Non bisognava essere cartomanti per comprendere, all'indomani del nefasto accordo sulle pensioni del 23 luglio 2007 tra il governo Prodi, la Confindustria e Cgil-Cisl-Uil, che lo sfondamento dei 60 anni di età per il pensionamento di anzianità (nel 2013 ci vorranno per tutti/e al minimo 61 anni di età e 36 di contribuzione o 62 e 35 per andare in pensione) sarebbe stato foriero di ulteriori sciagure per lavoratori e lavoratrici.
Sicuramente il punto più contraddittorio dell'accordo era l'età di pensionamento per anzianità delle donne, superiore ai 60 anni, età che ancora oggi consente alle lavoratrici di andare in pensione per vecchiaia.
A questo, oltre che alle successive raccomandazioni dell'Unione Europea sulla presunta violazione della parità tra uomo e donna, si appellava circa un anno fa Emma Bonino per cominciare la campagna sull'elevamento a 65 anni dell'età pensionabile per vecchiaia per le donne, campagna che in queste settimane è divenuta sempre più ossessiva.
Ma che dire della mancanza in quell'accordo di un preciso e congruo finanziamento per garantire la possibilità nel caso degli addetti ai lavori usuranti di poter accedere al pensionamento con un anticipo di tre anni rispetto agli altri lavoratori? Non è un caso che ancora oggi non c'è nessun provvedimento nel merito, l'unico fugace accenno del governo a tale problema lo si riscontra qualche mese fa, quando si è liquidata la questione come molto futuribile e l'eventuale anticipo della pensione è calato da 3 a 1 anno.
Mentre sulla questione dell'adeguamento verso il basso dei coefficienti di trasformazione delle pensioni a sistema contributivo (che ne ridurrà il già risicato importo), che Berlusconi nel 2005 scaricò sul successivo governo (Prodi), nell'accordo del 23 luglio c'è stato un pronunciamento circostanziato nel merito, che ha consentito a Sacconi, un mese fa, di fissare per il 1° gennaio 2010 l'adeguamento automatico in peius dei suddetti coefficienti.
Solo due-tre mesi prima, un altro ex socialista come Sacconi, ex sindacalista dei chimici della Cgil, ex collaboratore de "Il Sole 24 Ore", il deputato PdL Cazzola, ha depositato una proposta di legge in cui ha auspicato l'estensione del calcolo contributivo della pensione agli ultimi "fortunati" che sono ancora a regime retributivo.
Intanto la "riforma" Brunetta del Pubblico Impiego è stata definitivamente approvata lo scorso 26 febbraio; in questa, tra le altre nefandezze, c'è una "bella sorpresa" per i/le dipendenti pubblici che vanno in quiescenza con il massimo di 40 anni di contribuzione: per raggiungere tale massimo nel computo dei 40 anni non saranno più conteggiati i 4 anni di università e l'anno di militare.
Con questa serie di piccoli (e chiamiamoli piccoli) passi si è messo in moto un perverso meccanismo che, facendo leva sulla terrificante crisi in corso, punta di fatto all'ennesima generale controriforma pensionistica.
Le falle apertesi con il pessimo accordo del 23 luglio 2007, che già di per sé ed insieme alla sponsorizzazione sindacal-padronal-governativa dei Fondi pensione autorizzavano ulteriori manomissioni peggiorative del sistema previdenziale pubblico, sono diventate delle vere e proprie voragini con il procedere e l'acutizzarsi della crisi.
La crisi finanziaria prodotta dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime, partita negli Usa nell'estate 2007, propagatasi in Europa, è divenuta inarrestabile nell'estate 2008; dallo scorso autunno alla crisi finanziaria si è affiancata una micidiale crisi produttiva con il suo tragico corredo di cassintegrazione (in Italia a gennaio 2009 +606% rispetto a gennaio 2008, a febbraio 2009 +554% rispetto a febbraio 2008 e + 1000% nel settore metalmeccanico), licenziamenti (fra gennaio e febbraio 2009 oltre 350.000), fallimenti e chiusure aziendali, etc... Negli USA la disoccupazione è all'8,1%, nel solo febbraio scorso sono stati cancellati più di 600.000 posti di lavoro; nell'Unione Europea si prevedono altri 6 milioni di disoccupati entro il 2010; il Fondo Monetario Internazionale, dopo aver a gennaio previsto per il 2009 una crescita del prodotto mondiale dello 0,5%, il 10 marzo prevede crescita sotto zero (è la prima volta dopo il 1945).
A fine luglio 2008 usciva il cosiddetto libro verde di Sacconi, dal titolo involontariamente dadaista "La vita buona nella società attiva", che, con una certa non chalance, teorizzava un futuro fatto di fondi pensione e fondi sanitari, anticipando l'auspicio, dopo il 2013 (guarda caso appena va a regime la "riforma" varata il 23/7/2007), di un ennesimo innalzamento dell'età pensionabile e di altri passi in avanti verso lo smantellamento del sistema pensionistico pubblico e la privatizzazione del welfare.
Ma, nel giro di pochi mesi, la crisi diventa sempre più grave e la solita Confindustria comincia a suggerire provvedimenti sempre più "radicali". La voce dell'oracolo è affidata al solito "Il Sole 24 ore", che parte con una campagna ben architettata.
L'organo di Confindustria comincia in sordina, con opinioni in genere espresse sulle sue pagine interne da giornalisti esperti di economia.
Il 16 dicembre 2008 a pagina 16 è Stefano Micossi ad aprire le danze; in un articolo intitolato "Il rilancio? Partirà dal lavoro ", dopo un sommario che testualmente recita: "E' il momento di affrontare le debolezze strutturali: le rigidità delle condizioni d'impiego, le resistenze ad alzare l'età pensionabile, l'inefficienza della Pa", ad un certo punto il nostro dichiara perentoriamente: "Non c'è scampo: in un Paese in rapido invecchiamento, dobbiamo allungare l'età di pensionamento" per giungere ad una chiusura sinistramente chiarissima: "Le scelte impopolari vengono spesso rinviate quando le cose vanno bene, ma possono essere affrontate in condizioni di crisi, perché quello è il momento in cui i margini per i giochi opportunistici si riducono e l'interesse generale emerge più chiaramente. Spetta al Governo, che nasce con forti ambizioni riformatrici, mettere le carte in tavola con chiarezza davanti al Parlamento e all'opinione pubblica".
Quindi la crisi diventa potente motore di riforme impopolari ma necessarie, perché rappresentano l'interesse generale (di chi?), e che il Governo (rigorosamente con la maiuscola), che ha ambizioni riformatrici, deve portare avanti.
Negli ultimi mesi il governo, tramite Sacconi e/o Tremonti e lo stesso Berlusconi, ha sostenuto più volte che non si fanno riforme delle pensioni ogni due anni. Ma abbiamo imparato a diffidare delle smentite del cavaliere e dei suoi accoliti; anzi, più smentiscono e più dobbiamo preoccuparci. Sarebbe come credere a Bush che, alla vigilia della batosta elettorale, continuava a ripetere che le basi dell'economia USA erano più che solide.
Perciò "Il Sole 24 Ore" ha proseguito con la sua campagna sottotraccia, direi subliminale: con cadenza settimanale sono continuati ad uscire articoli che accennavano alla necessità di innalzare ancora l'età pensionabile, successivamente tali articoli hanno assunto evidenza sempre maggiore, fino a conquistare la prima pagina ed assurgere a rango di editoriali come quello del 14 febbraio 2009 di Fabrizio Galimberti dal titolo inequivocabile "Cautela sul debito, coraggio sulle pensioni" che così si conclude: "Ma il rischio vero che vale la pena di correre è quello di un negoziato fantasioso e coraggioso, che scambi uno stimolo "qui e subito" all'economia con una riforma del sistema pensionistico che valga a innalzare l'età effettiva (non quella legale) di pensionamento: un finanziamento lento ma sicuro di un esborso rapido e immediato". Qualche giorno dopo l'eterno falco di Confindustria, Bombassei, in un'audizione parlamentare sulla crisi economica, caldeggia la necessità di una nuova riforma delle pensioni.
E nelle ultime settimane è partita la campagna, in nome della parità, sull'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per le donne, almeno per le dipendenti pubbliche, per ottemperare alle disposizioni dell'Unione Europea.
Cosa non si farebbe in nome della parità uomo/donna? Non fa nulla che in Italia il lavoro familiare non retribuito rappresenti il 32,9% del Pil, di cui il 23,4%, pari a 308 miliardi di euro (una cifra praticamele eguale al totale dell'ammortare delle retribuzioni del lavoro dipendente), sia opera delle donne; cosa sarà mai se le retribuzioni delle donne siano del 16% inferiori a quelle degli uomini o se nella provincia di Brescia (realtà ad alta concentrazione industriale e femminilizzazione della manodopera) tra i 147.282 percettori di assegni pensionistici inferiori ai 500 euro mensili il 77,50% sia costituito da donne? E quale importanza potrà mai avere il dato acclarato secondo cui le donne mediamente lavorino due ore al giorno in più degli uomini e che l'Italia sia agli ultimi posti in Europa nell'erogazione di servizi pubblici alla famiglia e alla persona?
Tranquille e tranquilli, ora ci pensa il "socialista" Brunetta a mettere le cose a posto, ha promesso che i 10 miliardi di euro risparmiati con l'elevamento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, saranno tutti reinvestiti per garantire occupazione, perequazione salariale e pensionistica, servizi alla persona a tutela ed emancipazione delle donne.
Ma che bravo quel Brunetta! Tra l'altro è riuscito nell'intento di far riavvicinare Bonanni ad Epifani. Già i giornali arrivano a scrivere che Cgil-Cisl-Uil alzeranno le barricate per fermare la nuova controriforma pensionistica. Ma è proprio così?
In realtà dopo tre giorni di dichiarazioni di fuoco, al quarto la vocazione pompieristica dei sindacati di stato torna a riemergere.
Epifani, il duro Epifani, si aggrappa al dato reale della floridezza dei conti dell'INPS (che nel 2008 ha registrato un avanzo di 11,2 miliardi di euro) per affermare che "Non è il momento per innalzare l'età. Non possiamo penalizzare le donne in fase di crisi. Dopo, se vogliamo, ci mettiamo intorno a un tavolo. Noi restiamo favorevoli al ripristino della flessibilità di uscita come c'era nella vecchia riforma Dini, che era stata poi superata dalla legge Maroni" ("il Manifesto" 10 marzo 2009).
Insomma il prode Guglielmo dice che non è il momento di penalizzare le donne, ma, passata la crisi, si può ragionare, ricorrendo alla flessibilità di uscita prevista dalla Dini.
Noi invece diciamo chiaro che l'innalzamento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, preludio alla generalizzazione di tale elevamento anche a quellei private, è una barbarie sempre e comunque, contro cui bisogna fare muro a tutti i costi, crisi o non crisi.
Un'altra cosa che il buon Guglielmo dimentica di dire è che la volontarietà dell'età di pensionamento flessibile prevista dalla controriforma Dini è accompagnata da incentivi e disincentivi; cioè, se lasci prima il lavoro, sarai penalizzata economicamente, mentre sarai premiata se andrai in pensione più tardi; quindi la pretesa volontarietà va a farsi fottere.
Non basta che i conti dell'INPS siano in vistoso attivo, che già oggi tante dipendenti pubbliche (ed ancor più gli uomini) vadano in quiescenza oltre i 65 anni a causa di pensioni da fame; il problema non è l'aumento della spesa previdenziale che, per il nostro Paese, è inferiore alla media continentale, il problema è che in Italia si vive mediamente due anni in più che nel resto d'Europa!
Come al solito; la posta in gioco si va progressivamente allargando, padroni e governo puntano al colpo grosso, a far saltare il banco.
Dall'elevamento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche si mira a passare ad un provvedimento analogo per le lavoratrici private; ma quindi perché fermarsi qui?
Quel che si prospetta ad una distanza di tempo molto ravvicinata è la cancellazione dello stesso istituto delle pensioni di anzianità, rimarrebbe esclusivamente il pensionamento per vecchiaia ad un'età compresa in una forchetta fra i 62 e i 67 anni per uomini e donne.
Ciò si potrebbe realizzare già a partire dal 2010 (se non addirittura prima, non ci è stato detto che provvedimenti impopolari è più facile prenderli in periodi di crisi?), per poi puntare rapidamente al pensionamento a 70 anni; è questo il sogno dei padroni. Svegliamoci prima che questo incubo si materializzi per le lavoratrici e i lavoratori!
Pino Giampietro
Confederazione Cobas
Sicuramente il punto più contraddittorio dell'accordo era l'età di pensionamento per anzianità delle donne, superiore ai 60 anni, età che ancora oggi consente alle lavoratrici di andare in pensione per vecchiaia.
A questo, oltre che alle successive raccomandazioni dell'Unione Europea sulla presunta violazione della parità tra uomo e donna, si appellava circa un anno fa Emma Bonino per cominciare la campagna sull'elevamento a 65 anni dell'età pensionabile per vecchiaia per le donne, campagna che in queste settimane è divenuta sempre più ossessiva.
Ma che dire della mancanza in quell'accordo di un preciso e congruo finanziamento per garantire la possibilità nel caso degli addetti ai lavori usuranti di poter accedere al pensionamento con un anticipo di tre anni rispetto agli altri lavoratori? Non è un caso che ancora oggi non c'è nessun provvedimento nel merito, l'unico fugace accenno del governo a tale problema lo si riscontra qualche mese fa, quando si è liquidata la questione come molto futuribile e l'eventuale anticipo della pensione è calato da 3 a 1 anno.
Mentre sulla questione dell'adeguamento verso il basso dei coefficienti di trasformazione delle pensioni a sistema contributivo (che ne ridurrà il già risicato importo), che Berlusconi nel 2005 scaricò sul successivo governo (Prodi), nell'accordo del 23 luglio c'è stato un pronunciamento circostanziato nel merito, che ha consentito a Sacconi, un mese fa, di fissare per il 1° gennaio 2010 l'adeguamento automatico in peius dei suddetti coefficienti.
Solo due-tre mesi prima, un altro ex socialista come Sacconi, ex sindacalista dei chimici della Cgil, ex collaboratore de "Il Sole 24 Ore", il deputato PdL Cazzola, ha depositato una proposta di legge in cui ha auspicato l'estensione del calcolo contributivo della pensione agli ultimi "fortunati" che sono ancora a regime retributivo.
Intanto la "riforma" Brunetta del Pubblico Impiego è stata definitivamente approvata lo scorso 26 febbraio; in questa, tra le altre nefandezze, c'è una "bella sorpresa" per i/le dipendenti pubblici che vanno in quiescenza con il massimo di 40 anni di contribuzione: per raggiungere tale massimo nel computo dei 40 anni non saranno più conteggiati i 4 anni di università e l'anno di militare.
Con questa serie di piccoli (e chiamiamoli piccoli) passi si è messo in moto un perverso meccanismo che, facendo leva sulla terrificante crisi in corso, punta di fatto all'ennesima generale controriforma pensionistica.
Le falle apertesi con il pessimo accordo del 23 luglio 2007, che già di per sé ed insieme alla sponsorizzazione sindacal-padronal-governativa dei Fondi pensione autorizzavano ulteriori manomissioni peggiorative del sistema previdenziale pubblico, sono diventate delle vere e proprie voragini con il procedere e l'acutizzarsi della crisi.
La crisi finanziaria prodotta dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime, partita negli Usa nell'estate 2007, propagatasi in Europa, è divenuta inarrestabile nell'estate 2008; dallo scorso autunno alla crisi finanziaria si è affiancata una micidiale crisi produttiva con il suo tragico corredo di cassintegrazione (in Italia a gennaio 2009 +606% rispetto a gennaio 2008, a febbraio 2009 +554% rispetto a febbraio 2008 e + 1000% nel settore metalmeccanico), licenziamenti (fra gennaio e febbraio 2009 oltre 350.000), fallimenti e chiusure aziendali, etc... Negli USA la disoccupazione è all'8,1%, nel solo febbraio scorso sono stati cancellati più di 600.000 posti di lavoro; nell'Unione Europea si prevedono altri 6 milioni di disoccupati entro il 2010; il Fondo Monetario Internazionale, dopo aver a gennaio previsto per il 2009 una crescita del prodotto mondiale dello 0,5%, il 10 marzo prevede crescita sotto zero (è la prima volta dopo il 1945).
A fine luglio 2008 usciva il cosiddetto libro verde di Sacconi, dal titolo involontariamente dadaista "La vita buona nella società attiva", che, con una certa non chalance, teorizzava un futuro fatto di fondi pensione e fondi sanitari, anticipando l'auspicio, dopo il 2013 (guarda caso appena va a regime la "riforma" varata il 23/7/2007), di un ennesimo innalzamento dell'età pensionabile e di altri passi in avanti verso lo smantellamento del sistema pensionistico pubblico e la privatizzazione del welfare.
Ma, nel giro di pochi mesi, la crisi diventa sempre più grave e la solita Confindustria comincia a suggerire provvedimenti sempre più "radicali". La voce dell'oracolo è affidata al solito "Il Sole 24 ore", che parte con una campagna ben architettata.
L'organo di Confindustria comincia in sordina, con opinioni in genere espresse sulle sue pagine interne da giornalisti esperti di economia.
Il 16 dicembre 2008 a pagina 16 è Stefano Micossi ad aprire le danze; in un articolo intitolato "Il rilancio? Partirà dal lavoro ", dopo un sommario che testualmente recita: "E' il momento di affrontare le debolezze strutturali: le rigidità delle condizioni d'impiego, le resistenze ad alzare l'età pensionabile, l'inefficienza della Pa", ad un certo punto il nostro dichiara perentoriamente: "Non c'è scampo: in un Paese in rapido invecchiamento, dobbiamo allungare l'età di pensionamento" per giungere ad una chiusura sinistramente chiarissima: "Le scelte impopolari vengono spesso rinviate quando le cose vanno bene, ma possono essere affrontate in condizioni di crisi, perché quello è il momento in cui i margini per i giochi opportunistici si riducono e l'interesse generale emerge più chiaramente. Spetta al Governo, che nasce con forti ambizioni riformatrici, mettere le carte in tavola con chiarezza davanti al Parlamento e all'opinione pubblica".
Quindi la crisi diventa potente motore di riforme impopolari ma necessarie, perché rappresentano l'interesse generale (di chi?), e che il Governo (rigorosamente con la maiuscola), che ha ambizioni riformatrici, deve portare avanti.
Negli ultimi mesi il governo, tramite Sacconi e/o Tremonti e lo stesso Berlusconi, ha sostenuto più volte che non si fanno riforme delle pensioni ogni due anni. Ma abbiamo imparato a diffidare delle smentite del cavaliere e dei suoi accoliti; anzi, più smentiscono e più dobbiamo preoccuparci. Sarebbe come credere a Bush che, alla vigilia della batosta elettorale, continuava a ripetere che le basi dell'economia USA erano più che solide.
Perciò "Il Sole 24 Ore" ha proseguito con la sua campagna sottotraccia, direi subliminale: con cadenza settimanale sono continuati ad uscire articoli che accennavano alla necessità di innalzare ancora l'età pensionabile, successivamente tali articoli hanno assunto evidenza sempre maggiore, fino a conquistare la prima pagina ed assurgere a rango di editoriali come quello del 14 febbraio 2009 di Fabrizio Galimberti dal titolo inequivocabile "Cautela sul debito, coraggio sulle pensioni" che così si conclude: "Ma il rischio vero che vale la pena di correre è quello di un negoziato fantasioso e coraggioso, che scambi uno stimolo "qui e subito" all'economia con una riforma del sistema pensionistico che valga a innalzare l'età effettiva (non quella legale) di pensionamento: un finanziamento lento ma sicuro di un esborso rapido e immediato". Qualche giorno dopo l'eterno falco di Confindustria, Bombassei, in un'audizione parlamentare sulla crisi economica, caldeggia la necessità di una nuova riforma delle pensioni.
E nelle ultime settimane è partita la campagna, in nome della parità, sull'innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per le donne, almeno per le dipendenti pubbliche, per ottemperare alle disposizioni dell'Unione Europea.
Cosa non si farebbe in nome della parità uomo/donna? Non fa nulla che in Italia il lavoro familiare non retribuito rappresenti il 32,9% del Pil, di cui il 23,4%, pari a 308 miliardi di euro (una cifra praticamele eguale al totale dell'ammortare delle retribuzioni del lavoro dipendente), sia opera delle donne; cosa sarà mai se le retribuzioni delle donne siano del 16% inferiori a quelle degli uomini o se nella provincia di Brescia (realtà ad alta concentrazione industriale e femminilizzazione della manodopera) tra i 147.282 percettori di assegni pensionistici inferiori ai 500 euro mensili il 77,50% sia costituito da donne? E quale importanza potrà mai avere il dato acclarato secondo cui le donne mediamente lavorino due ore al giorno in più degli uomini e che l'Italia sia agli ultimi posti in Europa nell'erogazione di servizi pubblici alla famiglia e alla persona?
Tranquille e tranquilli, ora ci pensa il "socialista" Brunetta a mettere le cose a posto, ha promesso che i 10 miliardi di euro risparmiati con l'elevamento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, saranno tutti reinvestiti per garantire occupazione, perequazione salariale e pensionistica, servizi alla persona a tutela ed emancipazione delle donne.
Ma che bravo quel Brunetta! Tra l'altro è riuscito nell'intento di far riavvicinare Bonanni ad Epifani. Già i giornali arrivano a scrivere che Cgil-Cisl-Uil alzeranno le barricate per fermare la nuova controriforma pensionistica. Ma è proprio così?
In realtà dopo tre giorni di dichiarazioni di fuoco, al quarto la vocazione pompieristica dei sindacati di stato torna a riemergere.
Epifani, il duro Epifani, si aggrappa al dato reale della floridezza dei conti dell'INPS (che nel 2008 ha registrato un avanzo di 11,2 miliardi di euro) per affermare che "Non è il momento per innalzare l'età. Non possiamo penalizzare le donne in fase di crisi. Dopo, se vogliamo, ci mettiamo intorno a un tavolo. Noi restiamo favorevoli al ripristino della flessibilità di uscita come c'era nella vecchia riforma Dini, che era stata poi superata dalla legge Maroni" ("il Manifesto" 10 marzo 2009).
Insomma il prode Guglielmo dice che non è il momento di penalizzare le donne, ma, passata la crisi, si può ragionare, ricorrendo alla flessibilità di uscita prevista dalla Dini.
Noi invece diciamo chiaro che l'innalzamento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche, preludio alla generalizzazione di tale elevamento anche a quellei private, è una barbarie sempre e comunque, contro cui bisogna fare muro a tutti i costi, crisi o non crisi.
Un'altra cosa che il buon Guglielmo dimentica di dire è che la volontarietà dell'età di pensionamento flessibile prevista dalla controriforma Dini è accompagnata da incentivi e disincentivi; cioè, se lasci prima il lavoro, sarai penalizzata economicamente, mentre sarai premiata se andrai in pensione più tardi; quindi la pretesa volontarietà va a farsi fottere.
Non basta che i conti dell'INPS siano in vistoso attivo, che già oggi tante dipendenti pubbliche (ed ancor più gli uomini) vadano in quiescenza oltre i 65 anni a causa di pensioni da fame; il problema non è l'aumento della spesa previdenziale che, per il nostro Paese, è inferiore alla media continentale, il problema è che in Italia si vive mediamente due anni in più che nel resto d'Europa!
Come al solito; la posta in gioco si va progressivamente allargando, padroni e governo puntano al colpo grosso, a far saltare il banco.
Dall'elevamento dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche si mira a passare ad un provvedimento analogo per le lavoratrici private; ma quindi perché fermarsi qui?
Quel che si prospetta ad una distanza di tempo molto ravvicinata è la cancellazione dello stesso istituto delle pensioni di anzianità, rimarrebbe esclusivamente il pensionamento per vecchiaia ad un'età compresa in una forchetta fra i 62 e i 67 anni per uomini e donne.
Ciò si potrebbe realizzare già a partire dal 2010 (se non addirittura prima, non ci è stato detto che provvedimenti impopolari è più facile prenderli in periodi di crisi?), per poi puntare rapidamente al pensionamento a 70 anni; è questo il sogno dei padroni. Svegliamoci prima che questo incubo si materializzi per le lavoratrici e i lavoratori!
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