giovedì 16 aprile 2009

Turni massacranti, straordinari, produttività, profitto: ecco i colpevoli di 1200 omicidi all'anno!

di Dario Salvetti
Nel giorno in cui Cgil, Cisl e Uil organizzano a Barberino di Mugello un convegno sulla sicurezza sul lavoro, pubblichiamo questo volantino per dire la nostra sul tema come Rifondazione Comunista.
Lacrime di coccodrillo scendono a fiumi ogni volta che avviene l’ennesimo infortunio mortale sul lavoro. Si sprecano a quel punto i richiami alla prudenza, alla sicurezza, alla prevenzione. Magari il tutto viene condito da qualche accenno ad eventuali colpe dei lavoratori coinvolti. Il punto è in verità molto semplice: esiste un legame chiaro e dimostrabile tra le condizioni di lavoro e le condizioni di sicurezza.
Se si prende la prima metà degli anni 2000, in Italia la media è stata di 961.163 infortuni ogni anno, di cui quasi 1300 mortali. Ma secondo l’Ilo (Ufficio Internazionale del lavoro) ve ne sono stati annualmente altri 300 da ricondurre a malattie di origine professionale. In Europa, per ogni infortunio mortale decedono altre quattro persone a causa di malattie di origine lavorativa.
Ciò che le aziende risparmiano cinicamente in termini di sicurezza sul lavoro viene pagato sotto ogni punto di vista dal resto della società. Il danno è ovviamente prima di tutto umano e non è di certo monetarizzabile: presa l’aspettativa di vita media, ogni caduto sul lavoro perde 35 anni di vita, per un totale di oltre 40 mila anni di vita persi ogni anno. Per quanto riguarda il resto dei costi, la mancata prevenzione degli infortuni, secondo l’Inail, provoca una spesa quantificabile al 3% del Prodotto Interno Lordo.
Come già detto, esiste un legame inscindible tra condizioni contrattuali, di orario e sicurezza sul lavoro. L’Italia è uno dei paesi con il numero più alto di morti bianche a livello europeo. E non a caso è uno di quelli dove si lavora di più: 38,5 ore medie settimanali contro le 36,9 di Gran Bretagna e le 35,6 della Germania. Si infortunano di più le categorie più deboli contrattualmente: alla fine del 2007 gli infortuni erano in aumento tra gli extracomunitari (+50%), i lavoratori parasubordinati (+5,7%) e interinali (+13,6%).
E’ vero: complessivamente negli ultimi anni il numero degli infortuni ha registrato una lieve flessione, ma talmente lieve da essere più facilmente attribuibile ad una riduzione delle denunce o dell’immersione nel lavoro nero che ad una vera e propria azione di prevenzione. In seguito ai diritti conquistati con l’autunno caldo del ‘69, il numero dei morti sul lavoro dimezzò bruscamente. Oggi invece registriamo riduzioni di pochi punti percentuali.
E’ipocrita dichiarare a parole la volontà di contrastare le morti bianche se poi avanzano direttive e leggi che nei fatti le favoriscono. Il nuovo modello contrattuale appena firmato da Cisl, Uil, Ugl e Confindustria, ad esempio, lega sempre di più salario a produttività, reintroducendo una forma velata di cottimo e di conseguenza stimolando l’intensificazione dei ritmi di lavoro.
La revisione del testo unico sulla sicurezza apportata dal Ministro Sacconi riduce la trasparenza delle procedure e dei controlli, passando una serie di delitti “formali” previsti per le aziende che non rispettano le condizioni sicurezza dal piano penale a quello civile. Per una serie di delitti, quindi, non c’è più il carcere ma solo o comunque in alternativa la semplice multa.
I morti sul lavoro sono la vera emergenza sicurezza, altro che la criminalità! Gli omicidi sono diminuiti, passando dai 1042 del 1995 ai 663 nel 2006. Solo l’anno scorso, invece, sono morti 1170 operai sul lavoro.

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