venerdì 20 marzo 2009

Gaza: Piombo fuso, soldati svelano violenze e furore

I soldati israeliani rivelano: "Abbiamo colpito deliberatamente i civili palestinesi"

GAZA - Nel corso della recente offensiva militare 'Piombo Fuso' nella Striscia, i civili palestinesi sono stati uccisi e le loro proprieta' deliberatamente distrutte a causa di regole d'ingaggio ''permissive'': sono le confessioni di alcuni soldati e ufficiali israeliani riportate dall'edizione odierna del quotidiano ebraico 'Haaretz'.

Fuoco a raffica nelle case, donne e bambini freddati da tiratori scelti per banali difetti di comunicazione fra reparti, disprezzo per i palestinesi in quanto tali, atti di vandalismo e scherno nelle loro abitazioni. C'è stato anche questo nei 22 giorni di guerra dell'operazione Piombo Fuso, condotta dalle forze armate israeliane (Tsahal) a gennaio per colpire i santuari degli integralisti di Hamas nella Striscia di Gaza, secondo testimonianze insospettabili raccolte dai media che gettano in queste ore nell'imbarazzo gli alti comandi inducendoli ad annunciare «verifiche» e «indagini» approfondite.
A strappare il velo del silenzio sono stati i racconti di alcuni reduci rimbalzati oggi sulla stampa e denunciati con enfasi come altrettante macchie sull'onore delle divise di Tsahal. Racconti di episodi singoli, ma non isolati a sentire i protagonisti, che descrivono un contesto generale fatto di «regole d'ingaggio permissive» ed eccessi di furore. Le testimonianze - svelate per primo dal giornale liberal Haaretz, che ne ha avviato oggi la pubblicazione integrale, e riprese poi da tutte le maggiori testate israeliane - sono frutto di trascrizioni di un dibattito tenuto nell'ambito dei corsi del collegio di preparazione militare intitolato alla memoria d'Yitzhak Rabin: l'eroe di guerra divenuto premier degli accordi di pace di Oslo. Il capo di una piccola unità di commando narra ad esempio di aver assistito all'uccisione di una donna e due bambini da parte di un cecchino appostato su un tetto solo perchè «ci si era dimenticati di avvertirlo» del loro rilascio. «Lui ha visto che a camminare erano una donna e due bimbi - sottolinea il graduato -,... ma alla fine li ha uccisi. E non credo che ci sia rimasto troppo male perchè, dopo tutto, aveva agito secondo gli ordini». Ordini - deplora - improntati all'idea che la vita dei Palestinesi, civili inclusi, sia «qualcosa di molto, ma molto meno importante delle vite dei nostri». Un commilitone rivela di aver avuto un diverbio con un superiore dopo che questi aveva ordinato di far fuoco su una persona che - «a 100 metri» dal reparto - appariva chiaramente «una donna anziana». E aggiunge di aver dovuto poi subire le proteste dei suoi stessi compagni al grido di: «Dovremmo ucciderli tutti, qui sono tutti terroristi». Un atteggiamento ritrovato nei combattenti che afferma d'aver visto «scrivere morte agli Arabi sui muri delle case o prendere foto di famiglia e sputarci su. Solo perchè potevano». Un altro graduato, citato stavolta da Yediot Ahronot, descrive il modus operandi della sua unità in questi termini: «Entrando in una casa, dovevamo sfondare la porta e sparare all'interno. E così avanti, una storia dopo l'altra». «Io - conclude - lo chiamerei omicidio». Parole pesanti che hanno «sconvolto» Danny Zamir, direttore dei corsi del collegio Rabin, spingendolo a pubblicarle su una newsletter ancor prima dei giornali. E che spingono Amos Harel, analista militare di 'Haaretz', a commentarle quale segno del «continuo deterioramento» dei codici di condotta degli eredi della leggendaria Haganah sionista: «Dalla prima guerra del Libano, alla seconda, fino all'operazione Piombo Fuso» (chiusa con un bilancio di oltre 1400 morti, stando alle ultime stime di fonte palestinese). Per questo Harel chiede ai comandi di «prendere sul serio denunce che non possono essere tacciate di propaganda poichè non vengono più solo da testimoni palestinesi o dalla 'stampa ostilè». E non s'accontenta della promessa di «indagini accurate» fatta da un portavoce dello stato maggiore il quale, al contempo, nega l'esistenza di ogni «informazione preventiva» coperta su quanto esploso in pubblico oggi. «Se davvero i comandi non avevano mai sentito di incidenti simili - controreplica Harel -, l'unica conclusione ragionevole è che non volevano sapere».

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