si sono alternati inseguimenti da parte delle forze dell'ordine e presidi di solidarietà, appelli contro la ormai famosa ordinanza e apprezzamenti da parte dei commercianti, assistiamo oggi ad un fatto nuovo. Sono infatti le stesse associazioni e comunità senegalesi della Toscana a convocare una manifestazione che si annuncia già grandissima. Nonostante l'approvazione, e la conseguente applicazione dell'ordinanza, sono infatti continuate le assemblee e le iniziative volte a contrastare su tutti i fronti possibili il provvedimento: dai presidi al Duomo alle cene di solidarietà, dai tentativi di dialogo con il Comune fino al ricorso al Tar di Rebeldia e Africa Insieme. Tantissimi, insomma, i tentativi di farsi sentire da parte di tutti coloro che non vogliono un provvedimento applaudito da Forza Nuova e preso a modello dalla giunta di centro-destra di Viareggio. A tutte queste voci si aggiunge oggi quella, particolarmente significativa, del C.AS.TO.

Riportiamo di seguito il documento di convocazione della manifestazione:
L’ordinanza antiborsoni, varata dal Comune di Pisa nei giorni scorsi, colpisce duramente il lavoro centinaia di ragazzi stranieri, che al Duomo, sotto la Torre Pendente, nel litorale pisano o in altri luoghi turistici sono costretti alla vendita ambulante per vivere.
L’ordinanza antiborsoni è stata firmata senza consultare le comunità immigrate, le associazioni, i rappresentanti degli stranieri. Dopo la firma dell’ordinanza, la Polizia Municipale ha impedito l’ingresso al Duomo di decine di venditori: sono stati controllati, fermati e bloccati solo i cittadini stranieri, indipendentemente da “borse” e “borsoni”. E in una città storicamente all’avanguardia nella cultura della solidarietà, abbiamo visto il triste spettacolo della criminalizzazione e dell’esclusione degli immigrati. Molti venditori non hanno un permesso di soggiorno: non possono cercare lavoro, non possono firmare un contratto di assunzione, non possono andare al collocamento pubblico. Sono fantasmi giuridici, a cui le leggi italiane non offrono occasioni per emergere, per vivere una vita regolare.
Le comunità immigrate di Pisa da sempre hanno cercato di affrontare la questione della vendita ambulante, partendo proprio dalla regolarizzazione, dai percorsi di inserimento lavorativo. È questo l’unico modo per affrontare i problemi in modo efficace, giusto, rispettoso dei diritti di tutti.
L’emanazione dell’ordinanza non ha tenuto conto dei numerosi stranieri ed italiani che in questi mesi con appelli, articoli sulla stampa locale, presidi, manifestazioni chiedevano l’apertura di un tavolo di mediazione istituzionale. L’atto del Sindaco di fatto impedisce a moltissimi giovani migranti l’unico modo che hanno per vivere. Ora queste persone sono alla fame, non sanno come mangiare, come pagare l’affitto, come sopravvivere. Noi chiediamo che riparta il dialogo tra l’amministrazione comunale e le comunità straniere. Chiediamo che si trovino, insieme, le soluzioni più giuste per tutti. Proprio per questo, è indispensabile l’apertura di un tavolo tra l’amministrazione comunale e la comunità Straniere colpita drammaticamente dal provvedimento per trovare una immediata soluzione al problema e l’immediato ritiro dell’ordinanza anti-borsoni.
Il C.AS.TO, il Coordinamento delle Associazioni Senegalesi in Toscana, convoca per questi motivi a Pisa una manifestazione regionale il giorno sabato18 aprile alle ore 15 da p.zza S. Antonio a P.zza Manin, invita tutte le comunità dei migranti, le associazioni, i sindacati, il movimento antirazzista tutto alla partecipazione.
Ordinanza antiborsoni, i Cobas aderiscono alla manifestazione del 18 aprile‏
ll 18 aprile le comunità mifranti toscane si danno appuntamento a pisa per chiedere il ritiro delle ordinanze del sindaco contro gli ambulanti migranti.
A seguire il comunicato dei cobas che accoglie l'invito e rilancia la partecipazione della città di pisa a questo importante appuntamento.
18 Aprile 2008
Manifestazione antirazzista
Sosteniamo i lavoratori migranti
Diverso colore uguale lavoro , stesso sfruttamento
BASTA CEMENTO A PISA. BASTA DEGRADO NEI QUARTIERI POPOLARI
Il 18 aprile 2009 (Pisa, ore 15, piazza S. Antonio) ci sarà la manifestazione regionale promossa dalle comunità dei migranti per il ritiro dell’ordinanza del sindaco Filippeschi che vieta agli ambulanti immigrati la loro attività, condannandoli alla fame e alla illegalità.
Già, il signor Filippeschi: non ha davvero niente da invidiare ai sindaci della destra!
Il Sindaco da mesi emana ordinanze contro gli ambulanti, regala varianti urbanistiche per le speculazioni immobiliari di palazzinari e di industriali in procinto di trasferire la loro attività in Paesi a basso costo di manodopera (come insegna il caso Saint-Gobain); stravolge i servizi comunali favorendo appalti e subappalti (dove dominano i bassi salari); alimenta la gestione privata dei servizi con appalti al ribasso (tanto, a rimetterci saranno i lavoratori e i cittadini, che avranno servizi peggiori).
VOGLIAMO UNA CITTA’ APERTA E SOLIDALE DOVE SIANO BANDITI XENOFOBIA, RAZZISMO E INTOLLERANZA
NON VOGLIAMO LA CITTA’ DELLE SPECULAZIONI IMMOBILIARI CHE DIMENTICA I QUARTIERI PERIFERICI CONDANNANDOLI ALLA SPORCIZIA, AL DEGRADO E ALL’ABBANDONO
IL 18 è UNA MANIFESTAZIONE PER IL RITIRO DELLE ORDINANZE DEL SINDACO E PER UNA CITTà MIGLIORE.
Non mancare!!
Confederazione Cobas Pisa

giovedì 2 aprile 2009

Partorisce in ospedale, fermata perchè "clandestina"

Kante madre clandestina separata dal figlio dopo il parto perchè i medici la denuncianoAccade il 5 marzo scorso, Kate proveniente dalla Costa d'Avorio deve partorire ma dopo che suo figlio è nato, arriva una segnalazione alla Questura da parte dei medici dell'ospedale Fatebenefratelli di Napoli. Questa norma voluta fortemente dalla
Lega Nord all'interno del pacchetto sicurezza, però non è ancora entrata in vigore. Anche se mostra già i sui reali effetti. Trasformare i cittadini italiani in spie. Come in un grande fratello della sicurezza.Kante e il suo attuale compagno, raccontano il loro incubo: "In ospedale ci hanno chiesto i documenti, non gli è bastata la fotocopia del passaporto. Non gli è piaciuta la richiesta di soggiorno ormai scaduta. E per oltre 10 giorni mi hanno tenuta separata dal bambino". Undici giorni è rimasto Abu in ospedale: "Non lo hanno dimesso, non me lo hanno dato, fino a quando la Questura ha confermato la mia identità. Ho temuto che me lo portassero via, che non me lo facessero stringere più tra le braccia". Neanche il padre ha ottenuto che venisse dimesso: "Non ero presente al momento del parto - racconta l'uomo, Traore Seydou - E quindi il piccino è stato registrato con il nome della madre. "Non possiamo consegnarlo a te" mi hanno spiegato in ospedale. D'altra parte anche io sono senza permesso di soggiorno, in attesa che venga accolta la mia richiesta di asilo politico".

Kante fuggita dalla Costa d'Avorio due anni fa dopo che nel suo paese milizie governative del presidente Gbagbo le uccisero il marito. In Italia ha chiesto l'asilo politico ma ancora non ha avuto risposta. "Troviamo assurdo quello che ci è successo - raccontano

Kate e il suo compagno - credevamo che l'Italia fosse un Paese ospitale. Qui la gente non è cattiva. Mai sentito di madri denunciate dagli ospedali in cui avevano partorito"."Il parto è andato bene, nessuna complicazione. Ma non mi sono allontanata dall'ospedale fino a quando non mi hanno permesso di portare Abu con me. Sono rimasta lì, per 11 giorni. Certo ora, col bambino, diventa più difficile trovare un lavoro qui a Napoli. Però per 6 mesi non potranno cacciarmi dal Paese". Niente foglio di via, per chi ha partorito sul territorio nazionale. "Ma dopo?"

Questa vicenda mostra con tutta la sua crudeltà dove stanno portando i vari proclami e leggi a sfondo razzista che questo governo continua a proporre ed emanare. Giustamente non tutti i medici si prestano a diventare spie, anche se sembra che il governo non abbia intenzione di ascoltare le proteste che in questi mesi sono state portate dall'Ordine de Medici, dalle associazioni sindacali, dalle forze sociali e politiche.


No alle discriminazioni! No al Pacchetto Sicurezza!
Napoli h 16.30 - Presidio sotto l'Ospedale Fatebenefratelli

Kante è una rifugiata politica della Costa D'Avorio. Kante è una donna che ha scelto di partorire all'Ospedale Fatebenefratelli di Napoli, in un paese, l'Italia, in cui emergono forme di discriminazione sempre più gravi e preoccupanti. Kante è stata denunciata alla polizia con un fax dal Fatebenefratelli e il figlio neonato le è stato sottratto per quasi dieci giorni!! In attesa "di una verifica sulla sua identità"...
Il permesso di soggiorno di Kante infatti è scaduto, mentre è in atto il suo ricorso per ottenere l'asilo politico. Ma non è questo il punto in questione: la denuncia di Kante nasce dalla vergognosa ansia di applicare le norme contenute nel cosiddetto "pacchetto sicurezza", come quella che annulla il divieto di segnalazione per i migranti irregolari che vanno a curarsi o, come nel suo caso, a partorire. Un provvedimento che fà a pezzi le regole base del giuramento di Ippocrate e della convivenza civile. Un'iniziativa illegale, quella del Fatebenefratelli, perchè il pacchetto sicurezza non è ancora legge dello Stato e quindi vige sempre il divieto di segnalazione. Ma anche un'iniziativa che dimostra la barbarie che ci aspetta se venisse approvato. In questo caso non solo per gli immigrati irregolari ci sarà il rischio di segnalazione ed espulsione per il solo fatto di ricorrere a cure mediche, ma sarà impossibile anche la registrazione anagrafica del bambino, con un'incredibile condanna preventiva alla clandestinità amministrativa per le nuove generazioni!
Non è un caso che questa prima applicazione illegittima del pacchetto sicurezza avvenga proprio sul corpo di una donna, le più esposte e ricattabili anche all'interno della già difficile condizione dei migranti e dei rifugiati in Italia.
Dobbiamo mobilitarci subito, per pretendere provvedimenti immediati contro i responsabili di quest'assurda iniziativa e per chiedere con forza che il "pacchetto sicurezza" non sia approvato. Diritti e dignità per tutte e tutti!
Giovedì 2 aprile ore 16.30 - Presidio sotto l'Ospedale Fatebenefratelli (via Manzoni 220, a 500 mt dalla fermata della funicolare di Mergellina)

Partecipano al Presidio:
Rete Antirazzista Napoletana - Medicina Democratica - Giuristi Democratici - Comitato Immigrati di Napoli - Cgil - Onda Studentesca Napoletana - Associazione Libera - ASGI (ass. studi giuridici immigrazione) - Centri Sociali Napoletani - Cantieri Sociali - Coop. Dedalus - Associazione Priscilla - Collettivo Tiresia - Collettivo femminista Sora Rossa - Collettivo femminista Pachamama - Collettivo femminista Degeneri - UDI - Movimento Precari Banchi Nuovi - Collettivo NoBorder_Napoli - Confederazione Cobas - Less - Assopace Napoli - ASSNI - Associazione senegalese - Ciss

mercoledì 1 aprile 2009

Torino: migranti in fuga dal lager-Cie

Ieri sera 7 migranti rinchiusi nel Centro di identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi di Torino hanno tentato la fuga, scavalcando il muro della struttura. 5 sono stati fermati dopo poco, mentre altri 2 sono ancora liberi.La fuga è avvenuta alle 22 circa. I migranti fuggitivi hanno atteso il rientro nel container di un migrante recatosi in infermeria. Quando la polizia ha aperto il cancello i migranti si sono fatti largo con alcuni spintoni contro gli agenti, dirigendosi e scavalcano la cinta del Cie.
Ascolta l'intervista di Majeb, giovane rinchiuso nei Cie di Torino; da Radio Onda d'Urto

martedì 31 marzo 2009

Nuova strage della Fortezza Europa

Mar Mediterraneo sempre più cimitero dei migranti. Nuova immane tragedia a cavallo tra le coste africane e quelle italiane, con l'affondamento di 2 barconi carichi di migranti, centinaia e centinaie le vittime, sarebbero almeno 300 i dispersi. I guardacoste libici si stanno occupando delle operazioni di soccorso, le informazioni riprese dalle agenzie internazionali sono per forza di cose frammentate, quel che è certo è l'inabissamento di 2 barconi con la conseguente drammatica risultante in termini di vite umane e la totale mancanza di informazioni su altre 2 imbarcazioni, delle quali non si sa più nulla da stanotte.
Solo 23 persone sono state tratte in salvo, 21 i corpi senza vita recuperati. Molti sarebbero di nazionalità egiziana. Una delle barche affondate sarebbe partita da Sid Belal Janzur, un sobborgo di Tripoli. Il naugragio sarebbe avvenuto dopo 3 ore di navigazione, a 30 chilometri dalle coste della Libia.
Resta un grande interrogativo sul ruolo che avrebbe ricoperto una nave cisterna italiana presente in mare. Le autorità libiche hanno dato notizia del salvataggio effettuato da questa di 350 migranti, ma le luci d'ombra sono state ben più lunghe, visto che il quadro che in un primo momento appariva era quello della non segnalazione alle autorità italiane competenti del naugragio e del soccorso, commettendo l'ennesima omissione, visto l'obbligo di segnalazione e soccorso vigente. Questa mattina si è meglio delineato il tutto: un rimorchiatore di piattaforme petrolifere italiano ha soccorso e condotto il barcone fino al primo porto libico, facendo fare la rotta inversa ai migranti diretti verso l'Italia. Alla luce del fatto che la maggior parte dei migranti provenienti dal nord Africa hanno diritto all'asilo in Europa, ciò non può che essere una negazione dei diritto di accoglienza propinata a centiaia di persone, ora condotte sulla strada che li porterà nei centri di detenzione libici.
Quel che accade oggi non è che il risultato del filo spintato posto a difesa della Fortezza Europa, delle politiche implementate soprattutto dagli accordi di Schengen, che fanno dell'Europa e delle sue autorità i primi responsabili delle tragedie e delle angherie di milioni di migranti, nel palese fallimento delle politiche di controllo contenimento e repressione dei flussi migratori.
Ma nonostante i disastri marittimi e i costi umani non si fermano i viaggi della speranza in direzione dell'Italia da parte di tanti migranti che sperano di trovar in essa un lido migliore dove ricostruirsi una vita. Oltre 400 migranti sono quest'oggi approdati sulle coste della Sicilia orientale, dopo i 222 arrivati ieri. Il primo barcone è giunto sulla spiaggia di Scoglitti, in provincia di Ragusa, a bordo 153 migranti. Altre 249 persone sono invece arrivate a Portopalo di Capo Passero, nel siracusano. Sono ora tutti parte del processo di identificazione e detenzione forzana nei Centro di identificazione e espulsione.
A proposito di questo è da registrare come il Cie di Lampedusa non possa ancora considerarsi pacificato, vista l'ennesima fuga dei migranti dal centro: una ventina di persone ieri sono riuscite ad allontanarsi, venendo però poi bloccati qualche ora dopo dai carabinieri. Episodio questo che ha fatto risalire la tensione, a fronte di una situazione che vede complessivamente 720 persone distribuite tra il Cie di contrada Imbriacola e l'ex base Loran di Capo Ponente. Nei giorni scorsi il sindaco di Lampedusa, Dino De Rubeis, era tornato a lamentare la mancanza di un'adeguata assistenza medica e l'inutile eccedenza di forze dell'ordine e militari sull'isola.
Ascolta l'intervista con Fulvio Vassallo Paleologo, docente dell'università di Palermo

martedì 24 marzo 2009

E ora nasce anche l'"azienda etnica"

di Alberto Burgio e Roberto Croce
Il Ministero del Lavoro e gli enti previdenziali (su tutti l’INPS), con la loro attività di vigilanza, dovrebbero svolgere un ruolo centrale nella prevenzione e nel contrasto di fenomeni di rilevante impatto economico-sociale quali il lavoro nero, gli infortuni sul lavoro, gli appalti illeciti, i fenomeni di elusione contributiva, il lavoro irregolare degli stranieri, il lavoro minorile, le violazioni della disciplina sulle pari opportunità, l’inserimento lavorativo dei disabili, il fenomeno delle false prestazioni nel settore agricolo ecc. ecc.
C’è, pertanto, da restare allibiti leggendo il recente documento di programmazione dell’attività di vigilanza per l’anno 2009 della direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro.
In esso la crisi economica in atto è strumentalizzata al fine di realizzare un nuovo assetto programmatico della vigilanza che non intralci l’attività produttiva e la competitività delle imprese: “la mutata fase economica in cui si trova il nostro Paese, che attualmente sta risentendo degli effetti di una crisi di livello mondiale, investe tutti i settori economici incidendo pesantemente sull’attività produttive e sulla competitività delle imprese operanti sul territorio”.
Da tale premessa deriva “la scelta di investire su un’azione di vigilanza selettiva e qualitativa”, con la conseguenza che “la vigilanza sarà indirizzata esclusivamente su specifici obiettivi meritevoli di particolare attenzione e caratterizzati da fenomeni di rilevante impatto economico-sociale”; e ciò in perfetta coerenza con quanto prescritto dal Ministro Sacconi con la direttiva del 18.09.2008, nella quale si richiamava la necessità di abbandonare “ogni residua impostazione di carattere puramente formale e burocratica, che intralcia inutilmente l’efficacia del sistema produttivo senza portare alcun minimo contributo concreto alla tutela delle persona che lavora”.
Gli effetti “a valle” dei citati provvedimenti non hanno tardato a prodursi.
E così, con la circolare n. 27 del 25 febbraio 2009, anche l’INPS ha tracciato le linee di intervento per l’attività di vigilanza 2009 e lo ha fatto in perfetta coerenza con la direttiva Sacconi del settembre 2008 e con il documento di programmazione del Ministero del Lavoro.
Il quadro di riferimento è sempre lo stesso: “l’attuale sistema produttivo è investito, come è noto, da una profonda crisi economica che ha travalicato i confini nazionali, connotandosi come una emergenza mondiale. Di tale situazione non si può non tener conto anche nell’ambito delle azioni da intraprendere nella vigilanza, le quali potrebbero se, non opportunamente indirizzate, aumentare il disagio e le difficoltà dei soggetti imprenditoriali”.
La filosofia di fondo non muta: centralità dell’impresa a scapito delle esigenze di tutela dei lavoratori. In questo quadro, l’attività di vigilanza e di controllo viene concepita come l’ennesimo ostacolo al libero dispiegarsi dell’attività di impresa, non già come un essenziale strumento di legalità e di tutela dei più deboli.
Di più. Con una dose di realismo maggiore di quella del re, l’INPS, non solo si adegua, ma va ben oltre le indicazioni ricevute, indirizzando – in perfetta coerenza con le pulsioni xenofobe oggi tanto di moda - l’attività di vigilanza prioritariamente in un settore di nuovo conio: quella delle “aziende etniche”. Ed infatti nella circolare 27 si legge testualmente che“Nel 2009 dovrà essere privilegiata l’azione di vigilanza nei confronti delle realtà economiche gestite da minoranze etniche”.
A giustificazione di tale scelta, l’INPS indica quale fonte dell’obbligo di agire nei confronti delle “aziende etniche” l’art. 15 di una “proposta di direttiva in corso di recepimento da parte della Comunità Europea”.
Nulla di più infondato. Il citato art. 15, infatti, si limita a disporre che: “Gli stati membri garantiscono che ogni anno almeno il 10% delle imprese stabilite sul loro territorio siano oggetto di ispezioni ai fini del controllo dell’impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare”.
In sostanza, l’Unione Europea non impone di controllare le “aziende etniche” (nozione, si badi bene, sconosciuta sia dal legislatore comunitario che da quello italiano), ma invita gli stati membri a individuare e punire le imprese che utilizzano lavoratori extracomunitari irregolari.
Una norma a tutela degli immigrati viene così trasformata in pretesto per l’attuazione di politiche di vigilanza contro le minoranze etniche. E così anche in questa materia l’immigrato diventa il “capro espiatorio”, come se la caccia all’ambulante senegalese o al ristorante cinese sotto casa risolvesse i problemi del lavoro irregolare. Di fronte a tali provvedimenti, c’è da chiedersi che fine abbia fatto la linea di “tolleranza zero” tanto proclamata (ma mai praticata) dopo le stragi della Umbria Olii e della Thyssen Krupp.
La conclusione a cui si può giungere è la seguente: su pressione del padronato, l’esecutivo, dopo avere più volte rinviato l’entrata in vigore di significative porzioni (es. in tema di valutazione dei rischi) del nuovo Testo Unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e in attesa di un ormai imminente decreto correttivo dello stesso che ne attenui l’impianto sanzionatorio, ha deciso di svuotare le nuove prescrizioni del D. Lgs. n. 81/2008 sul piano dei controlli, fornendo, per via amministrativa e col pretesto della crisi economica in atto, direttive finalizzate a limitare l’attività di vigilanza degli ispettori o, quantomeno, a orientarla verso fenomeni privi di rilevante ed effettivo impatto economico sociale, ma ricchi di valenze simboliche, quale ad esempio quello delle “aziende etniche”.
Inutile dire che, in un paese normale, il ragionamento dovrebbe essere capovolto.
La crisi economica che sta travolgendo le imprese italiane e il conseguente aumento esponenziale della disoccupazione rischiano di determinare un aumento dei fenomeni di lavoro irregolare e di fare saltare tutte le tutele: previdenziali, assistenziali e di sicurezza sul posto di lavoro.
In questo contesto, il compito principale del Ministero del lavoro e dell’INPS dovrebbe essere quello di potenziare, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo, l’azione di contrasto dei fenomeni di irregolarità al fine di garantire a tutti i lavoratori uguali diritti e tutele.