La Cgil presenta le stime per il 2009 e 2010 in Italia. Il Pil perderà il 4%. «Più aiuti ai licenziati, alzando le tasse ai ricchi». Eurostat: a fine 2008 persi 670 mila posti nei 27 paesi dell'Unione.
Il 2008 appena passato, il 2009 che stiamo vivendo, e il prossimo anno - il 2010 - potrebbero rappresentare uno «tsunami» per l'occupazione: secondo le stime presentate ieri dall'Ires Cgil, rischiano di produrre in Italia ben 1 milione di disoccupati in più rispetto a quelli esistenti nel 2007. Altrettanto «catastrofiche» le previsioni sul Pil: -4 punti percentuali persi nel triennio, sommando il -1% dell'anno scorso, il -2,9% previsto quest'anno e il -0,1% (dunque, una sorta di «ripresa») atteso per il 2010. E non basta, perché ieri Eurostat - istituto di statistica dell'Unione europea - ha diffuso i dati relativi ai posti di lavoro persi nel quarto trimestre 2008, quando la crisi dalla finanza si è trasferita all'economia reale: l'emorragia sarebbe stata pesantissima, con 453 mila posti persi nell'area euro (-0,3%) e ben 672 mila nei 27 paesi dell'Unione (anche qui, -0,3%). Un anno fa la diminuzione era stata dello 0,1% nella zona euro e dello 0,2% nell'Unione. Tornando più dettagliatamente ai dati diffusi dalla Cgil, i disoccupati attesi nel 2010 potranno arrivare a 2,6 milioni contro gli 1,5 milioni del 2007. Dunque sarebbe quasi un raddoppio. Tra il 2007 e il 2008 sarebbero stati persi circa 350 mila posti, calcola l'Ires, portando il totale dei disoccupati da 1,506 milioni a 1,854 milioni. Nel 2009, in particolare, la crescita sarebbe di 498 mila unità, per un totale di persone senza lavoro di 2,350 milioni (pari a un tasso di disoccupazione del 9%), cifra che salirebbe di altre 334 mila unità nel 2010, portando, nell'ipotesi peggiore, a una platea di 2,686 milioni di disoccupati, pari a un tasso del 10,1%. Nel caso più ottimistico dell'evoluzione della crisi, invece, nel 2010 il tasso di disoccupazione potrebbe arrestarsi al 9%, con 2,294 milioni di disoccupati totali.
La «fascia critica» della popolazione, quella più a rischio sul fronte occupazionale, viene individuata dalla Cgil in 3,4 milioni di persone, precarie a vario titolo e perciò praticamente prive di ammortizzatori sociali: lo zoccolo maggiore è formato da 2,2 milioni di dipendenti a tempo determinato, ma ci sono anche i collaboratori - molti nella pubblica amministrazione - e gli «occasionali». Al conteggio del sindacato risultano anche 659 mila persone non occupate da non più di 12 mesi, «espressione - spiega l'Ires - di 'fisiologicà discontinuità' lavorativa piuttosto che di disoccupazione in senso stretto». E' quel bacino che in tempi normali vede entrare e uscire persone dagli impieghi precari, allargandosi e restringendosi a fisarmonica, ma che in fase di crisi rischia però di cristallizzarsi.
Le tre proposte della Cgil
La Cgil ha accompagnato la sua analisi sullo stadio di avanzamento della crisi, a una serie di proposte su come affrontare l'emergenza. Il segretario confederale Fulvio Fammoni ha innanzitutto indicato la fonte da cui potrebbero essere ricavati i fondi necessari per la copertura: «Il governo risponde che non ci sono le risorse, ma con la nostra proposta fiscale si potrebbero avere 1,5 miliardi di euro in più l'anno». L'idea della Cgil, già esposta da Guglielmo Epifani nelle scorse settimane, è quella di introdurre una «tassa di solidarietà» temporanea: l'aumento dell'aliquota dal 43% al 48% per i redditi che superano i 150 mila euro annui. Con il ricavato della tassa, si potrebbero realizzare tre interventi.
1) Estendere l'indennità di disoccupazione: oggi copre il 26,6% dei disoccupati, ma potrebbe essere estesa a quelli che hanno versato contributi tra 17-51 settimane (stimabile al 35% del totale dei disoccupati). La platea aggiuntiva di beneficiari dell'indennità è di 191 mila disoccupati, per una spesa aggiuntiva stimata di 663 milioni di euro.
2) Sostegno al reddito dei collaboratori: l'attuale intervento previsto dal governo, secondo i calcoli della Cgil coprirebbe solo 80-90 mila collaboratori, con un assegno una tantum pari al 20% della retribuzione realizzata nell'anno precedente (in media, circa 1600 euro, dato che le retribuzioni medie lorde sono di 8 mila euro annui). Il sindacato chiede di ampliare la platea fino a 171 mila persone, includendo i monocommittenti che hanno lavorato più di 3 mesi in corso d'anno e che hanno redditi tra i 1001 e i 20 mila euro annui; l'importo dell'assegno dovrebbe essere portato al 40% della retribuzione, dunque in media circa 3200 euro. La spesa aggiuntiva stimata è di circa 427 milioni di euro.
La terza richiesta è quella di ampliare gli importi massimi mensili degli assegni di cassa integrazione, aggiungendo 200 euro in più al mese. I lavoratori con retribuzione lorda mensile inferiore ai 1917,48 euro (il 70% del totale) passerebbero da un assegno massimo di 886,31 euro a uno di 1.086,31 euro; quelli sopra i 1917,48 (il restante 30%), passerebbe da 1.065,26 euro a 1.265,26. Il costo aggiuntivo per questa misura sarebbe di 678 milioni di euro. Il totale delle tre proposte costerebbe 1,768 milioni di euro, coperti dunque per la quasi totalità dagli 1,5 miliardi ricavati dalla tassa di solidarietà.
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