domenica 22 marzo 2009

La recessione spazza via i call center: 6500 operatori rischiano il posto

di Antonio Sciotto
La crisi colpisce anche i call center, e quest'anno si potrebbero perdere almeno 6500 posti di lavoro. L'allarme viene dalla seconda conferenza nazionale dei call center in outsourcing, organizzata dalla Slc Cgil, che si è svolta ieri a Napoli.
Si potrebbe così invertire un «processo virtuoso» che si era avviato nei passati due anni, quando i provvedimenti contro il lavoro nero, le ispezioni e due circolari emanate dall'allora ministro del Lavoro Cesare Damiano avevano cominciato a mettere un certo ordine nel settore, incrementando il lavoro stabile rispetto a quello atipico. Ma l'attuale governo ha ridato mano libera alla concorrenza al massimo ribasso delle imprese, ha cancellato le norme sulla responsabilità degli appalti, ha diminuito se non praticamente azzerato le ispezioni, ha riportato l'orologio della precarietà indietro, sovvertendo lo spirito delle circolari Damiano: secondo le disposizioni del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, infatti, il lavoro svolto da parasubordinati è «presuntivamente autonomo» e dunque sta agli operatori e ai sindacati dimostrare che al contrario è subordinato, con tutte le difficoltà del caso.
I lavoratori in outsourcing, secondo i dati diffusi ieri dal sindacato, sono circa 65.500 al 31 dicembre 2008, in aumento di 2500 unità rispetto al 2007: 44 mila lavorano come inbound (ricezione telefonate) e 21.500 in attività miste e outbound (fanno le telefonate). E' in quest'ultimo comparto che si annida perlopiù il lavoro dipendente mascherato da false collaborazioni a progetto: secondo un'indagine a campione della Cgil su 2094 lavoratori, ben il 75% è risultato inquadrato con contratti che violano la legge, e avrebbero perciò diritto al rapporto subordinato. Perché hanno orari obbligatori, non possono interrompere il flusso automatico di chiamate in arrivo, non possono «sloggarsi» (scollegarsi) dalla postazione senza chiedere il permesso a un superiore, sono oggetto di richiami e contestazioni disciplinari.
«Il sindacato - spiega il segretario nazionale Slc Cgil Alessandro Genovesi - ha più volte segnalato le aziende campione ai servizi ispettivi, ma nessuna visita è finora mai stata compiuta. Inoltre, a oggi non si ha alcun riscontro sugli oltre 8 mila verbali redatti a seguito delle ispezioni fatte fino al maggio 2008: da allora, infatti, non si è più riunito il Tavolo delle parti sociali sui call center presso il ministero del Lavoro, e da più di un anno non risultano ispezioni».
E' «l'effetto Sacconi», che ha fatto calare un vero e proprio velo sul settore e sulla precarietà degli operatori. Senza contare che le imprese hanno ricominciato a esternalizzare e pure a licenziare - con il pretesto della crisi - tanto che tra i 6500 posti a rischio la maggioranza è composta da tempi indeterminati (4500 a fronte di 2000 cocoprò).
Ecco dunque le richieste della Cgil:
1) estendere gli ammortizzatori indipendentemente dal numero di settimane maturate (molti lavoratori sono ex cocoprò stabilizzati e non hanno ancora le 56 settimane necessarie);
2) introdurre clausole sociali negli appalti: nel contratto nazionale sia inserito un principio per cui non si possono assegnare commesse o cambiare appaltatore se non verso società che abbiano un costo del lavoro pari o superiore all'outsourcer precedente: bussola deve essere la «qualità» e non il massimo ribasso;
3) ritiro della Nota Sacconi del dicembre 2008 e avvio di un piano straordinario di ispezioni nei call center;
4) riconvocare il Tavolo presso il ministero del Lavoro, anche per conoscere gli esiti degli 8 mila verbali ispettivi oggi «secretati».

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