Nella specialissima gara alla delazione da parte dei medici, che la norma contenuta nel pacchetto sicurezza attualmente all'esame del parlamento vorrebbe istituzionalizzare, non poteva certo mancare il Veneto. Nella fattispecie Treviso. Per essere ancora più precisi, Conegliano Veneto. La terra d'origine del sindaco sceriffo per antonomasia, Giancarlo Gentilini, mica poteva deludere il suo illustre compaesano. E del resto il primo firmatario della proposta è il leghista Federico Bricolo, che a Verona ha i suoi natali. Allora, anche se un po' in ritardo rispetto ad altre parti d'Italia più celeri nel recepire le «belle novità» legislative del governo, ecco apparire in classifica anche il Veneto, con il suo caso. Quello di una ragazza nigeriana che, arrivata al pronto soccorso per farsi curare, si è vista recapitare una bella lettera di espulsione dal territorio italiano.
La legge fortemente voluta dalla Lega nord non è ancora in vigore, ma le sue prime «vittime» le ha già fatte. Prima è arrivata Napoli, con la vicenda di Kante, la giovane ivoriana denunciata mentre era all'ospedale Fatebenefratelli del capoluogo campano per partorire. Poi, la «doppietta» lombarda, Brescia e Pavia. Nella «Leonessa d'Italia» Baccan Ba, un ragazzo senegalese di 32 anni, ha aspettato quattro giorni prima di andare all'ospedale per un mal di denti che gli faceva patire le pene dell'inferno per paura di essere espulso. Quando si è convinto a farsi curare, una zelante guardia giurata lo ha portato al commissariato. Si è dovuto tenere il mal di denti e, in aggiunta, si è beccato un «foglio di via». Nella patria dei «bata lavar» (i tipici agnolotti in brodo dell'Oltrepò) Carlos, ventunenne boliviano, irregolare, ha passato dieci giorni con dolori lancinanti all'addome prima che i suoi amici lo convincessero a farsi ricoverare in un ospedale della città lombarda. È già stato operato cinque volte ed è ancora in sala di rianimazione, gravissimo. Non si sa se sopravviverà. Fosse andato subito a farsi curare, se la sarebbe cavata con un'operazione di routine e qualche giorno di degenza. A chiudere la lista degli episodi, almeno per ora, Conegliano Veneto.
La ragazza, vent'anni, nigeriana, viveva un po' dove le capitava. Spesso nei pressi della stazione della cittadina veneta. Se era fortunata, la ospitava qualche amico. Qualche sera fa si è sentita male mentre era a casa di connazionali e ha pensato che, se fosse andata all'ospedale, l'avrebbero curata. Del resto, per definizione un ospedale serve proprio a quello. Allora, intorno all'una di notte, si è recata al pronto soccorso dell'ospedale santa Maria dei Battuti di Conegliano. Visitata dal medico di turno, la ragazza è stata tenuta sotto osservazione per un paio d'ore. Per tutto il tempo, alle pressanti richieste del personale ospedaliero, che voleva sapere le sue generalità, ha risposto picche. E allora lo zelante medico non ha trovato di meglio da fare che chiamare il 113, per avvisare gli agenti che nell'unità operativa era stata presa in carico una «paziente ignota». Per giustificarsi, il dottore ha dichiarato che le generalità servivano per «fugare il rischio di eventuali problemi sanitari», riscontrabili attraverso un controllo dei database in possesso dell'ospedale. Il primario del pronto soccorso dell'ospedale, il dottor Enrico Berardi, ha immediatamente preso le distanze dal collega: «Non ne sapevo nulla - ha detto - approfondirò il caso. Ma se è vero che un collega del mio reparto ha denunciato una paziente perché clandestina, ha avuto un comportamento scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammalati».
Trasportata al commissariato, la ragazza ha ceduto, e ha detto come si chiamava. Così i poliziotti hanno scoperto che la giovane aveva già ricevuto un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento. Dopo essersi sottoposta all'esame delle impronte digitali, la fanciulla ha dovuto passare una notte al fresco. Il mattino successivo, il processo per direttissima. A nulla sono servite le spiegazioni, tra le lacrime, della giovane, che ha dichiarato davanti al giudice di essere scappata dalla Nigeria per sfuggire alla morte. Al termine dell'udienza si è ritrovata con in mano un nuovo foglio di espulsione. Dovrà lasciare il territorio italiano entro pochi giorni, senza accompagnamento.
La legge fortemente voluta dalla Lega nord non è ancora in vigore, ma le sue prime «vittime» le ha già fatte. Prima è arrivata Napoli, con la vicenda di Kante, la giovane ivoriana denunciata mentre era all'ospedale Fatebenefratelli del capoluogo campano per partorire. Poi, la «doppietta» lombarda, Brescia e Pavia. Nella «Leonessa d'Italia» Baccan Ba, un ragazzo senegalese di 32 anni, ha aspettato quattro giorni prima di andare all'ospedale per un mal di denti che gli faceva patire le pene dell'inferno per paura di essere espulso. Quando si è convinto a farsi curare, una zelante guardia giurata lo ha portato al commissariato. Si è dovuto tenere il mal di denti e, in aggiunta, si è beccato un «foglio di via». Nella patria dei «bata lavar» (i tipici agnolotti in brodo dell'Oltrepò) Carlos, ventunenne boliviano, irregolare, ha passato dieci giorni con dolori lancinanti all'addome prima che i suoi amici lo convincessero a farsi ricoverare in un ospedale della città lombarda. È già stato operato cinque volte ed è ancora in sala di rianimazione, gravissimo. Non si sa se sopravviverà. Fosse andato subito a farsi curare, se la sarebbe cavata con un'operazione di routine e qualche giorno di degenza. A chiudere la lista degli episodi, almeno per ora, Conegliano Veneto.
La ragazza, vent'anni, nigeriana, viveva un po' dove le capitava. Spesso nei pressi della stazione della cittadina veneta. Se era fortunata, la ospitava qualche amico. Qualche sera fa si è sentita male mentre era a casa di connazionali e ha pensato che, se fosse andata all'ospedale, l'avrebbero curata. Del resto, per definizione un ospedale serve proprio a quello. Allora, intorno all'una di notte, si è recata al pronto soccorso dell'ospedale santa Maria dei Battuti di Conegliano. Visitata dal medico di turno, la ragazza è stata tenuta sotto osservazione per un paio d'ore. Per tutto il tempo, alle pressanti richieste del personale ospedaliero, che voleva sapere le sue generalità, ha risposto picche. E allora lo zelante medico non ha trovato di meglio da fare che chiamare il 113, per avvisare gli agenti che nell'unità operativa era stata presa in carico una «paziente ignota». Per giustificarsi, il dottore ha dichiarato che le generalità servivano per «fugare il rischio di eventuali problemi sanitari», riscontrabili attraverso un controllo dei database in possesso dell'ospedale. Il primario del pronto soccorso dell'ospedale, il dottor Enrico Berardi, ha immediatamente preso le distanze dal collega: «Non ne sapevo nulla - ha detto - approfondirò il caso. Ma se è vero che un collega del mio reparto ha denunciato una paziente perché clandestina, ha avuto un comportamento scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammalati».
Trasportata al commissariato, la ragazza ha ceduto, e ha detto come si chiamava. Così i poliziotti hanno scoperto che la giovane aveva già ricevuto un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento. Dopo essersi sottoposta all'esame delle impronte digitali, la fanciulla ha dovuto passare una notte al fresco. Il mattino successivo, il processo per direttissima. A nulla sono servite le spiegazioni, tra le lacrime, della giovane, che ha dichiarato davanti al giudice di essere scappata dalla Nigeria per sfuggire alla morte. Al termine dell'udienza si è ritrovata con in mano un nuovo foglio di espulsione. Dovrà lasciare il territorio italiano entro pochi giorni, senza accompagnamento.
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