martedì 24 marzo 2009

E ora nasce anche l'"azienda etnica"

di Alberto Burgio e Roberto Croce
Il Ministero del Lavoro e gli enti previdenziali (su tutti l’INPS), con la loro attività di vigilanza, dovrebbero svolgere un ruolo centrale nella prevenzione e nel contrasto di fenomeni di rilevante impatto economico-sociale quali il lavoro nero, gli infortuni sul lavoro, gli appalti illeciti, i fenomeni di elusione contributiva, il lavoro irregolare degli stranieri, il lavoro minorile, le violazioni della disciplina sulle pari opportunità, l’inserimento lavorativo dei disabili, il fenomeno delle false prestazioni nel settore agricolo ecc. ecc.
C’è, pertanto, da restare allibiti leggendo il recente documento di programmazione dell’attività di vigilanza per l’anno 2009 della direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro.
In esso la crisi economica in atto è strumentalizzata al fine di realizzare un nuovo assetto programmatico della vigilanza che non intralci l’attività produttiva e la competitività delle imprese: “la mutata fase economica in cui si trova il nostro Paese, che attualmente sta risentendo degli effetti di una crisi di livello mondiale, investe tutti i settori economici incidendo pesantemente sull’attività produttive e sulla competitività delle imprese operanti sul territorio”.
Da tale premessa deriva “la scelta di investire su un’azione di vigilanza selettiva e qualitativa”, con la conseguenza che “la vigilanza sarà indirizzata esclusivamente su specifici obiettivi meritevoli di particolare attenzione e caratterizzati da fenomeni di rilevante impatto economico-sociale”; e ciò in perfetta coerenza con quanto prescritto dal Ministro Sacconi con la direttiva del 18.09.2008, nella quale si richiamava la necessità di abbandonare “ogni residua impostazione di carattere puramente formale e burocratica, che intralcia inutilmente l’efficacia del sistema produttivo senza portare alcun minimo contributo concreto alla tutela delle persona che lavora”.
Gli effetti “a valle” dei citati provvedimenti non hanno tardato a prodursi.
E così, con la circolare n. 27 del 25 febbraio 2009, anche l’INPS ha tracciato le linee di intervento per l’attività di vigilanza 2009 e lo ha fatto in perfetta coerenza con la direttiva Sacconi del settembre 2008 e con il documento di programmazione del Ministero del Lavoro.
Il quadro di riferimento è sempre lo stesso: “l’attuale sistema produttivo è investito, come è noto, da una profonda crisi economica che ha travalicato i confini nazionali, connotandosi come una emergenza mondiale. Di tale situazione non si può non tener conto anche nell’ambito delle azioni da intraprendere nella vigilanza, le quali potrebbero se, non opportunamente indirizzate, aumentare il disagio e le difficoltà dei soggetti imprenditoriali”.
La filosofia di fondo non muta: centralità dell’impresa a scapito delle esigenze di tutela dei lavoratori. In questo quadro, l’attività di vigilanza e di controllo viene concepita come l’ennesimo ostacolo al libero dispiegarsi dell’attività di impresa, non già come un essenziale strumento di legalità e di tutela dei più deboli.
Di più. Con una dose di realismo maggiore di quella del re, l’INPS, non solo si adegua, ma va ben oltre le indicazioni ricevute, indirizzando – in perfetta coerenza con le pulsioni xenofobe oggi tanto di moda - l’attività di vigilanza prioritariamente in un settore di nuovo conio: quella delle “aziende etniche”. Ed infatti nella circolare 27 si legge testualmente che“Nel 2009 dovrà essere privilegiata l’azione di vigilanza nei confronti delle realtà economiche gestite da minoranze etniche”.
A giustificazione di tale scelta, l’INPS indica quale fonte dell’obbligo di agire nei confronti delle “aziende etniche” l’art. 15 di una “proposta di direttiva in corso di recepimento da parte della Comunità Europea”.
Nulla di più infondato. Il citato art. 15, infatti, si limita a disporre che: “Gli stati membri garantiscono che ogni anno almeno il 10% delle imprese stabilite sul loro territorio siano oggetto di ispezioni ai fini del controllo dell’impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare”.
In sostanza, l’Unione Europea non impone di controllare le “aziende etniche” (nozione, si badi bene, sconosciuta sia dal legislatore comunitario che da quello italiano), ma invita gli stati membri a individuare e punire le imprese che utilizzano lavoratori extracomunitari irregolari.
Una norma a tutela degli immigrati viene così trasformata in pretesto per l’attuazione di politiche di vigilanza contro le minoranze etniche. E così anche in questa materia l’immigrato diventa il “capro espiatorio”, come se la caccia all’ambulante senegalese o al ristorante cinese sotto casa risolvesse i problemi del lavoro irregolare. Di fronte a tali provvedimenti, c’è da chiedersi che fine abbia fatto la linea di “tolleranza zero” tanto proclamata (ma mai praticata) dopo le stragi della Umbria Olii e della Thyssen Krupp.
La conclusione a cui si può giungere è la seguente: su pressione del padronato, l’esecutivo, dopo avere più volte rinviato l’entrata in vigore di significative porzioni (es. in tema di valutazione dei rischi) del nuovo Testo Unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e in attesa di un ormai imminente decreto correttivo dello stesso che ne attenui l’impianto sanzionatorio, ha deciso di svuotare le nuove prescrizioni del D. Lgs. n. 81/2008 sul piano dei controlli, fornendo, per via amministrativa e col pretesto della crisi economica in atto, direttive finalizzate a limitare l’attività di vigilanza degli ispettori o, quantomeno, a orientarla verso fenomeni privi di rilevante ed effettivo impatto economico sociale, ma ricchi di valenze simboliche, quale ad esempio quello delle “aziende etniche”.
Inutile dire che, in un paese normale, il ragionamento dovrebbe essere capovolto.
La crisi economica che sta travolgendo le imprese italiane e il conseguente aumento esponenziale della disoccupazione rischiano di determinare un aumento dei fenomeni di lavoro irregolare e di fare saltare tutte le tutele: previdenziali, assistenziali e di sicurezza sul posto di lavoro.
In questo contesto, il compito principale del Ministero del lavoro e dell’INPS dovrebbe essere quello di potenziare, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo, l’azione di contrasto dei fenomeni di irregolarità al fine di garantire a tutti i lavoratori uguali diritti e tutele.

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