I lavoratori precari sono stati già messi in mezzo alla strada a migliaia negli ultimi mesi, da un giorno all’altro senza un euro di entrata e senza prospettive; non figurano nemmeno nelle statistiche, perché non sono né licenziati né cassintegrati.
Per altre centinaia di migliaia di loro il rinnovo del contratto è a rischio nell’immediato futuro.
Venerdì 13 marzo è rimbalzata una roboante notizia: il governo ha raddoppiato l’indennità promessa, tra le misure anti-crisi, ai precari che perdono il lavoro. La propaganda dei media ha enfatizzato il termine “raddoppio”, adesso si può essere bencontenti, che cosa si pretenderebbe di più nella crisi?
L’una tantum tragicomicamente definita “indennità di reinserimento”, passata ora dal 10% al 20% della retribuzione dell’anno precedente, oltre a essere un’elemosina miserabile, ha regole così restrittive da contemplare sì e no un decimo dei precari attualmente privi di una qualsiasi forma di tutela.
Varrà solo per il lavoratore a progetto che abbia un unico committente, operante in un settore che venga dichiarato “area di crisi”, e a condizione che la retribuzione dell’anno precedente sia compresa tra 5000 e 13800 euro, con un minimo di tre e un massimo di dieci mesi di versamenti.
Il bonus del 20% sarà decurtato delle trattenute Inps e Inail, che porteranno via il 25%. Per esempio, a un precario con una retribuzione nel 2008 di 700-800 euro almese, che corrisponde più o meno alla media, spetterà, ad andar bene, un’indennità netta di 1000-1200 euro. Cifra che può bastare per sopravvivere quanto? un mese e mezzo, due mesi stringendo la cinghia? E dopo? alla fame, alla ricerca di un qualsiasi lavoro occasionale, accettando qualunque condizione.
Gli esclusi: non avranno diritto al bonus i precari che loro malgrado hanno dovuto aprire partita IVA come lavoratori autonomi, né i giovani che l’anno scorso non hanno raggiunto i 5000 euro e in buona parte dei casi hanno svolto mesi di stage non retribuito; sono esclusi i co.co.pro che hanno lavorato con più di un committente (situazione che è spesso la norma in certi settori come l’editoria); esclusi anche quelli che hanno lavorato senza interruzioni per tutto l’anno passato, raggiungendo magari i 14000 o 15000 euro. Intanto in pochi anni i lavoratori a progetto hanno versato 33 miliardi di contributi previdenziali e questi soldi sono nelle casse dell’Inps, dato non vengono utilizzati per pensioni ai precari.
È un ammortizzatore insufficiente, commentano i sindacati e i partiti d’opposizione. Un po’ temono che non basti ad ammortizzare la rabbia, un po’ tentano in qualche modo di salvare la faccia; gli stessi che a suo tempo hanno dato via libera all’istituzionalizzazione del precariato e offerto su un piatto d’argento per l’arricchimento dei padroni una manodopera tra le più “flessibili” immaginabili, oggi comunque non mettono certo in discussione che i precari si debbano accollare nella crisi ulteriori sacrifici, venendo schiacciati ancora più in basso.
Sono quattro milioni i lavoratori cosiddetti “atipici”, circa 500 mila nell’industria, di cui quasi 200 mila nell’industria metalmeccanica; 400 mila sono nel pubblico impiego, dei rimanenti la maggioranza è nei servizi. Se è vero che in questo momento si trovano nell’oggettiva difficoltà di resistere e rispondere colpo su colpo, è anche vero che le illusioni, già poche, stanno crollando una a una.
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