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lunedì 4 maggio 2009

Governo in continuità con il ventennio fascista

"Dell'Utri, affermazioni vergognose di vero ideologo PDL"
Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista - SE
Mussolini "brava persona" e i repubblichini "partigiani". Passate le convenienze del 25 aprile, la continuità fascistoide della destra nostra con il Ventennio fascista torna fuori chiaramente nelle parole di Marcello Dell'Utri, ideologo della Pdl e intimo del premier. Il problema è che quelle che Dell'Utri definisce le "idealità" dei repubblichini sono state condannate in modo netto e senza possibilità di appello dalla Storia, da tutte le persone democratiche e dal Tribunale di Norimberga, che li ha definiti crimini contro l'umanità.
Queste dichiarazioni dell'ideologo della Pdl mostrano ancora una volta come questo governo e questa maggioranza si pongano in continuità con il Ventennio fascista e non sappia né voglia cogliere il punto fondamentale che ha dato vita alla Resistenza e alla nostra Costituzione democratica, resa possibile unicamente dall'alleanza di tutti gli stati antifascisti e dalla lotta partigiana, lotta di cui i comunisti sono stati una parte centrale e fondamentale. Dell'Utri è un fascista che dovrebbe vergognarsi delle sue parole e non inquinare il dibattito democratico.

lunedì 27 aprile 2009

Perchè il 25 aprile non può essere una festa di tutti. Il caso Romualdi

La storia è uscita fuori dagli archivi per merito di un regista e documentarista parmense, Giancarlo Bocchi e racconta la triste storia di Giordano Cavestro su “Alias”, il supplemento del “Manifesto”. Il giovane partigiano comunista fu fucilato a Bardi il 4 agosto 1944, dopo che una telefonata fra Mussolini e il futuro deputato al Parlamento italiano ed europeo Pino Romualdi (allora vice-segretario del partito fascista di Salò) ne decise la sorte.
Romualdi si adoperò alacremente, come era abituato a fare, per spezzare la vita del giovane patriota e di altri antifascisti Raimondo Pelinghelli, Vito Salmi, Nello Venturini ed Erasmo Venusti. L’infame eccidio fu compiuto per rappresaglia dopo l’uccisione di quattro fascisti repubblichini.
La telefonata di Mussolini a Romualdi fu intercettata da un “gruppo di ascolto”, composto, fra gli altri, da due antifascisti che lavoravano alla “Timo”, come si chiamava in quel tempo la compagnia telefonica. I due – nomi di battaglia Otto e Vladimiro – intercettavano le telefonate per scoprire in anticipo le rappresaglie e gli agguati dei nazi-fascisti e mettere così al sicuro la popolazione e gli antifascisti. Furono denunciati e torturati dalla Gestapo e soltanto Otto e Vladimiro sopravvissero e ora hanno raccontato le loro drammatiche vicende.
“La telefonata era una storia sepolta della Resistenza, una delle tante che ancora oggi attendono di essere conosciute. E’ importante che venga raccontata perché Romualdi fu un personaggio di primo piano della politica italiana del dopoguerra, uno dei padri fondatori del Movimento sociale italiano, deputato nazionale ed europeo. E’ importante perché dimostra che chi intende farsi beffa della storia deve stare attento, prima o poi la storia esce nella sua verità” dice ora Bocchi ed aggiunge: “Credo che questa sia la migliore risposta a chi fa bieco revisionismo e a chi, come il ministro La Russa, vuole equiparare i militari di Salò ai martiri per la Libertà”.
Non solo Romualdi ma numerosi leader del disciolto Movimento Sociale Italiano, fra cui Giorgio Almirante, ancora osannato dagli attuali post-fascisti, si resero responsabili di rappresaglie e fucilazioni di antifascisti. Sarebbe il caso di ricordarsene, soprattutto il 25 aprile, “festa condivisa”.

Il Manifesto dei Resistenti

La nostra storia non è cominciata adesso. Un Manifesto comune per tutti i Resistenti.

Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla montagna del Principe Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l'onda lunga che ha portato alla Repubblica del '36 e alla resistenza antifranchista fino ai nostri giorni.
Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti - Ciceruacchio per il suo popolo - insieme al figlio Lorenzo cadeva sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri.
A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come "strade di una caserma opportunamente ampliata" perché i padroni temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo conosciuti come "Communards". I soldati del gen. Lacombe furono mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero nemico.
Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono alla Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa migliore degli ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro". Capite adesso perché lo sciopero dei lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995?
Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche nelle nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno. Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del generale francese Bugeaud.
Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani, impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani, nell'ottobre del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero tre scariche della fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo cadere a terra. Husein e i suoi Resistenti avevano fatto impazzire i militari italiani nelle uadi o sulle strade carovaniere. Per rabbia e per rappresaglia gli italiani fucilarono centinaia di persone e ne deportarono 3.053 nelle isole Tremiti, a Ustica, a Favignana, a Ponza e a Gaeta.
"Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi del poeta arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia violare con stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia addossata la colpa ai soli italiani ma tutto l'occidente sia considerato colpevole".
Nelle colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in India o fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in Libia. Ma gli arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del deserto, Omar Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le camicie nere che occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani, quello che aveva massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar Al Muktar. Ma il suo fantasma inquieta così tanto gli eredi di Graziani da impedire che in Italia si possa vedere il film che parla della sua storia. Fanno paura anche da morti i Resistenti!!!
Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697 contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord, eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città.
Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra selve e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che volevamo una sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci insieme a José, Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere quando a Morelos Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le montagne e mise i brividi ai latifondisti. Tante volte abbiamo resistito, accerchiati dai rurales e dai federales, tante volte li abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in vittorie. E ci avete visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là, nel Guerrero, a Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez, vendicando con la coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a Città del Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni più tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas giurarono di fargliela pagare agli assassini.
Eravamo in Bolivia con l'acqua fino alla cintura al guado del Yeso quando l'imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui Tamara Burke "Tania". Diciotto giorni dopo nel canalone di "El Yuro" veniva ferito e poi assassinato Ernesto Guevara detto "Il Che" insieme al Chino e a Willy. Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba contro la privatizzazione dell'acqua, avevano la sua immagine sulle nostre bandiere, la stessa immagine e le stesse bandiere che sventolano sulle terre occupate del Brasile dei Sem Terra, nelle zone liberate dalla FARC in Colombia tra i piqueteros in Argentina. I militari, gli jacuncos o quei perros degli "aucisti", sentono un brivido lungo la schiena quando invece di indios e campesinos impauriti si trovano di fronte i Resistenti.
Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del 1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati dall'agenzia Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli immigrati, diventati operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt o misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S. Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perché i Resistenti non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno guardare ben oltre le sbarre della loro cella.
Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le abbiamo scritte nel cuore dell'Europa messa a ferro e fuoco dal nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della Fabbrica di Trattori a Stalingrado. "I nazisti, non potendo prenderci vivi volevano ridurci in cenere" ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di noi. Insieme a lui ed a noi c'erano Stepan Kukhta e il vecchio Pivoravov veterano cinquantenne. Li abbiamo tenuti in scacco per mesi e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La nostra resistenza diede coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che portò le nostre bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di Berlino. Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire la polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell’Ottobre. “Il mio insostituibile Kamo” diceva Ulianov preparando il primo assalto al cielo.
Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì, insieme a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò per non arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in rivolta. Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di concentramento ma anche per riscattare la vergogna dei collaborazionisti dello Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla Neretva abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli ustascia croati mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto ucciderlo e così Joakim Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi dimostrarono ai nemici e agli amici che sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine del secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO ma i dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in occidente, la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
"Banditi" così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della periferia romana e i contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano. "Cammina frut" scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile della frontiera con l'Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne greche.
Tanti di noi si erano "fatti le ossa" nella guerra di Spagna, affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i bombardamenti tedeschi. Con l'immagine delle rovine di Guernica negli occhi, abbiamo resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle democrazie europee che temevano il nazifascismo ma temevano ancora di più la rivoluzione popolare e l'onda lunga dell'ottobre sovietico. Quando finì la guerra non eravamo tutti convinti che fosse finita veramente. In Emilia-Romagna – come dice Vitaliano che fu partigiano e vietcong - non consentimmo ai fascisti di cavaresela a buon mercato e in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro gli inglesi e gli americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto contro i tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti di Euskadi non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del franchismo in Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in Spagna e in Grecia ci sono ancora i movimenti di lotta più forti e decisi d'Europa?
Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell'Africa siamo arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità.
E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti. L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a Cuba, con la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle giungle del Vietnam. L'immagine del piccolo Truong che scorta prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son "il poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio si moltiplica per dieci".
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti siamo fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche gli eserciti arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso corrotti che riuscirono perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima gli israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo hanno fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo e coraggioso paese.
E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che hanno animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano come macigni sull'occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza dell'occidente. C'erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle giornate di Napoli e di Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto ma il suo volto da ragazzo si è moltiplicato su quelli di migliaia di ragazzi come lui, nuovi Resistenti che hanno bisogno di sapere, di conoscere, di mettere fine agli inganni e alle rimozioni che li circondano, che sfidano i potenti con la determinazione di Rachel Corrie.
Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio Pietro ha riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti scrivendo che la "Resistenza contro l'invasione è la prima condizione per la pace". I Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo mondo reso più piccolo dalla globalizzazione e più insicuro dall'imperialismo e dalla guerra. E' arrivato il momento di unirli, di dargli una identità comune e condivisa, di riconoscerli e farli riconoscere a chi - da Bogotà a Manila, da Nablus a Salonicco, da Seattle a Durban - si è rimesso in marcia per rendere possibile un altro mondo. Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all'imperialismo occorre resistere, improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia. Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della libertà, all’idea di libertà fondata sull’homo economicus noi proponiamo all’umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza, un vantaggio si sta moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze è cominciata.

I Resistenti

Cagliari: caricati gli antifascisti, l'estrema destra commemora i caduti della RSI

di Osservatorio sulla repressione
Sono le cinque del pomeriggio quando una cinquantina di compagni raggiunge piazza Gramsci, punto d'arrivo della manifestazione indetta da tutte le sigle della destra cagliaritana e autorizzata dal Prefetto. Ad attendere gli antifascisti circa cento poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. Già in prossimità della piazza scattano i controlli e le identificazioni. Vista l'impossibilità di concentrarsi nella piazza antistante la via Sonnino, i compagni decidono di spostarsi nella vicina Piazza Costituzione.
Da qui, in circa centocinquanta, si dirigono nuovamente verso la Piazza Gramsci, intenzionati a contrastare la lugubre marcia dei fascisti che sfilano per commemorare i caduti della R.s.i e chiedere l'abolizione del 25 Aprile. Sono circa le 18 e i fascisti stanno per muoversi dalla Piazza Garibaldi, distante circa mezzo chilometro dal luogo in cui si trovano gli antifascisti. In quel momento, dalla piazza Gramsci, una quarantina di poliziotti e diversi blindati avanzano lentamente verso i compagni. Quando questi ultimi sono "a vista" scatta la carica a freddo: negli ultimi trenta metri i poliziotti si scagliano contro i manifestanti che riescono, comunque, a resistere per svariati minuti alla pressione delle forze dell'ordine. Letta la situazione, alcuni cittadini scendono dai palazzi per frapporsi tra la polizia e i manifestanti aggrediti. Intanto i manganelli hanno causato lesioni a cinque persone, una di queste ha riportato la frattura del setto nasale.
A questo punto i compagni decidono di spostarsi in corteo, non autorizzato (come non era autorizzato il presidio delle cinque visto che la piazza era già stata 'promessa' ai fascisti), verso la Piazza del Carmine dove la sera si festeggerà la Liberazione. Un corteo, peraltro, molto ben riuscito sul piano della comunicazione. Quando i resistenti si trovano nella via Roma, i fascisti avanzano per la via Sonnino in direzione del monumento ai martiri delle Foibe, a loro tanto caro, dove di fatto hanno poi deposto un cippo per commemorare i repubblichini. In circa centocinquanta, arrivati da tutta la regione, hanno marciato con i loro tricolori e le loro aquile grazie alla connivenza delle istituzioni locali. Da notare come nessuna sigla specifica sia stata mostrata a favore di uno striscione unitario "Onore ai caduti della RSI". Una tetra e cupa aria di morte e tristezza è scesa su quella zona del centro di Cagliari.
Un primo bilancio della situazione porta a dire due cose: innanzitutto c'è stata una forte reazione da parte degli antifascisti cagliaritani che hanno provato in tutti i modi a contrastare quella che è da considerarsi una vera e propria marcia della vergogna, riuscendo infine a portare la propria voce per le strade della città. In secondo luogo è da sottolineare come, da due anni a questa parte, i fascisti del capoluogo sardo non si accontentino più di sventolare i simboli dell’infamia inscenando un presidio statico presso la Basilica di Bonaria come era loro abitudine. E questo è un dato su cui riflettere. Insomma, il 25 Aprile a Cagliari è stato due cose al contempo: una pagina nera e una giornata di resistenza.



Cagliari, un 25 aprile di resistenza!
La giornata di oggi segna un solco profondo con la tradizione cagliaritana di gestione del 25 aprile, fatta di commemorazioni e passeggiate che convivevano con la presenza fascista in città indisturbata e protetta da un ingente numero di forze dell'ordine. Da numerosi anni, infatti, due anime popolano le piazze del 25 aprile: da una parte il corteo istituzionale per celebrare la festa della liberazione dal nazi-fascismo, dall'altra, nelle scalinate della basilica di Bonaria, tutta la destra sarda composta da un centinaio di persone che commemora i caduti della R.S.I.. Negli ultimi due anni i fascisti hanno osata di più senza trovare particolari resistenze, il 25 aprile infatti da due anni organizzano un corteo da piazza Garibaldi a Piazza Gramsci dove risiede il monumento ai caduti.
Il solco sta tra la decisione dei vari partiti e del comitato antifascista che organizza la giornata del 25 aprile di non porre al centro dell'attenzione l'agibilità politica che da parte di questura, prefettura e comune viene concessa a Fiamma Tricolore, Forza Nuova e la anomala Azione Giovani, e la risolutezza che quest'anno hanno avuto studenti e lavoratori autorganizzatisi per tentare di bloccare i fascisti.
L'appuntamento era per un'ora e mezza prima del concentramento di continuità ideale, la sigla che creano i fascisti per il 25 aprile, ma già a quell'ora, le 17.00, un grosso dispiegamento di polizia mandava via la prima quarantina di compagni prendendo ad alcuni di essi le generalità. Gli antifascisti si spostano nella poco più lontana piazza costituzione incontrando nelle vicinanza alcuni fascisti che se la danno a gambe levate. A quel punto al ricompattamento gli antifascisti scendono nuovamente verso via Sonnino e si attestano a 200 metri dall'approdo del corteo pro repubblichini. Lo striscione rinforzato arriva giusto in tempo per l'arrivo della celere che senza pre-avvertimento carica brutalmente il presidio degli studenti che a quel punto sarà stato di un centoventi, centocinquanta di persone. La carica della polizia dura diversi minuti ma, forse per la prima volta a Cagliari, il presidio regge senza fuggire e senza arretrare, contando "solo" cinque feriti nonostante negli occhi dei poliziotti le intenzioni fossero ben peggiori.
Il presidio a quel punto si trasforma in un corteo non autorizzato (come non autorizzato era il concentramento in piazza Gramsci, già concessa ai fascisti) che attraversa le vie centrali dello shopping cagliaritano comunicando alla cittadinanza quanto appena venuto e indicandone nella questura e nella prefettura i responsabili.
Il corteo si scioglie, ancora rabbioso, in piazza del Carmine dove si svolge il concerto finale dei festeggiamenti per la Liberazione, alcuni compagni salgono sul palco per raccontare quanto appena successo riscontrando l'applauso dei partecipanti.
Dopo le contestazioni al corteo per ricordare le foibe a Febbraio ed anche lì scontri con la polizia, ci rimane un 25 aprile di resistenza anomalo ma carico di significato e di prospettiva per la citta' di Cagliari, abituata a subire in silenzio l'onta di veder sfilare i fascisti.

sabato 25 aprile 2009

”Quel” 25 aprile

di Maria Rosa Calderoni
No. Per conto mio, mi metto fuoririga e fuoriluogo. Il 25 Aprile non è di tutti, e noi non siamo tutti uguali, non ancora; l’antifascismo non è uguale o simile al fascismo e nemmeno il fascismo è uguale o simile all’antifascismo. No, non ancora. Sono diversi. restano diversi.

E anche noi siamo “diversi”, restiamo diversi, ci piace di esserlo e di restarlo, in questi tempi di orizzonte piatto, dove valori ruoli partiti nomi e cognomi tendono a mescolarsi, a confondersi, a rimpicciolire le distanze, a farsi contigui. All’insegna volgare dell’uno che vale l’altro (o quasi). No. «L’unità morale del nostro popolo? Una comune e serena riflessione»? La verità di Fiuggi « che tutti i democratici erano antifascisti, ma non tutti gli antifascisti erano democratici»? No. Non vediamo dove due visioni e due concezioni (non solo della politica, ma della storia, del mondo, dello spirito,
della cultura) che non hanno niente in comune possano incontrarsi; né dove né perché. L’ecumenismo, a volte, può far rima con il nullismo; o peggio, con la resa. Può servire a far dimenticare chi siamo, da dove veniamo, quanto è costato. A introiettare le parole altrui, magari avversarie, e a non trovare più le nostre. Ci congratuliamo con il presidente della Camera, se alla fine l’ha capita pure lui, che l’idea “giusta” di nazione (e non solo di nazione...) era la nostra, meglio tardi che mai. Ma per favore, non facciamo finta che oggi tutto si equivale e che l’ambivalenza è il “nuovo” valore che conta. Nessuno può appropriarsi della storia che non ha avuto, e l’equiparazione, nonostante i tempi grigi che corrono, resta quella che è: un falso.
Con il nostro cuore “allegro e veloce” - è l’espressione di un poeta - ce ne infischiamo degli alti pensieri di tanti accidiosi revisionismi; per conto nostro - con tutte le nostre bandiere e tutti i nostri ideali - continuiamo a salutare quel 25 Aprile in cui abbiamo creduto e continuiamo a credere.
Quello in cui hanno creduto i nostri padri combattenti, i nostri fratelli e i nostri compagni che hanno dato la vita. Siamo generosi - lo siamo sempre stati - ma non immemori.
Tutto ciò che di grande e importante e duraturo c’è in questo Paese, lo si deve a “quello”, al nostro 25 Aprile, così come l’abbiamo conquistato e difeso: la Costituzione che oggi tutti lodano (anche Fini, meglio tardi che mai), la libertà, la democrazia, l’emancipazione sociale.
Conquistato con le armi, in una lotta che - non dimentichiamolo - è stata dura, sanguinosa e spietata. Conquistato e poi difeso tenacemente, giorno per giorno, in tutti questi lunghi anni, con l’impegno, l’intelligenza, la dedizione, il sacrificio di milioni di persone (i nostri compagni, nell’accezione larga del termine).
No, state tranquilli; quando diciamo noi, non intendiamo dire solo «noi comunisti», no; nella Resistenza hanno combattuto con noi socialisti, liberali, cattolici; ma di questa lotta noi comunisti - sissignori, è storia documentata - siamo stati una parte grande, e ci piace ricordarlo. Questo fa parte della nostra antropologia, ci piace ricordarlo. E questo, questo “nostro” 25 Aprile, col suo sogno di riscatto della politica, del popolo, della società, nessuno può oscurarlo né confonderlo.
Siamo imperfetti, non siamo riusciti a raggiungere tutto ciò che volevamo e che anche avevamo promesso, una società più giusta e civile.
Per questo resistiamo ancora, per questo siamo qui ancora. Siamo imperfetti, abbiamo anche commesso errori e abbiamo subito sconfitte. Ma siamo qui, e abbiamo le nostre buone ragioni.
Perché, è questo forse il tempo in cui l’Italia può guardare «con fiducia al futuro e con serenità al passato», come ci vengono a dire, con l’alibi antico della sempre invocata “unità dell’Italia”, l’alibi
buono per tutte le stagioni, e tutti i misfatti, disgraziate guerre incluse? L’unità su che cosa, di grazia. Sui mille morti del lavoro all’anno?; sui 200 milioni (di euro) di buonuscita per Romiti e i 1000 mensili scarsi dello stipendio operaio?; sulla “privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite” in vigore oggi ancor più che ai tempi del vecchio Marx (come la global crisi insegna)?
Macché. Non siamo uguali.
Siamo diversi.

venerdì 24 aprile 2009

Il rischio del fascismo ci faccia rialzare la testa

di Alberto Burgio
Pare che Silvio Berlusconi abbia deciso di presenziare alle celebrazioni ufficiali del 25 aprile quest’anno per la prima volta da quando «scese in campo» nel ’94. È suo preciso dovere, un dovere disatteso in tutto questo tempo per ragioni che crediamo vadano ben oltre l’opportunismo di cui parla il senatore Macaluso. Lo fischieranno?
È possibile, e in questo caso dovrà farsene una ragione, il presidente del Consiglio. Ne trarrebbe spunti di riflessione, se la prepotenza gliene lasciasse il tempo. Giustificazioni, quegli eventuali fischi, ne avrebbero sin troppe, come ricorda ancora oggi il «Guardian» ripercorrendo la gloriosa carriera politica di Berlusconi tra editti bulgari, leggi razziste e ad personam. Chissà se il corrispondente del giornale londinese le ha viste quelle recenti immagini del Cavaliere con il berretto da ferroviere e il casco da vigile del fuoco. Sembrava Topo Gigio, ma avrebbe voluto rinverdire gli statuari fasti del Duce trebbiatore, sciatore e manovale. A volte ritornano, o perlomeno ci provano.
Chi proprio non cambia musica è il ministro La Russa. L’8 settembre approfittò della festa in ricordo della difesa di Roma per celebrare i suoi eroi, i «militi» repubblichini del battaglione “Nembo”. Oggi straparla di partigiani indegni di memoria perché «sognavano di imporre in Italia un regime stalinista». Anche questo turpiloquio dobbiamo a Berlusconi. Del resto, non è un fascista di Franco e di Salò anche il Venerabile Gelli, che tesserò lui e il fedele Cicchitto per la P2 e che non perde occasione per sottolineare le analogie tra l’azione del governo e il progetto piduista di «rinascita democratica»? Altro che passato immacolato, caro Macaluso! Piuttosto c’è da domandarsi perché, invece di mimetizzarsi, i La Russa, i Gasparri, gli Alemanno sfruttino ogni opportunità per ribadire il proprio credo. E perché lo facciano proprio oggi, mentre si rinnovano le violenze fasciste nelle strade, gli agguati squadristi, i cori razzisti negli stadi.
La partita è politica e non riguarda soltanto – come qualcuno pensa – la competizione con la Lega per l’egemonia sulla destra radicale e razzista. C’è un progetto che tira in ballo la Costituzione, come si evince agevolmente dagli elzeviri di Ernesto Galli Della Loggia sul «Corriere della sera». L’idea è che la Costituzione del ’48 abbia fatto il suo tempo e vada spedita in archivio. L’Italia dev’essere, per dir così, de-antifascistizzata. Bisogna voltare pagina, cominciare una storia post-costituzionale. Fare tabula rasa del Novecento e dei suoi conflitti. In apparenza si tratta di cancellare il passato. In realtà, l’intento è di legittimarlo. Quel che non merita di essere rimosso cessa d’incanto di essere una colpa.
Così la destra mette a frutto la vera anomalia italiana, l’assenza di cesure tra il fascismo e l’età repubblicana, la mancanza di una Norimberga, il sistematico rifiuto di una riflessione seria sul massacro degli oppositori, gli orrori del colonialismo, il razzismo di Stato contro ebrei, africani e slavi, le nefandezze dei repubblichini, l’incomparabile vergogna dell’alleanza con Hitler. Ma a chi dobbiamo questo revanscismo?
Di certo, contro il revisionismo storico non si è combattuto con la necessaria determinazione. In taluni casi lo si è persino favorito. Hanno pesato molte ragioni, e tra queste anche il difficile rapporto della sinistra con la propria storia. Sta di fatto che non si è stati all’altezza di uno scontro che, nell’investire il passato, coinvolgeva il presente; nel trattare di storia, produceva politica. Dice giustamente il «Guardian» che Berlusconi deve gran parte del proprio successo «alla profonda debolezza dei suoi avversari». Il punto è che questo successo lo paghiamo noi, lo paga il Paese, lo pagano le istituzioni della democrazia italiana costate la vita a migliaia di quei giovani partigiani sulla cui memoria oggi un ministro della Repubblica si permette di sputare. Bisogna saperlo. Bisogna guardare in faccia i rischi che corriamo. Bisogna, finalmente, rialzare la testa.

Roma: non c'è più il 25 aprile di una volta...

25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo. Era il 1945 e certo i partigiani che ci hanno restituito la democrazia non immaginavano che, anni dopo, le redini della commemorazione di questa giornata le avrebbe prese il presidente Berlusconi celebrandola ad Onna centro del terremoto in Abruzzo, dove peraltro verrà celebrata anche da Roberto Fiore e dai suoi accoliti di Forza Nuova.
A Roma, città medaglia d’oro alla resistenza, il sindaco Alemanno sarà all’Altare della Patria per portare una corona di alloro e poi, ha dichiarato, seguirà gli eventi istituzionali presenti in città.
La storia di Alemanno la conosciamo tutti e certo un suo rifiuto di festeggiare il 25aprile sarebbe stato apprezzato dai suoi per la coerenza, dai compagni e dai sinceri democratici perché questa data non è “la festa di tutti” ma la festa di coloro che al fascismo si sono opposti e continuano ad opporsi.
Persino il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, che certo non si può definire un estremista, ha dichiarato: "Difficilmente riuscirò ad avere buoni rapporti anche con Gianni Alemanno che è stato accolto al Campidoglio con i saluti fascisti". Gianni Alemanno ha risposto dicendo: "Quello che ha detto il sindaco di Parigi su di me è falso, offensivo e intollerabile". Invitiamo il sindaco a guardare i tanti filmati girati a piazza del Campidoglio la sera della vittoria elettorale, forse affacciato alla balaustra di Palazzo Senatorio, come un nuovo balcone di antica memoria, non ha visto i saluti dei suoi sostenitori. Le dichiarazioni del sindaco di Parigi hanno incrinato la patina di equidistanza del Campidoglio, ma sarebbe bastato dare un’occhiata alle ultime uscite del sindaco per capire come stanno le cose.
Il patrocinio del Comune ad un’iniziativa di Casapound, ''Aver messo il logo del Comune su un'iniziativa di Casapound può essere stato un errore ma non è stato questo grande scandalo'' ha dichiarato il sindaco. Patrocinio negato invece al Gay Pride perché si tratta di una manifestazione «di tendenza», secondo quanto dichiarato da Alemanno, gli risponde Fabrizio Marrazzo presidente dell’Arcigay: “Invitiamo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a prendere parte alla manifestazione del Gay Pride. Così facendo, si renderebbe conto che non si tratta di una manifestazione di parte, ma sui diritti e le libertà di tutti.”
C’è poi la questione del Teatro dell’Opera di Roma. Nicola Colabianchi, chiamato da Gianni Alemanno a supervisionare il settore artistico della commissariata Opera di Roma, è musicista dalla modesta carriera ma che può vantare l’aver diretto qualche concerto in memoria di Giorgio Almirante. Dopo aver promesso un commissariamento di pochi giorni, con la nomina di un consulente artistico Alemanno si prepara a tenere il Teatro in gestione straordinaria per lungo tempo, come era facile prevedere. Se la figura di Colabianchi desta perplessità, non sorprende che le maestranze del teatro abbiano salutato l’ex sovrintendente Ernani con un regalo.

giovedì 23 aprile 2009

Roma. Pedinati, fermati per 9 ore e denunciati 7 giovani di sinistra che attacchinavano manifesti per il 25 Aprile

Ufficialmente si trattava di un'operazione preventiva contro l'allarme 'coltelli' esploso tra i giovani della Capitale dopo una serie di sanguinose risse. In pratica è stato un agguato della polizia contro sette giovani militanti della sinistra che stavano attacchinando manifesti per il 25 aprile. Le due auto dei giovani - la maggior parte universitari - sono state seguite durante l'attacchinaggio dal Prenestino fino a largo della Croce Rossa (nei pressi della direzione nazionale del PRC) e poi bloccate dagli agenti con le pistole in pugno. Che non si trattasse di un gruppo uscito dalla discoteca per organizzare risse era piuttosto evidente seguendo la scia dei manifesti che erano stati attacchinati sui muri della città. Ma forse è proprio questo il motivo del blitz della polizia: quei manifesti erano antifascisti.
Le veline della Questura fanno emergere un quadro inquietante come se nelle macchine ci fosse un arsenale, ma lo stesso verbale scrive di "manici di piccone lunghi 30 centimetri" (ossia poco più lunghi del palmo di una mano) e della gamba di una sedia. Un pò poco per essere un arsenale ed anche per affrontare le eventuali squadracce neofasciste che invece vengono lasciate scorazzare indisturbate nella Capitale. I sette giovani sono stati denunciati per possesso di arma impropria e rilasciati dopo ben sette ore di fermo nel commissariato di via Farini.

martedì 21 aprile 2009

L’ombra del fascismo in Italia

The Guardian del 21/04/2009
L’obiettivo centrale di Silvio Berlusconi, il primo ministro italiano, è da tempo apparso chiaro e spudoratamente evidente. Fin da quando si è mosso nel vuoto politico creato nel 1993 dai simultanei scandali di corruzione del governo da un lato, ed il crollo del comunismo italiano, a sinistra dall’altro. Il signor Berlusconi ha usato la sua carriera politica e il potere per proteggere se stesso e il suo impero mediatico dalla giustizia. Durante il più lungo dei suoi tre periodi come primo ministro, il signor Berlusconi non solo ha consolidato la sua già forte presa sul settore italiano dei media - di cui ora possiede circa la metà - ma nella passata legislatura si è anche concesso l’immunità dai suoi procedimenti giudiziari. Poi, quando tale legge è stata dichiarata incostituzionale, il neo rieletto Presidente Berlusconi l’ha portata in una nuova veste lo scorso anno e l’ha avuta firmata con successo.
Il Signor Berlusconi deve il successo alla sua audacia e in gran parte per alla profonda debolezza dei suoi avversari. La sinistra italiana, in particolare, non è riuscita a montare una efficace opposizione. Eppure, l’ultima azione del signor Berlusconi - la fusione nel suo nuovo blocco del Popolo della Libertà, completato ieri, della sua Forza Italia con Alleanza Nazionale che deriva direttamente dalla tradizione fascista di Benito Mussolini - può lasciare un segno più duraturo nella vita politica italiana di quello lasciato da qualunque altro magnate populista.
A differenza della Germania postbellica, l’Italia del dopoguerra non si è mai adeguatamente confrontata con la propria eredità fascista. Come risultato, mentre i neofascisti in Germania non sono mai seriamente riemersi, in Italia, invece, vi sono state importanti continuità - tra cui leggi e funzionari ereditati dall’era Mussolini e la rinascita nel dopoguerra del ribattezzato partito fascista tra di loro - a dispetto di una cultura pubblica italiana ufficialmente antifascista. Quelle continuità sono ora diventate più forti. È il giorno della vergogna per l’Italia.
Tuttavia, AN ha percorso una lunga strada in 60 anni. Il suo leader, Gianfranco Fini, ha rigettato i vecchi arnesi politici ed ha portato il suo partito verso il centro. Ha lavorato per più di 15 anni come alleato di Berlusconi. Egli parla della necessità di un dialogo con l’Islam, denuncia l’antisemitismo, e auspica una Italia multietnica - posizioni che il Presidente Berlusconi, con il suo populismo anti-zingari, le campagne anti-immigrati e la sua predilezione per un razzismo soft, dovrebbe sforzarsi di avvicinare.
Nonostante le sue lontane origini liberali, l’Italia moderna è storicamente un paese di destra. Eppure è molto scioccante pensare che vi sarà un capo di governo tra i 20 leader del mondo al vertice economico di Londra questa settimana, che ha ricostruito la sua base politica sulle fondamenti gettate dai fascisti e che sostiene che la destra probabilmente rimarrà al potere per generazioni, come risultato.

guardian.co.uk

Il degrado della libertà di critica e di informazione in Italia

Una lettera appello al Consiglio d'Europa, al Parlamento europeo, alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo e al Commissario per i diritti umani

di Lucio Manisco, Giuseppe Di Lello e Alessandro Cisilin
Con riferimento alla risoluzione del Consiglio d’Europa 1387 (2004): Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia; e alla risoluzione del Parlamento Europeo P5TA (2004) 0373: Libertà di espressione e di informazione. Rischi di violazione nell’Ue e particolarmente in Italia della libertà di espressione e di informazione (articolo 11, paragrafo 2 della Carta dei Diritti Fondamentali, 2003/2237 INI), i sottoscritti sottopongono all’attenzione del Consiglio d’Europa e dei suoi organi competenti quanto segue:
1.I rilievi avanzati dalla risoluzione del Consiglio d’Europa sono stati ignorati o disattesi negli ultimi cinque anni dai governi Prodi e Berlusconi e da due legislature parlamentari italiane per quanto riguarda il conflitto d’interesse tra proprietà e controllo delle aziende e carica di ufficio pubblico (presidente del Consiglio), gli emendamenti alla legge Gasparri, il duopolio, divenuto ora monopolio, Rai-Mediaset, l’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo.
2.La situazione della libertà di critica, di informazione e di pluralismo mediatico ha registrato soprattutto nel settore televisivo un ulteriore devastante degrado negli ultimi cinque anni.
3.A riprova di quanto sopra richiamiamo all’attenzione del Consiglio d’Europa tre ultimi gravissimi episodi che attestano interferenze dirette del potere esecutivo con la libertà di informazione e di critica degli operatori di due programmi del servizio pubblico televisivo e il dominio autocratico del capo del governo su tutti i programmi dello stesso:
a)Il programma di giornalismo investigativo “Report” di Milena Gabanelli sulla “social card”, una direttiva del governo a favore dei meno abbienti, è stato fatto oggetto di aspre critiche dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e il nuovo direttore generale della Rai Mauro Masi ha immediatamente provveduto a sottoporre ad azione disciplinare il programma stesso da parte del Comitato Etico della Rai. L’onorevole Giuseppe Giulietti (Associazione Art.21) ha stigmatizzato tale misura nei seguenti termini: “L’attacco a Report dimostra che c’è un disegno preciso: la progressiva espulsione dalla Rai dei temi e degli autori sgraditi al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”.
b)Un secondo programma di giornalismo investigativo della Rai, “Annozero”, diretto da Michele Santoro (già sospeso nel 2001 per ‘editto’ del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e poi riattivato con nuova denominazione su sentenze della magistratura italiana), nella puntata del 9 aprile c.a. dedicata alla carenze di misure preventive della Protezione Civile sul terremoto nell’Abruzzo, è stato attaccato tre giorni dopo, domenica 12 alle 16.30, dal presidente del Consiglio in questi termini: “La tv pubblica non può comportarsi in questo modo”. Alle 18 dello stesso giorno il nuovo presidente della Rai Paolo Garimberti e il direttore generale Masi in una nota ufficiale disponevano un esame di “approfondimento” su Annozero. Il direttore generale ordinava quindi al conduttore di Annozero Michele Santoro di programmare una puntata “riequilibratrice” e gli ingiungeva di sospendere la collaborazione di Vauro Senesi, il più noto vignettista politico italiano.
c)Secondo quanto riferito dalla stampa italiana, il 17 aprile 2009 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in una riunione indetta con i suoi alleati di governo (Popolo della Libertà e Lega) nella sua residenza romana ha deciso il nuovo organigramma della Rai assegnando a giornalisti e funzionari a lui fedeli le direzioni dei telegiornali e delle reti, compito questo che dovrebbe essere invece espletato per statuto dal consiglio di amministrazione della Rai.
Si appalesa così, con inconfutabile evidenza, un controllo diretto, arbitrario e autocratico del capo del governo sul servizio pubblico televisivo, controllo la cui immediata efficacia censoria viene favorita dalla subordinazione degli organi direttivi della Rai ai poteri del capo del governo, che già controlla le emittenti private Mediaset.
I sottoscritti chiedono pertanto al Consiglio d’Europa di predisporre sui suddetti eventi un’indagine conoscitiva dell’Assemblea parlamentare, di monitorare questi e prevedibili nuovi attacchi alla libertà di informazione in Italia, di rinnovare al governo e al Parlamento della Repubblica Italiana, aggiornandoli,i rilievi già avanzati nella risoluzione 1387 del 2004.

domenica 19 aprile 2009

La Lega: il terremoto in Abruzzo è un segno dell'invasione islamica

"Oggi parliamo dei segreti della basilica di colle Maggio e della città dell'Aquila. Perchè vedete, se dovessimo limitarci al cordoglio, e al dolore alla riflessione puramente esteririore, non capiremmo quasi nulla di tutto quello che è accaduto". Inizia così la trasmissione su radio Padania Libera di tale Andrea Rognoni. Direttore di "Idee per l'Europa dei Popoli", rivista voluta dall'onorevole Mario Borghezio. Può sembrare un inizio interessante anche se l'emittente e il curriculum del giornalista garantiscono ben poca parzialità di analisi. Ma andiamo a sentire quelle che sono le analisi profonde che non si limitano alla riflessione puramente esteriore.
Secondo Rognoni, la verità sui palazzi crollati come castelli di sabbia. La verità delle previsioni di esperti non ascoltate. La verità della casa dello studente, dell'ospedale. Non risiede nella nefandezza di politici, amministratori e costruttori. Che guadagnando sulle spalle, e con la pelle di tutti e tutte hanno costruito in un territorio altamente sismico, palazzi con materiale di scarto e perfino sabbia di mare. Fatto che purtroppo rende profondamente e tragicamente veritiera la metafora "palazzi crollati come castelli di sabbia".
No, niente di tutto questo. Secondo tale Andrea Rognoni. La colpa è degli arabi, dei migranti. Questo perchè esistono simboli dell'occulto, esoterici, di celtici e cavalieri templari. Perché l'Aquila è costruita riprendendo la pianta della città di Gerusalemme, e la Basilica di Collemaggio, sopravvissuta a secoli e a numerosi terremoti e crollata proprio ora perchè, conserva una lastra in cui è ritratta una torre sormontata da una mezzaluna. Tolte le macerie come sarà questo simbolo, ancora intatto?
Quale solidarietà, quali autocritiche per un partito di governo su questa tragedia. L'unico problema che la Lega si pone, è se questo terremoto può essere il segnale divino dell'islamizzazione dell'Europa. L'unico messaggio che deve passare a prescindere dal contesto è quello xenofobo e razzista. Anche in questo caso.

Vergognosa Radio Padania sul terremoto

venerdì 17 aprile 2009

Manifesto fascista per un seminario contro la violenza sulle donne

Bologna - Proteste contro il Comune di Bologna dopo l'accostamento di un manifesto razzista alla presentazione di un seminario sulla violenza sulle donne.
"Femminicidi, ginocidi, violenze sulle donne" è il titolo di un seminario organizzato dal Centro di documentazione ricerca e iniziativa delle donne della città di Bologna. E come ogni iniziativa viene presentata in correlazione ad un format grafico, un manifesto e quant'altro. Ma stavolta alla visione dell'immagine messa in allegato alle mail di invito al seminario (vedi foto in fondo all'articolo) il senso di stranimento e disgusto è totale.
La foto ritrae un manifesto edito dal Nucleo Propaganda fascista del 1944 in cui si vedono un immigrato di colore, mentre afferra una donna con forza. E sottostante una scritta "Difendila! Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia!"
A proporre tale accostamento è l'assessore alla Scuola e alle Politiche delle Differenze del comune di Bologna Milli Virgilio. «Un errore? Non dico questo, - dichiara l'assessora - ma se dovessi rifare daccapo, credo che ci ripenserei. Ma l'ho fatto in buona fede, per dimostrare che in sessant'anni purtroppo niente è cambiato: tutte le novità legislative sono intitolate alla sicurezza pubblica, ma in sostanza sono riservate ai migranti e alle restrizioni nei loro confronti». L'evento è di estrema gravità per tre elementari motivi. Primo perchè Milli Vigilio è esponente dell'amministrazione in carica. Secondo perchè è assessore alle politiche delle differenze. E terzo perchè è esponente del partito Democratico e non di Forza Nuova.
Sono molte le proteste giunte per l'accaduto. La Consulta degli immigrati ha scritto personalmente una lettere all'assessore dichiarando il proprio sdegno e chiedendo le immediate scuse. La Casa delle Donne della città di Bologna e infine anche l'Ordine dei Giornalisti dell'Emilia-Romagna hanno protestato per l'accostamento fatto. E inoltre molte donne e uomini che hanno ricevuto la mail, per tutta la giornata di ieri hanno intasato il centralino del comune, o semplicemente hann mostrato il proprio sdegno.
Ascolta: Il commento di Fulvio (lab.occupato crash!)

La Gran Bretagna: avanguardia del moderno fascismo‏

George Orwell in “1984” lo aveva previsto... E più passa il tempo e più sono false le parole della critica letteraria di ogni tempo su quel libro.
Orwell, nel libro, non parlava dell’URSS... Ma dei Paesi occidentali in particolare di quelli anglosassoni, con il capitalismo più avanzato.

Andrea Montella

Londra, la paura come strumento di governo

di Angela Corrias
LONDRA - «Questo è il suono di una bomba che non è esplosa in un centro commerciale pieno di gente perché un negoziante ha riferito di una persona che studiava le CCTV». Non è la scena di un film poliziesco, ma uno degli spot della campagna contro il terrorismo che sta imperversando nelle radio, televisioni e cartelloni pubblicitari inglesi.
Dopo l’imposizione di CCTV [telecamere di sicurezza, nda.] in tutta l’Inghilterra, con un’enorme percentuale localizzata nel centro di Londra, la sicurezza britannica ha recentemente divulgato i nuovi spot anti-terrorismo che immediatamente hanno catturato l’attenzione di media e società civile. Non tanto perché spiegano con candore che le persone che si sentono chiacchierare in sottofondo sono ancora vive grazie a un semplice cittadino che ha denunciato un passante che “studiava” le CCTV, ma soprattutto perché nelle ultime settimane sembra di assistere a una escalation di allarmismo e incoraggiamento a diffidare persino del proprio vicino di casa.
«Queste sostanze chimiche non saranno usate per costruire una bomba perché un vicino ha riferito dei contenitori buttati nel cassonetto alla Linea Diretta Anti-terrorismo.» Questo è un altro spot che si può leggere in poster sui muri, in metropolitana e alle fermate di autobus lungo tutta la città.
Come ogni buona campagna antiterrorismo, l’obiettivo è quello di rassicurare la popolazione che la polizia è qui per noi, “for a safer London,” come riportano le stesse pattuglie. Le strategie usate in questa campagna mediatica vertono sulla responsabilizzazione del singolo individuo, sulla collaborazione di tutti per il bene della collettività ma, allo stesso tempo, incita ad agire da solo: «Non dipendere dagli altri. Se hai dei sospetti, riportali».
Già nel 1928, nel suo libro “Propaganda”, Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, scriveva: «La cosciente e intelligente manipolazione delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società democratica. Quelli che manipolano questo meccanismo invisibile della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere che regola un paese».
Bernays, considerato uno dei padri delle pubbliche relazioni, aveva contribuito alla campagna propagandistica dell’amministrazione Roosevelt per convincere l’opinione pubblica statunitense della necessità di entrare nel secondo conflitto mondiale.
Mentre lavorava per grandi multinazionali e le diverse amministrazioni statunitensi, Bernays contava fra i suoi ammiratori uno dei più importanti gerarchi del Terzo Reich e ministro della propaganda, Joseph Goebbels, che si ispirò proprio alle sue teorie per costruire la campagna mediatica nazista antisemita.
Secondo Bernays, la classe politica doveva necessariamente prendere esempio dal mondo delle imprese nelle loro campagne pubblicitarie, interamente incentrate nella vendita di prodotti al grande pubblico.

Ancora dal suo libro “Propaganda” si può leggere «Siamo governati, le nostre menti sono modellate, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite in gran parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questo è il risultato logico del modo in cui la nostra società democratica è organizzata».
Appare subito chiaro quanto queste parole fossero all’avanguardia nell’America degli anni ’30 e ’40 e, allo stesso tempo, quanto siano attuali ancora oggi. La necessità di formare l’opinione pubblica è tanto importante oggi quanto lo era alle soglie della Prime e della Seconda Guerra Mondiale, anche se probabilmente adesso gli strumenti di propaganda sono più sofisticati di allora.
Ancora oggi i consigli di Bernays sono ampiamente seguiti e vengono adattati all’evoluzione della società, soprattutto in paesi come Gran Bretagna e Stati Uniti, dove il supporto dell’opinione pubblica è essenziale per assicurarsi una sorta di legittimità e “autorizzazione a procedere” da parte della popolazione.
Tuttavia, l’escalation di pressione psicologica che la polizia inglese sta attuando recentemente comincia a destare preoccupazione, e una larga parte della popolazione si chiede se stia per caso vivendo in uno Stato di polizia. «Chi sono io per giudicare quando una situazione è sospetta e rischiare di mettere in seri guai qualcuno?», «Come posso denunciare il mio vicino di casa solo perché un giorno butta contenitori di medicinali?» Queste sono solo alcune delle perplessità che i cittadini inglesi stanno avanzando da quando la campagna è iniziata.
L’incoraggiamento a facili denunce e l’indurre a sospettare chiunque abbia un comportamento che arbitrariamente può essere considerato insolito potrebbe avere il rischio di mettere i cittadini uno contro l’altro, creando panico e diffidenza reciproca. L’esperienza del G20, dove la polizia ha colto molti di sorpresa, mettendo in atto una violenza che in un paese democratico e liberale i cittadini non si sarebbero mai aspettati, ha contribuito ad aumentare le incertezze e creare confusione. Se prima infatti i cittadini inglesi erano sicuri che il loro governo agisse nel loro interesse, adesso il dubbio che la loro agenda non sia del tutto trasparente come sembrava si sta insinuando sempre di più.
La concomitanza tra i fatti del G20, che hanno causato la morte di un passante dopo essere stato brutalmente picchiato dalla polizia, sommata alle recenti misure anti-terrorismo emanate dal ministero britannico degli Interni (Home Office), sta assumendo tutte le caratteristiche di una vera e propria strategia del terrore.
Tra le leggi che più hanno destato stupore e sgomento sono il divieto di fotografare agenti di polizia, pena l’arresto con l’accusa di terrorismo, e l’annuncio da parte del ministero degli interni della possibile introduzione di aeroplani telecomandati per spiare le abitazioni private, così da individuare i criminali senza mettere a rischio i poliziotti. Questa escalation di violenza e ostilità nei confronti del singolo individuo sta provocando continue manifestazioni e una sorta di “risveglio” della società civile inglese.

lunedì 13 aprile 2009

Toscana Antifascista: "un passo necessario"

Si è svolta sabato 11 aprile c/o il centro sociale SARS l'assemblea dal titolo un "passo necessario" promossa dal comitato antifascista antirazzista versiliese. L'assemblea si è prefissa l'obbiettivo di far nascere un coordinamento antifascista e antirazzista toscano.
Erano presenti compagni del SARS, Dada Viruz Project, Sinistra Critica, PCL, ANPI, ANPI Giovani, Precari Autorganizzati, Circolo Partigiani Sempre, COBAS, Centro sociale Newroz, Università Antagonista, osservatorio antifascista, collettivo autonomo studentesco e Assemblea Spazi Autogestiti in rappresntanza di variè città come Pisa, Viareggio, Pietrasanta, Lucca, Massa e Carrara.
La relazione introduttiva ha sottolineato come l'attuale fascistizzazione della società non passi solo attraverso i soliti gruppuscoli nostalgici ed estremisti ma attraverso un processo di costruzione di “democrazia autoritaria”. Le politiche repressive, il revisionismo storico, l'insicurezza e la propaganda populista, la tendenza al bipartitismo, l'impermeabilità del potere ad istanza popolari, il tentativo di dividere i lavoratori e la costruzione di un pensiero unico sono tutte componenti centrali di questo processo.
Tutti gli interventi che si sono susseguiti nella mattinata e hanno ripreso nel pomeriggio, dopo una breve pausa pranzo, hanno posto l'accento sulla necessità di coordinare le attività delle varierealtà antifasciste già attive sui territori. E' stato sottolineato di come l'antifascismo di facciata di certe forze istituzionali che si ricordono solo delle ricorrenze come il 25 apriile non è più sufficiente.
Allo squadrismo delle ronde si risponde con la vigilanza popolare e riappropriandosi del territorio perchè nessun spazio di agibilità politica va lasciato a nuovi e vecchi fascismi.
E' emerso con chiarezza come i gruppi neofascisti cerchino di sfruttare la crisi a loro vantaggio, per questo il coordinamento non potrà affrontare l'antifascismo sganciato da temi primari come la riaproppriazione dei bisogni, la difesa di vecchi e la conquista di nuovi diritti come il diritto allo sciopero, la libertà di circolazione per migranti, il diritto alla casa, alla sanità e all'istruzione pubblica e gratuita, al reddito e agli spazi sociali.
L'assemblea ha deciso, inoltre, di partecipare ai prossimi appuntamenti in calendario come la manifestazione del 18 a Pisa contro la delibera antiborsoni, al seminario contro il revisionismo promosso da varie realtà tra cui Lotta e Unità che si terrà a Marina di Massa il 18 e 19 e di essere in piazza nei vari territori il 25 aprile con parole d'ordine comuni contro la fascistizzazione della società, il razzismo di stato ed ogni rigurgito fascista vecchio e nuovo.
La prossima assemblea dovrebbe essere a Maggio.
Assemblea promotrice per un coordinamento antifascista antirazzista toscano

mercoledì 8 aprile 2009

Pisa, presidio di Casa Pound al C.u.s. di Porta a Lucca

Ieri a Pisa:
Circa un'ora e mezzo fa (18.00) è arrivata la prima notizia: al parcheggio scambiatore di via Paparelli una decina (pure meno) di nazistelli si stanno muovendo. Ad accorgersene è un passante, che viene attirato non tanto dalle 8 persone in questione, ma dall'arrivo della polizia, sempre pronta a difenderli.
Gli 8 sono di Casa Pound Pisa e si dirigono verso il centro sportivo universitario, CUS, per un volantinaggio. Ancora adesso mentro scriviamo, un presidio di una trentina di compagni accorsi immediatamente nel luogo sta contestando la presenza dei nazifascisti.
I volantini che distribuiscono sembra si riferiscano alla tragedia che ha colpito la popolazione dell'Aquila, indicono una raccolta fondi. Un cordone di polizia si è poco fa schierato di fronte ai fascisti, proteggendoli come di consueto. Le strade intorno sono state bloccate per motivi di ordine pubblico.
Non spenderemo molte righe per commentare l'ennesimo tentativo dei suddetti "nazi" di uscire allo scoperto nella nostra cittadina. Tant'è che la modalità non è nuova: come al solito trovano temi sensibili e che fanno breccia nel cuore e nelle coscienze di tutti per provare ad avere legittimazione e per cercare di essere accettati, nonostante le loro chiare ispirazioni naziste.
Ci teniamo a sottolineare che, per quanto si facciano portatori di istanze legittime, di natura sociale o meno, i soggetti in questione sono gli stessi che si fanno propagatori di un'ideologia autoritaria, con il pallino del militarismo e dell'inquadramento, a danno di tutti i diseredati della terra, siano essi migranti o clochard, continuando a colpire vigliaccamente chi non si può difendere e svolgendo la loro naturale funzione: quella di servi del potere.
Non è notizia nuova che a Pisa tali soggetti, che si richiamano al nazi-fascismo, abbiano trovato una casa comoda e spaziosa proprio di fronte ai loro difensori numeri uno: la Questura.
Tale casa o sede è in affitto al consigliere Diego Petrucci, noto esponente del popolo delle libertà, da sempre pronto a fare da maestro a ragazzi molto giovani che, spinti da una ideologia che è perfetta sintesi tra omofobia, sessismo e razzismo, si macchiano di atti di violenza noti alla cronaca nazionale.
I "combattenti per la patria" (o combattenti servi dei nazisti tedeschi? vedi i repubblichini) anche a Pisa, hanno nell'ultimo periodo provocato "incidenti" alle sedi storiche della sinistra di partito o di movimento.
Per oggi c'è da dire che ancora una volta la prontezza dei compagni mobilitati è sorprendente.Per loro, la risposta della Pisa antifascista sarà sempre la stessa: TORNATE NELLE FOGNE!
Altri link sull'argomento:
Fascisti oggi, tra poltrone e spranghe. Il caso del consigliere comunale pisano Diego Petrucci
Ancora una volta i fascisti non trovano spazio a Pisa
A fuoco il portone della sede di Rifondazione comunista

domenica 5 aprile 2009

Milano: 500 in piazza contro gli euro-fascisti

Nonostante la pioggia più di 500 persone stanno partecipando in piazza della Scala a Milano all' Happening culturale antifascista "Milano ama la libertà, Milano ripdia il fascismo!" contro il raduno europeo delel destre xenofobe organizzato per oggi nel capoluogo lombardo da Forza Nuova.
Solo 300 i convenuti nonostante il grosso sforzo orgnizzaivo continentale messo in piedi da Fiore & c. Tra le altre organizzazioni, il British National Party inglese di Nick Griffin, il Front National francese di Jean-Marie Le Pen e una minuscola formazione greco-cipriota emanazione della Grecia dei colonnelli salita recentemente agli onori delle cronache per la battaglia contro l'entarta della Turchia in Europa.
Al centro della conferenza l'idea di un'Europa cristiana, assediata dall'Islam e dall'immigrazione nonché minacciata dall'immancabile "alta finanza giudaico-massonica". Un'idea di Europa reazionaria, cupa e apocalittica.
Ascolta la diretta dalla piazza con Rebecca (Informazione Antifascista) e il commento di Saverio Ferrari (Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre) sui temi e la composizione del meeting euro-fascista.
Ascolta l'intervista

mercoledì 1 aprile 2009

Fascismo sì fascismo no... In Italia‏

Confrontate le posizioni del Guardian con quelle di Rossana Rossanda uscite in contemporanea su il Manifesto, chi avrà compreso meglio lo stato in cui si trova l'Italia?
31 marzo 2009
Italia: L'Ombra del Fascismo
guardian.co.uk
L'obiettivo centrale di Silvio Berlusconi come Primo Ministro italiano è sembrato a lungo straordinariamente e spudoratamente ovvio. Fin da quando, nel 1993, egli è entrato nel vuoto politico creato simultaneamente dallo scandalo della corruzione del governo a destra e dal collasso del comunismo italiano a sinistra, Berlusconi ha usato la sua carriera e il suo potere politico per proteggere sè stesso e il suo impero mediatico dalla legge. Durante il più lungo dei suoi tre periodi come Primo Ministro, Berlusconi non solo ha consolidato il suo già forte dominio sull'industria italiana dei media - ora ne possiede circa la metà - ma ha approvato una legge che gli garantiva l'immunità dai procedimenti giudiziari. Poi, quando la legge è stata dichiarata incostituzionale, il nuovamente rieletto Berlusconi l'ha ripresentata l'anno scorso con una nuova veste ed è riuscito a renderla effettiva.
Il successo di Berlusconi deve qualcosa alla sua propria audacia e molto alla profonda debolezza dei suoi oppositori. La sinistra italiana, in particolare, non è riuscita a preparare una vera opposizione. Perfino l'ultima azione di Berlusconi - la fusione nel suo nuovo blocco "Popolo delle Libertà", completato ieri, del suo partito personale Forza Italia con Alleanza Nazionale che deriva direttamente dalla tradizione fascista di Benito Mussolini - potrebbe lasciare nella vita pubblica italiana un segno più duraturo di qualsiasi altra cosa il magnate abbia già fatto.
A differenza del dopoguerra tedesco, il dopoguerra italiano non ha mai affrontato del tutto i suoi strascichi fascisti. Il risultato è che, mentre il neofascismo non è mai riuscito a riemergere seriamente in Germania, in Italia ci sono state importanti continuità - leggi ereditate dall'era mussoliniana e la rinascità nel dopoguerra del rinominato Partito Fascista tra gli stessi ufficiali fascisti - nonostante la simbolica cultura anti-fascista italiana. Queste continuità sono semplicemente diventate più forti. E' il giorno della vergogna in Italia.
Tuttavia, AN ha fatto molta strada in 60 anni. Il suo leader, Gianfranco Fini, ha tolto i vecchi panni politici e ha condotto il partito verso il centro. Egli ha lavorato per più di 15 anni come alleato di Berlusconi. Parla della necessità di dialogare con l'Islam, condanna l'anti-semitismo ed è a favore di un'Italia multi-etnica - posizione che Berlusconi, con la sua campagna populista anti-zingari e anti-immigrati e la sua predilezione per il razzismo spinto, si sforzerà di far combaciare.
Nonostante le sue antiche origini liberali, l'Italia moderna è storicamente un paese di destra. E' un pensiero a dir poco sconvolgente che, tra i 20 leader mondiali al summit economico di Londra di questa settimana, ci sia un capo di governo che ha ricostruito la sua base politica su fondamenta messe dai fascisti e che dichiara che la destra resterà probabilmente al potere per generazioni per questo.


il Manifesto
31 marzo 2009
Non occorre il fascismo. In altri termini, perché imporre il dominio se si esercita l’egemonia?
di Rossana Rossanda
Non credo che il fascismo sia alle porte. Se le parole hanno un senso, ed è buon uso lasciarglielo, fascismo è quel che abbiamo conosciuto dal 1922 al ‘43: partito unico che si fa stato, fine delle elezioni e della divisione dei poteri, fine dei sindacati, illegittimità del conflitto di lavoro, fine della libertà di associazione e stampa, razzismo e singolarmente antisemitismo. Un regime del genere è oggi impensabile in Europa. Nell’evocarne golosamente due aspetti, poteri allargati del premier senza il contropotere d’un parlamento e di una magistratura indipendente, Berlusconi ha fatto una gaffe.
Che ne abbia profittato Fini è ovvio. E che lo faccia con l’intenzione di succedergli, tanto più che il Cavaliere non lascia spazio ai suoi, eccezion fatta per Letta, come eminenza grigia capace di tirarlo silenziosamente fuori dai guai, con stile opposto a quello che il boss coltiva per catturare la «gente». E che gli funziona, gli italiani avendo un’antica tendenza a farsi, da popolo, plebe; oggi non più stracciona, ma piccolo e medio borghese, egoista e sorda.
Questa massa sarebbe anche disposta a benedire, come i suoi nonni liberali, un fascismo tale e quale, ma Fini, che è più intelligente, ha capito che non solo sarebbe fuori tempo, ma non è necessario a un muscoloso dominio di classe. Per indebolire partiti e sindacati basta una democrazia elettiva disinnescata da idee forti, un’opinione coltivata con libero zelo dai media all’antipolitica, al decisionismo, ai privilegi e al razzismo; l’antisemitismo, dopo la Shoah e in presenza di Israele, non usa più. Per il resto basta una democrazia presidenziale, tendenzialmente bipolare, tendenzialmente d’opinione, spontaneamente non partecipata con contropoteri più che legittimati ma ridimensionabili in situazioni definite consensualmente di emergenza. Di che altro ha avuto bisogno Bush? Di che ha bisogno Sarkozy, cui de Gaulle ha già fornito nel 1958 quel che Berlusconi vorrebbe, e sta spossessando la magistratura dalla decisione di impostare o archiviare i processi? La democrazia elettiva ha permesso Bevan e Thatcher, Bush e Obama. Può oscillare fra apertura sociale pacifista e repressione sociale bellicista. Senza strappi istituzionali. Dipende dal carattere del presidente.
Fini ha una larga possibilità di farsi strada come più presentabile leader di destra, e Berlusconi ieri lo ha capito. Assisteremo al duello. Almeno finché non si presenterà uno scenario diverso. Oggi non c’è una opposizione capace di imporlo. Non quella moderata, mandata al tappeto da Veltroni e difficilmente resuscitabile dal volonteroso Franceschini e dai suoi modesti secondi ufficiali. Non quella detta radicale, che tutto si propone tranne dare una rappresentatività e qualche ragionevole speranza al blocco sociale dei salariati, dei precari, delle donne più coscienti di sé, dei cattolici non ratzingeriani, dei movimenti. Neppure ora che dentro tutta l’Europa monta la collera dei buttati fuori dal lavoro e dal sostentamento, di una intera generazione di giovani senza prospettiva; una massa che potrà sommarsi o, in mancanza di qualsiasi riferimento, scontrarsi con una immigrazione sicuramente crescente. Mai la sinistra è stata così vergognosamente assente, mai ha così abbandonato la protesta alla sconfitta o a rivolte riducibili a questione di ordine pubblico. Mai davanti a un sistema sociale incastrato nemmeno dalle sue contraddizioni ma dai più sfacciati e, a quanto pare, incontrollabili imbrogli. A tanto siamo a venti anni dal liberatorio 1989.

Impedita la presenza di Forza Nuova a Modena

Fin dalle 15 di sabato 28 Marzo una trentina di antifascisti hanno presidiato il centro storico per impedire che il partito neofascista Forza Nuova tornasse per il terzo sabato consecutivo a occupare, con un proprio banchetto, la via Emilia.
Dopo il tentativo del 2002, respinto con forza dagli antifascisti modenesi, Forza Nuova riprova ad uscire fuori dalla fogna, manifestando la chiara intenzione di aprire una sede in città.
Nessuna tensione fino alle 17.30, nonostante la massiccia presenza delle forze dell'ordine, fino a quando i forzisti allestiscono un banchetto in una zona abbastanza esterna al centro, circondati da una trentina di agenti. Il banchetto risulta praticamente invisibile sia per la posizione sia per la barriera creata dalla polizia, ma per gli antifascisti la presenza di Forza Nuova risult a comunque inaccettabile. A quel punto ci si è mossi dal presidio e percorrendo la via Emilia fino al banchetto si sono trovati i fascisti circondati e protetti dalle forze dell'ordine. La tensione sale fino a quando i compagni ottengono che il banchetto cessi la sua attività: si è concesso di fatto solo un quarto d'ora di presenza completamente ignorata dalla città, poi si è tornati a verificare che i fascisti fossero effettivamente scomparsi. E così è stato.
Sicuramente una vittoria per gli antifascisti che hanno ottenuto con una presenza militante in piazza, che Modena non dovesse subire l'onta della presenza forzanovista anche in questa giornata. Ma non ci illudiamo di aver risolto la situazione perché Forza Nuova cercherà di tornare, per cui invitiamo tutti i compagni a mantenere alta l'attenzione e a rimanere collegati perché sicuramente le iniziative antifasciste non mancheranno anche nelle prossime settimane.

venerdì 27 marzo 2009

Provocazione fascista all'università di Napoli. La polizia spara

Nuova provocazione fascista all'università di Napoli, dove Blocco Studentesco si è ripresentato nonostante i fatti delle settimane passate avessero palesato l'estraneità e il ripudio di quest'organizzazione giunto dal corpo studentesco.
Ieri era prevista una proiezione dei fascisti sugli scontri di piazza Navona a Roma, iniziativa fatta annullare dall'Onda napoletana, che ovvimente ha sempre ritenuto inaccettabile concedere spazi e agibilità. L'Onda ha quindi attraversato la mattinata con mostre, volantinaggi e denuncia del calibro dei personaggi di Casa Pound.
I fascisti sono stati costretti a soccombere di fronte alla mobilitazione antifascista di queste settimane, che ha visto le tensioni del 18 marzo scorso come focolaio da cui è partita la campagna, e l'assemblea antifascista del 24 marzo come momento di pressione nei confronti della facoltà di giurisprudenza, riuscendo a coinvolgere centinaia di studenti e studentesse e soprattutto a far revocare l'autorizzazione alla proiezione che si sarebbe dovuta tenere ieri.
Blocco studentesco si è quindi presentato ieri mattina in università con caschi e mazze, mettendo in campo una palese provocazione. A loro si sono contrapposti gli studenti dell'Onda antifascista che hanno rimarcato il carattere antifascista di Napoli e della sua università. L'Onda è quindi partita in corteo fin sotto palazzo Giusso, dove si è tenuta un'assemblea e luogo dal quale si è poi mossi verso la stazione centrale, andando incontro agli studenti e alle studentesse di ritorno dalla manifestazione contro l'inceneritore di Acerra. A piazza Garibaldi si è ripresentato un gruppetto di Blocco Studentesco, armato di cinte. E' giunta una macchina della polizia, dalla quale sono scesi un paio di poliziotti che hanno sparato un colpo di pistola in aria... Diversamente da quanto diversi media stanno raccontando, riprendendo la versione della questura napoletana, la situazione seppur di tensione non registrava nulla che richiedesse una boutade del genere... come confermato da decine di testimoni presenti in piazza.

giovedì 26 marzo 2009

Un euroraduno fascista benedetto da De Corato (Vicesindaco di Milano)

di Alessandro Braga
Fiore provoca: «Venga pure l'Anpi»
Quando si dice gettare benzina sul fuoco. Già basterebbe il fatto che il 5 aprile Forza Nuova possa organizzare un mega raduno con tutta la peggiore destra europea a Milano, medaglia d'oro per la Resistenza, a far accapponare la pelle. E proprio a ridosso del 25 aprile. Ma ormai, sdoganati dal centrodestra al governo, i forzanovisti non si accontentano.
E ieri il segretario nazionale di Forza Nuova, l'onorevole (?) Roberto Fiore, ha pure rilanciato. Con un invito che più provocatorio non si può: «Venga anche l'Anpi al nostro convegno». Le sue «motivazioni», semplici: «Quello che abbiamo organizzato è un incontro che vuole creare un propositivo confronto tra le forze identitarie d'Europa sulle principali tematiche odierne, partendo dalla crisi economica mondiale». Quindi per lui «le polemiche scatenate dall'Anpi sono ridicole e strumentali».
Di più, «quei signori evidentemente null'altro hanno di meglio da fare se non disturbare dispoticamente le pacifiche iniziative altrui per partito preso».
A dimostrare l'infondatezza delle accuse di Fiore all'Anpi, e a tutta la Milano antifascista che ormai da giorni si sta mobilitando per impedire questo ulteriore sfregio alla città, dopo l'apertura proprio nel capoluogo lombardo della prima sede italiana del Fronte nazionale europeo nel novembre del 2007, basterebbe l'elenco degli ospiti previsti per la giornata: oltre a Roberto Fiore, ora europarlamentare grazie all'accordo con il centrodestra che gli ha permesso di entrare nel parlamento di Strasburgo, ma fino a qualche anno fa latitante, ci saranno i «migliori» elementi della peggiore destra continentale. Innanzitutto i francesi del Front National di Jean Marie Le Pen, quello che «le camere a gas sono un dettaglio della storia della seconda guerra mondiale». E ci si potrebbe già fermare qui. Poi ci sarà il vice presidente del British National Party Simon Darby, che forse resta ancora il meno peggio. E Stratos Karanikolau, responsabile delle relazioni con l'estero del movimento greco-cipriota Proti Grammi, che ha come cavallo di battaglia il divieto di ingresso in Europa della Turchia per la difesa della cristianità del continente. Per arrivare infine al meglio: i neonazisti tedeschi del Nationaldemokratische Partei Deutschland di Ugo Voigt, condannato a quattro mesi di carcere per incitamento all'odio e alla violenza, che ha come sogno la ricostituzione di una grande Germania fondata su principi nazionalisti e gerarchici. Una forza che poco tempo fa non si è vergognata neppure di firmare un'alleanza con i naziskin della Skinheads Sachsiche Schweiz, un gruppo di «simpaticoni» che si firma SSS. Dulcis in fundo, i neonazisti ungheresi del Miep, il Partito della giustizia e della vita. Gente che ha più volte portato avanti campagne per riscattare le immagini della Croci frecciate, i nazisti di Budapest sotto il terzo Reich.
Ma per Angelo Ballotta, segretario milanese di Forza nuova, il 5 aprile sarà solo «una grande occasione per costituire un blocco europeo».Che non sarà solo un convegno, ma che i forzanovisti vorranno forzare la mano e organizzare un corteo e sfilare per le vie della città, è abbastanza chiaro. Solo un mese fa a Bergamo hanno potuto farlo indisturbati, mentre la polizia si accaniva contro gli antifascisti orobici scesi in piazza per protestare. Sul forum di Forza nuova già arrivano adesioni da tutta Italia: Catania, Bologna, Modena, Monza, hanno già risposto «presenti». Qualcuno si chiede se «ci sarà da divertirsi come a Bergamo». La risposta è «non so perché ma ho l'impressione di sì».
L'opposizione in consiglio comunale ha chiesto al sindaco Letizia Moratti di impedire ai neofascisti di sfilare, ma il loro ordine del giorno non è stato discusso per l'opposizione dei capigruppo di maggioranza. E il vicesindaco Riccardo De Corato se n'è lavato le mani: «Il problema non è nostro, ma della questura». Perché difendere la dignità della città, per lui, è solo un problema di ordine pubblico.