Crimini contro l'umanità
Una sentenza storica e questa volta storica davvero. Alberto Fujimori, l'ex-presidente della repubblica del Perú fra il 1990 e il 2000, è stato condannato ieri a Lima dalla sezione penale della Corte suprema di giustizia a 25 anni di carcere per crimini contro i diritti umani. In specifico per essere il mandante, nella sua (vittoriosa) guerra sporca contro la sovversione di Sendero luminoso, di una squadra della morte dell'esercito - il gruppo Colina - responsabile per due massacri di oppositori nel '91 (15 morti) e '92 (10 morti) nel Barrios Altos e all'università La Cantuta di Lima.
In America latina, un continente difficile per fare i conti con il proprio passato, è la prima volta che un (ex) presidente se non democratico almeno democraticamente eletto è finito sotto processo e condannato nel suo stesso paese per violazione dei diritti umani.In Cile Pinochet non è stato mai processato e condannato; in Argentina, prima che l'arrivo di Nestor Kirchner nel 2003 riaprisse i giochi, i capi delle giunte militari golpiste furono processati nell'85 ma solo perché il loro regime era crollato su se stesso e loro erano degli sconfitti; in Uruguay l'impunità ha cominciato a scalfirsi solo adesso e anche lì contro ex dittatori militari e civili; in Brasile, il paese che ha fatto di meno (anzi niente) i conti col suo passato di dittatura e repressione, niente di niente, e i militari continuano ogni anno a festeggiare in faccia a Lula il 31 marzo, la data del golpe del '64; in Paraguay Stroessner è morto nel suo dorato esilio di Brasilia; in Messico l'ex presidente Echavarria, ministro degli interni e quindi responsabile della strage degli studenti nella piazza di Tlatelolco a Città del Messico nel '68, è stato appena prosciolto da oni responsabilità. Quindi la sentenza di Lima diventa un caso che va molrto oltre le frontiere del Perú e forse anche dell'America latina.
Fujimori ha pagato i conti per le sue malefatte (almeno alcune). I giudici, dopo un processo trasmesso in diretta tv, durato 15 mesi, 150 udienze e 80 testimoni, l'hanno riconosciuto colpevole di reati - «provati al di là di ogni ragionevole dubbio». Reati parte di una strategia di governo che aveva nel capo dei servizi segreti Vladimir Montesinos (già condannato e in carcere) il suo esecutore e nel presidente della repubblica Alberto Fujimori il suo mandante. Lui naturalmente lo nega e prima della sentenza ha detto che le accuse, oltre che false, erano mosse «per ragioni politiche e per vendetta». Non è escluso, naturalmente, che ci fossero delle componenti politiche o di vendetta. Ma è innegabile che quelle accuse fossero vere e provate.
Fujimori aveva costruito la sua fama sulla guerra sporca che aveva liberato il paese dal Sendero luminoso di Abimael Guzman e sul liberismo selvaggio che aveva fatto del Perú (a costi sociali spaventosi) una star nel panorama degli anni '90. Prima di esagerare, ostinandosi a presentarsi per un terzo mandato, e quindi di diventare ingombrante per i suoi sponsor, era assurto all'empireo di quei tempi (come l'argentino Menem, il boliviano Sanchez de Lozada e altri che hanno fatto una brutta fine ma non tanto brutta, finora, come la sua).
Qualsiasi mezzo era buono. Compiuta l'opera, scaricato dagli amici internazionali, nel novembre del 2000 Fujimori scappò nel Giappone dei suoi padri (di cui, violando la costituzione peruviana, aveva mantenuto in segreto la nazionalità), nel novembre del 2005 cercò di tornare in patria passando per il Cile, ma fu arrestato dai cileni che non volevano storie con i peruviani (ne hanno già abbastanza per via dei confini marittimi contesi) e nel settembre del 2007 fu infine estradato in Perú. Credeva che la sua popolarità fosse ancora sufficiente a fargli riprendere la presidenza perduta. In effetti la popolarità dell'uomo che «salvò il paese dalla sovversione e dal disastro economico» non era - e non è - trascurabile. 13 deputati fujimoristi siedono in parlamento (alleati del presidente Alan Garcia...) fra cui anche sua figlia Keiko che intende presentarsi alle presidenziali del 2011. In nome del padre e per liberarlo. Si vedrà. Intanto è stato condannato e la sua condanna se la deve tenere stretta.
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