mercoledì 1 aprile 2009

Fascismo sì fascismo no... In Italia‏

Confrontate le posizioni del Guardian con quelle di Rossana Rossanda uscite in contemporanea su il Manifesto, chi avrà compreso meglio lo stato in cui si trova l'Italia?
31 marzo 2009
Italia: L'Ombra del Fascismo
guardian.co.uk
L'obiettivo centrale di Silvio Berlusconi come Primo Ministro italiano è sembrato a lungo straordinariamente e spudoratamente ovvio. Fin da quando, nel 1993, egli è entrato nel vuoto politico creato simultaneamente dallo scandalo della corruzione del governo a destra e dal collasso del comunismo italiano a sinistra, Berlusconi ha usato la sua carriera e il suo potere politico per proteggere sè stesso e il suo impero mediatico dalla legge. Durante il più lungo dei suoi tre periodi come Primo Ministro, Berlusconi non solo ha consolidato il suo già forte dominio sull'industria italiana dei media - ora ne possiede circa la metà - ma ha approvato una legge che gli garantiva l'immunità dai procedimenti giudiziari. Poi, quando la legge è stata dichiarata incostituzionale, il nuovamente rieletto Berlusconi l'ha ripresentata l'anno scorso con una nuova veste ed è riuscito a renderla effettiva.
Il successo di Berlusconi deve qualcosa alla sua propria audacia e molto alla profonda debolezza dei suoi oppositori. La sinistra italiana, in particolare, non è riuscita a preparare una vera opposizione. Perfino l'ultima azione di Berlusconi - la fusione nel suo nuovo blocco "Popolo delle Libertà", completato ieri, del suo partito personale Forza Italia con Alleanza Nazionale che deriva direttamente dalla tradizione fascista di Benito Mussolini - potrebbe lasciare nella vita pubblica italiana un segno più duraturo di qualsiasi altra cosa il magnate abbia già fatto.
A differenza del dopoguerra tedesco, il dopoguerra italiano non ha mai affrontato del tutto i suoi strascichi fascisti. Il risultato è che, mentre il neofascismo non è mai riuscito a riemergere seriamente in Germania, in Italia ci sono state importanti continuità - leggi ereditate dall'era mussoliniana e la rinascità nel dopoguerra del rinominato Partito Fascista tra gli stessi ufficiali fascisti - nonostante la simbolica cultura anti-fascista italiana. Queste continuità sono semplicemente diventate più forti. E' il giorno della vergogna in Italia.
Tuttavia, AN ha fatto molta strada in 60 anni. Il suo leader, Gianfranco Fini, ha tolto i vecchi panni politici e ha condotto il partito verso il centro. Egli ha lavorato per più di 15 anni come alleato di Berlusconi. Parla della necessità di dialogare con l'Islam, condanna l'anti-semitismo ed è a favore di un'Italia multi-etnica - posizione che Berlusconi, con la sua campagna populista anti-zingari e anti-immigrati e la sua predilezione per il razzismo spinto, si sforzerà di far combaciare.
Nonostante le sue antiche origini liberali, l'Italia moderna è storicamente un paese di destra. E' un pensiero a dir poco sconvolgente che, tra i 20 leader mondiali al summit economico di Londra di questa settimana, ci sia un capo di governo che ha ricostruito la sua base politica su fondamenta messe dai fascisti e che dichiara che la destra resterà probabilmente al potere per generazioni per questo.


il Manifesto
31 marzo 2009
Non occorre il fascismo. In altri termini, perché imporre il dominio se si esercita l’egemonia?
di Rossana Rossanda
Non credo che il fascismo sia alle porte. Se le parole hanno un senso, ed è buon uso lasciarglielo, fascismo è quel che abbiamo conosciuto dal 1922 al ‘43: partito unico che si fa stato, fine delle elezioni e della divisione dei poteri, fine dei sindacati, illegittimità del conflitto di lavoro, fine della libertà di associazione e stampa, razzismo e singolarmente antisemitismo. Un regime del genere è oggi impensabile in Europa. Nell’evocarne golosamente due aspetti, poteri allargati del premier senza il contropotere d’un parlamento e di una magistratura indipendente, Berlusconi ha fatto una gaffe.
Che ne abbia profittato Fini è ovvio. E che lo faccia con l’intenzione di succedergli, tanto più che il Cavaliere non lascia spazio ai suoi, eccezion fatta per Letta, come eminenza grigia capace di tirarlo silenziosamente fuori dai guai, con stile opposto a quello che il boss coltiva per catturare la «gente». E che gli funziona, gli italiani avendo un’antica tendenza a farsi, da popolo, plebe; oggi non più stracciona, ma piccolo e medio borghese, egoista e sorda.
Questa massa sarebbe anche disposta a benedire, come i suoi nonni liberali, un fascismo tale e quale, ma Fini, che è più intelligente, ha capito che non solo sarebbe fuori tempo, ma non è necessario a un muscoloso dominio di classe. Per indebolire partiti e sindacati basta una democrazia elettiva disinnescata da idee forti, un’opinione coltivata con libero zelo dai media all’antipolitica, al decisionismo, ai privilegi e al razzismo; l’antisemitismo, dopo la Shoah e in presenza di Israele, non usa più. Per il resto basta una democrazia presidenziale, tendenzialmente bipolare, tendenzialmente d’opinione, spontaneamente non partecipata con contropoteri più che legittimati ma ridimensionabili in situazioni definite consensualmente di emergenza. Di che altro ha avuto bisogno Bush? Di che ha bisogno Sarkozy, cui de Gaulle ha già fornito nel 1958 quel che Berlusconi vorrebbe, e sta spossessando la magistratura dalla decisione di impostare o archiviare i processi? La democrazia elettiva ha permesso Bevan e Thatcher, Bush e Obama. Può oscillare fra apertura sociale pacifista e repressione sociale bellicista. Senza strappi istituzionali. Dipende dal carattere del presidente.
Fini ha una larga possibilità di farsi strada come più presentabile leader di destra, e Berlusconi ieri lo ha capito. Assisteremo al duello. Almeno finché non si presenterà uno scenario diverso. Oggi non c’è una opposizione capace di imporlo. Non quella moderata, mandata al tappeto da Veltroni e difficilmente resuscitabile dal volonteroso Franceschini e dai suoi modesti secondi ufficiali. Non quella detta radicale, che tutto si propone tranne dare una rappresentatività e qualche ragionevole speranza al blocco sociale dei salariati, dei precari, delle donne più coscienti di sé, dei cattolici non ratzingeriani, dei movimenti. Neppure ora che dentro tutta l’Europa monta la collera dei buttati fuori dal lavoro e dal sostentamento, di una intera generazione di giovani senza prospettiva; una massa che potrà sommarsi o, in mancanza di qualsiasi riferimento, scontrarsi con una immigrazione sicuramente crescente. Mai la sinistra è stata così vergognosamente assente, mai ha così abbandonato la protesta alla sconfitta o a rivolte riducibili a questione di ordine pubblico. Mai davanti a un sistema sociale incastrato nemmeno dalle sue contraddizioni ma dai più sfacciati e, a quanto pare, incontrollabili imbrogli. A tanto siamo a venti anni dal liberatorio 1989.

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