di Manuela Cartosio
«Dal 2005 al 2007, Italia più misera»
A febbraio le presenze nei superlussuosi alberghi di Dubai sono crollate del 35% rispetto a febbraio del 2008. A suo modo, è un indice globale di impoverimento relativo dei ricchi. Le persone di cui si occupa il rapporto dell'Istat presentato ieri, invece, le vacanze non se le possono permettere, neppure in un due stelle della riviera romagnola. Sono i poveri tra i poveri. In Italia nel 2007 erano 2 milioni e 427 mila, il 4,1% della popolazione. La foto della povertà assoluta scattata dall'Istat risale a prima della crisi economica. Ovvio pensare che le cifre, nel frattempo, siano peggiorate.
A differenza della povertà relativa, che misura lo svantaggio di alcuni soggetti rispetto ad altri, la povertà assoluta rileva l'incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita «minimo accettabile» nel contesto di appartenenza. Per stilare il rapporto l'Istat ha usato una nuova metodologia. La soglia di povertà assoluta varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. Di conseguenza, le soglie di povertà assoluta non vengono definite solo rispetto all'ampiezza familiare (come viene fatto per la povertà realtiva), ma sono calcolate per ogni singolo tipo di famiglia, in relazione alla zona di residenza, al numero e all'età dei componenti. La famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia sono classificate come «assolutamente povere». Ad esempio: per una famiglia formata da una sola persona, fra i 18 e i 59 anni, che vive in un'area metropolitana del Nord la soglia è di 729 euro al mese. Se vive in un piccolo comune, sempre al Nord, è di 650 euro. Che scendono a 520 in una grande città del Sud. Per una famiglia di tre componenti sotto i 59 anni che vive in un'area metropolitana del centro la soglia di povertà assoluta è di 1.158 euro.
Sono povere in assoluto 975 mila famiglie, il 4,1% dei nuclei familiari. La percentuale sale al 5,8% al Sud, si attesta al 3,5% al Nord e al 2,9% al Centro.
La povertà assoluta incide di più sulle famiglie numerose (si passa dal 3,1% per le famiglie con un solo figlio minore al 10,5% per le famiglie con più di due figli), dove vivono anziani (5,4%) e dove il capofamiglia è donna (4,9%). L'intensità della povertà, che indica in termini percentuali di quanto la spesa delle famiglie povere si colloca al di sotto della soglia di povertà assoluta, è mediamente del 16% con un picco del 18% tra le famiglie del Sud.
Usando la stessa metodologia a ritroso, l'Istat ha stimato la povertà assoluta nel 2005. Stando a questo confronto, la situazione a grandi linee risulta stabile, con miglioramenti o peggioramenti per determinate tipologie di famiglie. «Peggiorano le situazioni delle famiglie con a capo un adulto di età compresa tra i 45 e i 54 anni o un lavoratore con basso profilo professionale, mentre si rileva un miglioramento nelle famiglie giovani». Quest'ultimo dato deriva probabilmente dal fatto che ormai i giovani lasciano la famiglia d'origine solo se hanno raggiunto una completa indipendenza economica.
Sono riferiti al 2008 e non si riferiscono solo agli ultrapoveri i dati diffusi dalla Cia (Confederazione italiana agricoltori) sugli effetti della crisi a tavola. In termini monetari la spesa alimentare è cresciuta del 2,5%, ma gli italiani hanno mangiato di meno o peggio. Il 35% delle famiglie ha limitato gli acquisti (soprattutto di frutta, verdura e carne), il 34% ha optato per prodotti di qualità inferiore. Di nuovo, si è stretta la cinghia più al Sud che al Nord. La spesa alimentare ha inciso mediamente del 18% sulla spesa totale delle famiglie. Ma mentre un imprenditore destina al cibo solo il 14% della sua spesa totale, la percentuale sale al 19% per l'operaio e schizza al 21% per il pensionato.
«Dal 2005 al 2007, Italia più misera»
A febbraio le presenze nei superlussuosi alberghi di Dubai sono crollate del 35% rispetto a febbraio del 2008. A suo modo, è un indice globale di impoverimento relativo dei ricchi. Le persone di cui si occupa il rapporto dell'Istat presentato ieri, invece, le vacanze non se le possono permettere, neppure in un due stelle della riviera romagnola. Sono i poveri tra i poveri. In Italia nel 2007 erano 2 milioni e 427 mila, il 4,1% della popolazione. La foto della povertà assoluta scattata dall'Istat risale a prima della crisi economica. Ovvio pensare che le cifre, nel frattempo, siano peggiorate.
A differenza della povertà relativa, che misura lo svantaggio di alcuni soggetti rispetto ad altri, la povertà assoluta rileva l'incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita «minimo accettabile» nel contesto di appartenenza. Per stilare il rapporto l'Istat ha usato una nuova metodologia. La soglia di povertà assoluta varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. Di conseguenza, le soglie di povertà assoluta non vengono definite solo rispetto all'ampiezza familiare (come viene fatto per la povertà realtiva), ma sono calcolate per ogni singolo tipo di famiglia, in relazione alla zona di residenza, al numero e all'età dei componenti. La famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia sono classificate come «assolutamente povere». Ad esempio: per una famiglia formata da una sola persona, fra i 18 e i 59 anni, che vive in un'area metropolitana del Nord la soglia è di 729 euro al mese. Se vive in un piccolo comune, sempre al Nord, è di 650 euro. Che scendono a 520 in una grande città del Sud. Per una famiglia di tre componenti sotto i 59 anni che vive in un'area metropolitana del centro la soglia di povertà assoluta è di 1.158 euro.
Sono povere in assoluto 975 mila famiglie, il 4,1% dei nuclei familiari. La percentuale sale al 5,8% al Sud, si attesta al 3,5% al Nord e al 2,9% al Centro.
La povertà assoluta incide di più sulle famiglie numerose (si passa dal 3,1% per le famiglie con un solo figlio minore al 10,5% per le famiglie con più di due figli), dove vivono anziani (5,4%) e dove il capofamiglia è donna (4,9%). L'intensità della povertà, che indica in termini percentuali di quanto la spesa delle famiglie povere si colloca al di sotto della soglia di povertà assoluta, è mediamente del 16% con un picco del 18% tra le famiglie del Sud.
Usando la stessa metodologia a ritroso, l'Istat ha stimato la povertà assoluta nel 2005. Stando a questo confronto, la situazione a grandi linee risulta stabile, con miglioramenti o peggioramenti per determinate tipologie di famiglie. «Peggiorano le situazioni delle famiglie con a capo un adulto di età compresa tra i 45 e i 54 anni o un lavoratore con basso profilo professionale, mentre si rileva un miglioramento nelle famiglie giovani». Quest'ultimo dato deriva probabilmente dal fatto che ormai i giovani lasciano la famiglia d'origine solo se hanno raggiunto una completa indipendenza economica.
Sono riferiti al 2008 e non si riferiscono solo agli ultrapoveri i dati diffusi dalla Cia (Confederazione italiana agricoltori) sugli effetti della crisi a tavola. In termini monetari la spesa alimentare è cresciuta del 2,5%, ma gli italiani hanno mangiato di meno o peggio. Il 35% delle famiglie ha limitato gli acquisti (soprattutto di frutta, verdura e carne), il 34% ha optato per prodotti di qualità inferiore. Di nuovo, si è stretta la cinghia più al Sud che al Nord. La spesa alimentare ha inciso mediamente del 18% sulla spesa totale delle famiglie. Ma mentre un imprenditore destina al cibo solo il 14% della sua spesa totale, la percentuale sale al 19% per l'operaio e schizza al 21% per il pensionato.
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