giovedì 19 marzo 2009

Intervista a Giorgio Cremaschi, Segretario Nazionale FIOM-CGIL

Intervista a Giorgio Cremaschi, Segretario Nazionale FIOM-CGIL.
Si parla della crisi economica Europea, e del ruolo del sindacato a livello nazionale.


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Vi inviamo, seppure con un certo ritardo, la sintesi dei temi in discussione della riunione del Gruppo di continuità della Rete28Aprile, (...)
tenutasi ai primi di marzo. Riteniamo il testo utile, in particolare per la preparazione della prossima Assemblea nazionale.
Cordiali saluti.
Giorgio Cremaschi

Temi della discussione nel Gruppo di continuità nazionale
Verso l’assemblea nazionale della Rete
Verso il congresso della Cgil

Dopo il rifiuto della Cgil di sottoscrivere l‘intesa separata del 22 gennaio sul sistema contrattuale, mentre la crisi si aggrava e dentro la crisi cresce e si incattivisce l’attacco ai diritti e all’occupazione, vengono al pettine tutti i nodi.
La crisi economica è sicuramente la più grave dal 1929, è la crisi di un modello di sviluppo, quello fondato sulla cosiddetta globalizzazione. Non siamo in grado in questo momento di discutere se è una crisi strategica del sistema o semplicemente quella di una sua fase di crescita, peraltro durata trent’anni. Resta il fatto che il meccanismo della globalizzazione finanziaria e della totale libertà di manovra dei capitali si è rotto. Quando l’economia ripartirà l’intervento dello stato, le regole, i rapporti di forza tra economia e paesi, saranno profondamente cambiati.
Per questo riteniamo necessario come Rete arrivare a un momento di riflessione strategico con economisti anticapitalisti al fine di giungere a definire un programma e una piattaforma di lungo respiro che affronti la crisi.
Nell’immediato il punto centrale che abbiamo di fronte è che la crisi viene usata dal governo, dalle imprese, dal sistema economico, per fare definitivamente i conti con i diritti sociali e la contrattazione. Al di là delle chiacchiere la sostanza è che la crisi è un’occasione per distruggere ciò che è rimasto dello stato sociale e dei diritti contrattuali. Sembra un paradosso, ma gli stessi temi della flessibilità, della precarietà, della privatizzazione, che sono tra le cause scatenanti della crisi economica, vengono continuamente riproposti come strumento per affrontarla. Non è un caso che tutto il confronto sia concentrato sulle misure di assistenza a chi perde il posto, cosa anche necessaria, ma che nella nostra cultura e nella nostra esperienza è solo l’ultimo gradino che si affronta dopo aver misurato tutte le possibilità di difesa dell’occupazione. E’ significativo che nessuno parli di modifica delle leggi sulla precarietà e che per i migranti anche le richieste minimali di attenuazione del tallone di ferro delle espulsioni, non vengano accettate. La riduzione d’orario, che in tutti i periodi di crisi è stata all’ordine del giorno del confronto sociale, oggi è cancellata dall’agenda. Insomma, licenziamenti, taglio dei diritti ed elemosine di stato sono il perimetro nel quale si dovrebbe svolgere il conflitto sociale. L’intervento pubblico c’è e ci sarà sempre di più, ma a sostegno degli equilibri sociali attuali, a sostegno delle classi dirigenti delle banche e delle imprese, per i poveri, per i lavoratori ci sarà sempre di più il mercato con un po’ più di assistenza, ove non costi troppo. Nella sostanza si potrebbe dire, scherzando un po’ ma non troppo, che per i ricchi c’è il socialismo e per i lavoratori e i poveri c’è la brutale competizione di mercato. Questo è il modo concreto con cui stanno affrontando la crisi.
In Italia questo significa un attacco ancor più duro al salario e in generale sul costo del lavoro. Abbiamo un degrado crescente della condizione del lavoro che fa sì che, nonostante la caduta dell’occupazione, il livello degli infortuni gravi e mortali sia sostanzialmente inalterato. Abbiamo l’uso della crisi per terrorizzare i lavoratori con autoritarismo e aggressione alle più elementari libertà. Si opera per dividere le persone, per metterle in competizione l’una con l’altra. Da un lato c’è la cassa integrazione, dall’altro ci sono gli straordinari, questo avviene nelle stesse aziende, negli stessi grandi gruppi, negli stessi territori. La guerra tra i poveri è uno strumento fondamentale di governo di questa crisi e l’attacco ai “privilegi” nel mondo del lavoro, cioè al lavoro pubblico, al lavoro privato a tempo indeterminato, agli occupati rispetto ai disoccupati, ai precari dipendenti rispetto ai Co.co.co., ai migranti, alle donne, propone in continuazione la contrapposizione dei diritti. Il principio fondamentale è “se affondi tu mi salvo io”, e così si precipita nel disastro.
L’iniziativa della Rete parte dal presupposto che su questo piano si può giungere a una sconfitta drammatica. Ci sono tutte le condizioni per lottare, anzi in molte realtà stanno sorgendo importanti movimenti, da Pomigliano a Torino. Ma senza un programma e una determinazione profonda dei gruppi dirigenti, il rischio è quello del logoramento e della frantumazione.
Per noi il no della Cgil il 22 gennaio all’accordo sul sistema contrattuale non è né solo un salvataggio sull’orlo di un burrone, né tantomeno una parentesi, ma il possibile atto costituente di una nuova fase del sindacalismo di classe in Italia.
Questo è il punto e questo è il terreno sul quale c’è un’evidente differenziazione dentro la stessa Cgil. Non siamo più nel 2002. E’ cambiata la realtà, sono più arroganti e forti le controparti, ancora di più lo è il governo di destra in assenza di un’efficace opposizione, mentre Cisl e Uil sono conquistate all’idea del sindacalismo corporativo e aziendalistico, della complicità con le imprese. In questo quadro a ogni passo, in ogni momento, c’è la possibilità di farsi totalmente assorbire.
Non basta quindi la non firma agli accordi negativi, non basta davvero il no, occorre costruire una strategia contrattuale e di lotta che, anche senza gli altri sindacati, metta in discussione tutto il sistema di organizzazione del lavoro, di diritti, di salario, che si è imposto in questi anni.
La base dell’iniziativa è la resistenza al taglio dell’occupazione, alla precarizzazione, all’attacco ai diritti e al salario. Ma questa resistenza ha lo scopo di portare a un cambiamento dei rapporti di forza. Deve porsi l’obiettivo di usare la crisi, cioè l’incapacità del modello economico liberista di mantenere le proprie promesse di benessere e sviluppo, per rivendicare potere e salario, redistribuzione del reddito e intervento pubblico.
Anche la più elementare delle resistenze oggi ha bisogno di una piattaforma radicale che la sostenga ed è per questo che la concertazione, così come auspicata e vissuta dalla Cgil, non è più riproponibile. L’alternativa netta è quella tra la complicità su cui si sono attestate Cisl e Uil, e il conflitto sociale costruito con consapevole antagonismo. In mezzo non c’è più niente.
Questa è oggi la forza di Berlusconi, che può in fondo occupare tutto lo spazio del cosiddetto riformismo, perché in realtà quel riformismo è stato in questi anni solo l’adattamento ai mercati e alla competizione globale. L’alternativa a questo, è un altro modello sociale, la ricostruzione del potere delle lavoratrici e dei lavoratori.
E’ giunto quindi il momento che nella Cgil le diverse ipotesi con cui affrontare la crisi si misurino esplicitamente. Quello che sta avvenendo nelle piattaforme contrattuali, con categorie come gli alimentaristi che sottoscrivono piattaforme unitarie, che nei fatti applicano l’accordo separato, cosa che avviene in maniera più sofisticata anche nella Slc. L’andamento in ordine sparso della contrattazione, con episodi di resistenza e accordi separati, o di convergenza verso le posizioni altrui. L’assenza di una pratica comune sul terreno della democrazia, per cui la richiesta della Cgil di referendum sull’accordo separato non si traduce in un’iniziativa adeguata su tutti i fronti della contrattazione. Più in generale la debolezza programmatica speculare a quella dell’opposizione politica. In sintesi, il fatto che la Cgil, che positivamente ha detto no all’attacco al contratto nazionale e allo stravolgimento delle regole contrattuali, è la stessa che ha condotto la politica del meno peggio di questi anni e che non è stata in grado di costruire una critica al crollo del governo di centrosinistra;il fatto che la Cgil abbia detto dei no fondamentali per i diritti del lavoro non comporta automaticamente che questa organizzazione sia in grado di costruire la piattaforma e le pratiche per trasformare i no in un’azione positiva e di lunga durata.
Per questo bisogna accelerare la battaglia congressuale, in qualche modo farla già partire. Al congresso della Cgil si confronteranno, al di là di tutte le discussioni, l’ipotesi del ritorno a casa con Cisl e Uil - per capirci un modello Alitalia in grande - oppure quella che fa del no all’accordo separato la base per una strategia di conflitto, di rivendicazioni, di autonomia e indipendenza.
Per questo la Rete deve ripartire con forza ovunque e deve confermare l’obiettivo di costruire nel congresso una mozione alternativa all’ipotesi riformista. Questo è il nostro punto fermo, non mediabile. Partendo da questo punto di vista siamo interessasti a costruire proposte e alleanze con tutte le anime e le esperienze delle sinistre sindacali della Cgil, per giungere a un impegno comune nel congresso. Anche se le date non sono ancora fissate, oramai il congresso è alle porte. E’ probabile che ci sia qualche slittamento per la contemporaneità del congresso del Partito Democratico, ma sicuramente alla fine dell’anno il percorso congressuale inizierà.
Per questo dobbiamo essere pronti e organizzati dando concretezza a tutte le decisioni che abbiamo assunto in questo periodo.
L’Assemblea nazionale della Rete, prevista per il 24 aprile a Milano, sarà un appuntamento decisivo, al quale inviteremo il Segretario generale della Fiom, Lavoro società e tutti coloro che sono interessati a partecipare alla discussione nella sinistra sindacale. In quella sede lanceremo il nostro percorso congressuale, cominciandone ad elaborare i temi di fondo che sono quelli che emergono dalle lotte di questi mesi.
Per questo è necessario un impegno straordinario delle compagne e compagni che finora hanno creduto nel progetto della Rete. Proprio oggi, che i fatti ci danno ragione, non sulle piccole cose ma sulle questioni di fondo, stentiamo a costruire una forza in grado di rispondere alla domanda e all’interesse diffusi che registriamo tra i militanti della Cgil, tra le lavoratrici e i lavoratori. Per questo dobbiamo darci da fare, più che nel passato, organizzando una vera direzione collettiva, con responsabilità precise, in grado di gestire questa fase. Su tutto questo bisogna semplicemente passare dalle parole ai fatti.

Rete28Aprile

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