Siamo un paese in piena crisi. Di sovrapproduzione: l’INPS ha autorizzato 25,9 milioni di ore di cassa integrazione ordinaria contro le 3,9 milioni di ore dello stesso mese dell’anno scorso. In percentuale fa +553,17%. Di democrazia: ronde, attacco al diritto di sciopero, militarizzazione crescente delle città, accordi separati tra sindacati neocorporativi e padronato. Di Stato di Diritto: tentativo di calpestare una sentenza passata in giudicato (caso Englaro) attraverso circolari inibitorie interne e manipolazione per finalità neobonapartiste delle prerogative di spettanza parlamentare. Di opposizione parlamentare: aspettando il ritorno dei comunisti, il PD si è già palesato per quello che è sempre stato nelle intenzioni, ossia come l’altra faccia della stessa medaglia. CONTINUA CLICCANDO SUL TITOLO
Il Partito di Franceschini e D’Alema, della Binetti e di Marino, non può essere alternativo al centrodestra perché i suoi referenti sociali sono gli stessi del capobastone di Arcore: quei vasti strati della media ed alta borghesia che tra industrie, partecipazioni in asset finanziari e bancari, ha ricavato profitti e rendite dalla ricchezza prodotta da milioni di lavoratrici e lavoratori. Di laicità: sempre l’assenza dei comunisti rende evidente come sia sguarnito lo spazio di difesa dei più elementari diritti garantiti da un qualunque Stato cha ambisca a non essere considerato filoclericale. Il PD, crogiuolo di anime parasocialdemocratiche e cattolico-liberali, lascia libertà di scelta individuale ai suoi iscritti (e vorremmo pure vedere che non fosse così) ma si guarda bene dall’assumere, in quanto Partito, un’univoca posizione politica circa il “diritto a non essere curato” ovvero a poter sottoscrivere il cosiddetto “testamento biologico”. Va da sé che la fase storica che stiamo subendo come lavoratrici e lavoratori, donne e uomini, è criticamente variegata. Il lavoro che spetta ai comunisti è perciò su due fronti: di tenuta degli spazi democratici da un attacco frontale che punta alla fascistizzazione in salsa postmoderna di tutta la società e di avanguardia per ciò che concerne le rivendicazioni politiche e sociali dei produttori di ricchezza sociale, che rischiano, oltre ogni ragionevole dubbio e slogan, di pagare due volte la crisi (la prima da licenziati e la seconda con un’ulteriore compressione dei loro diritti sociali e civili). Rifondazione Comunista ha il dovere di farsi carico di entrambe le questioni contemporaneamente e di agire rapidamente e con chiarezza. E così, se è possibile un fronte ampio a sinistra per la tutela dei margini di diritto costituzionalmente garantiti a tutte/i le/i cittadine/i, è una verità e necessità storica che le esigenze di classe possono essere valorizzate soltanto attraverso l'azione politica e programmatica determinante dei comunisti in particolare e degli anticapitalisti in generale. Sotto entrambi gli aspetti la decisione presa dal Segretario Ferrero di rimettere in moto la macchina del partito attraverso una lista unitaria dei comunisti allargata alle esperienze sociali del blocco anticapitalista va in entrambe le direzioni (di tenuta sociale, economica e democratica prima ancora che di ripartenza antagonista). Ma non basta! E’ necessario inserire questo percorso dentro un processo (lento ma più ampio) di valorizzazione e di progressiva ricomposizione di PRC, PdCI e di tutto l’arcipelago di comuniste/i non collocati nelle due strutture politiche comuniste predominanti. In fondo è stato questo lo spirito con cui centinaia di compagne/i di Rifondazione, Comunisti Italiani ed altre/i ovunque collocati hanno promosso e sottoscritto l’appello Comunisti Uniti del 17 Aprile 2008. Parafrasando il Segretario Ferrero quando si esprime in relazione alle prossime scadenze elettorali: “a partire da Rifondazione”, senz’altro; ma per arrivare, possibilmente in tempi non biblici, ad un unico e grande partito comunista in Italia che sia molto di più della semplice somma di Rifondazione e PdCI.
Il Partito di Franceschini e D’Alema, della Binetti e di Marino, non può essere alternativo al centrodestra perché i suoi referenti sociali sono gli stessi del capobastone di Arcore: quei vasti strati della media ed alta borghesia che tra industrie, partecipazioni in asset finanziari e bancari, ha ricavato profitti e rendite dalla ricchezza prodotta da milioni di lavoratrici e lavoratori. Di laicità: sempre l’assenza dei comunisti rende evidente come sia sguarnito lo spazio di difesa dei più elementari diritti garantiti da un qualunque Stato cha ambisca a non essere considerato filoclericale. Il PD, crogiuolo di anime parasocialdemocratiche e cattolico-liberali, lascia libertà di scelta individuale ai suoi iscritti (e vorremmo pure vedere che non fosse così) ma si guarda bene dall’assumere, in quanto Partito, un’univoca posizione politica circa il “diritto a non essere curato” ovvero a poter sottoscrivere il cosiddetto “testamento biologico”. Va da sé che la fase storica che stiamo subendo come lavoratrici e lavoratori, donne e uomini, è criticamente variegata. Il lavoro che spetta ai comunisti è perciò su due fronti: di tenuta degli spazi democratici da un attacco frontale che punta alla fascistizzazione in salsa postmoderna di tutta la società e di avanguardia per ciò che concerne le rivendicazioni politiche e sociali dei produttori di ricchezza sociale, che rischiano, oltre ogni ragionevole dubbio e slogan, di pagare due volte la crisi (la prima da licenziati e la seconda con un’ulteriore compressione dei loro diritti sociali e civili). Rifondazione Comunista ha il dovere di farsi carico di entrambe le questioni contemporaneamente e di agire rapidamente e con chiarezza. E così, se è possibile un fronte ampio a sinistra per la tutela dei margini di diritto costituzionalmente garantiti a tutte/i le/i cittadine/i, è una verità e necessità storica che le esigenze di classe possono essere valorizzate soltanto attraverso l'azione politica e programmatica determinante dei comunisti in particolare e degli anticapitalisti in generale. Sotto entrambi gli aspetti la decisione presa dal Segretario Ferrero di rimettere in moto la macchina del partito attraverso una lista unitaria dei comunisti allargata alle esperienze sociali del blocco anticapitalista va in entrambe le direzioni (di tenuta sociale, economica e democratica prima ancora che di ripartenza antagonista). Ma non basta! E’ necessario inserire questo percorso dentro un processo (lento ma più ampio) di valorizzazione e di progressiva ricomposizione di PRC, PdCI e di tutto l’arcipelago di comuniste/i non collocati nelle due strutture politiche comuniste predominanti. In fondo è stato questo lo spirito con cui centinaia di compagne/i di Rifondazione, Comunisti Italiani ed altre/i ovunque collocati hanno promosso e sottoscritto l’appello Comunisti Uniti del 17 Aprile 2008. Parafrasando il Segretario Ferrero quando si esprime in relazione alle prossime scadenze elettorali: “a partire da Rifondazione”, senz’altro; ma per arrivare, possibilmente in tempi non biblici, ad un unico e grande partito comunista in Italia che sia molto di più della semplice somma di Rifondazione e PdCI.
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