Di Chiara Pollio
Sarebbe buona norma e regola che si ricominciasse a utilizzare i termini adatti per descrivere i fenomeni, a non aver paura di chiamare le cose col proprio nome. Mi si è detto, ad esempio, che questo Governo non è il Fascismo, e che parole come queste vanno usate con il misurino, per il rischio di risultare grossolani, allarmisti, propagandisti. Ma le parole hanno un loro significato, e in base a quello vanno utilizzate. Scevri da condizionamenti politicamente corretti, proviamo ad analizzare i provvedimenti del Governo, e la ricaduta di questi sulla società, a mente fredda.
Sarebbe buona norma e regola che si ricominciasse a utilizzare i termini adatti per descrivere i fenomeni, a non aver paura di chiamare le cose col proprio nome. Mi si è detto, ad esempio, che questo Governo non è il Fascismo, e che parole come queste vanno usate con il misurino, per il rischio di risultare grossolani, allarmisti, propagandisti. Ma le parole hanno un loro significato, e in base a quello vanno utilizzate. Scevri da condizionamenti politicamente corretti, proviamo ad analizzare i provvedimenti del Governo, e la ricaduta di questi sulla società, a mente fredda.
Ci renderemo conto allora che troppi, troppi sono i parallelismi che è possibile tracciare tra il clima istituzionale, sociale e degli apparati di oggi e del Ventennio, per non rimanere allarmati, per non rendersi conto che è necessario elaborare una strategia di resistenza contro un Governo che, a dispetto della sua (non troppo accentuata, peraltro) parvenza democratica, ha tutti i caratteri di un Governo autoritario, propagandistico, securitario. In una parola, fascista.
Guardiamo al caso dei rapporti con l'Altro. Cioè lo straniero, ma non solo. L'Altro è, oggi, anche chi ha cittadinanza italiana ma è “etnicamente distinto” dall'italiano medio (categoria piuttosto vacua, in realtà, ma che ha una funzione retorica molto importante). Perché, per come il Governo sta configurando le proprie linee di politica di sicurezza, pare proprio che la base giuridica del godimento dei diritti non sia più la soggettività personale né la cittadinanza, ma divenga mano a mano l'appartenenza “etnica”.
E se la parola “etnico” vi suona male o vi fa paura, perché fa tanto rima con “razza”, allora dovete avere paura del clima odierno italiano, e dei contenuti del Ddl sicurezza (o legge sulla “sicurezza degli italiani”, come l'ha definita Maurizio Gasparri) già approvato il mese scorso in Senato e ora in esame alla Camera. Troppo il divieto per i cittadini extracomunitari e clandestini di contrarre matrimonio con italiani ricorda quello dei matrimoni misti introdotti dalle leggi razziali del Ventennio. Le schedature dei bimbi rom (cittadini italiani, e dunque schedature su base etnica) e dei senzatetto, che fanno il paio con l'obbligo per legge per i medici di trasformarsi in delatori degli stranieri clandestini, hanno il sapore chiaro della repressione securitaria e propagandistica tipica degli autoritarismi. E quel curioso espediente dell' Accordo di integrazione per gli immigrati, un permesso di soggiorno articolato in crediti per cui il diritto di cittadinanza viene goduto a seconda dei “punti” guadagnati o persi, cos'è se non un'ostentata insofferenza nei confronti della diversità e il tentativo deciso e inquietante di “normalizzazione”? Chiamiamo le cose col loro nome. Quello che si sta attuando nel nostro paese è una chiara strategia di segregazione nei confronti di questo fantomatico Altro, entità dai contorni quantomai indefiniti ma ottima per spargere insicurezza e veicolare l'attenzione verso un nemico interno, incerto, minaccioso, capitato apposta per distogliere il dibattito da altre, vere, emergenze.
Quel che è peggio, razzismo di Stato chiama razzismo sociale. Per un verso l'intolleranza è stata prevista per legge, attraverso le ronde cittadine. Per un altro, l'ammissione nell'arena politica di una data strategia legislativa ha dato il via allo sdoganamento di comportamenti sempre più violenti, come nel caso particolarmente odioso di Nettuno e in quello più recente del pestaggio di Marco Beyene in un'insospettabile Napoli razzista. Una violenza sempre più frequente, che sempre maggiormente passa sotto silenzio nei media ed incontra la tolleranza del senso comune.
Ci stiamo trasformando in una società razzista e non dobbiamo avere paura di smascherarci. Dobbiamo anzi avere cura di evitare un pericoloso “stato di negazione”, evitare di non voler credere a quello che ci sta succedendo intorno, se vogliamo combattere questa brusca svolta autoritaria del governo e delle coscienze.
Nessun commento:
Posta un commento