Il presidente Barak Obama batte i pugni: "Non vogliamo, non possiamo e non lasceremo scomparire l'industria automobilistica americana". E' categorico l’inquilino della Casa Bianca nell'annunciare che il suo governo non accoglie i piani di rilancio presentati dalle grandi compagnie che "non si stanno muovendo nella giusta direzione".
È dunque tempo di terremoti a catena nel mondo dell'auto: mentre Rick Wagoner, presidente e amministratore delegato della General Motors, si è dimesso dopo le critiche del presidente Usa, in Francia è stato estromesso Christian Streiff, presidente del comitato di sorveglianza di Peugeot-Citroen. A ciò si aggiunga che, se entro trenta giorni non sarà raggiunto un accordo con la Fiat, il governo americano lascerà che anche la Daimler-Chrysler fallisca. Immediati i contraccolpi dei titoli automobilistici nelle Borse mondiali: Renault -6%, Peugeot -5,6%, Daimler -5,1%, Fiat -9,1%. Ancora peggiore, se possibile, la reazione di Wall Street: in apertura di contrattazioni il titolo GM apriva in calo del 29,83%, per poi limitare le perdite a quota 25,97%.
Assicurando di non voler veder "svanire" l'industria automobilistica in profonda crisi, il presidente americano ha però affermato l’impossibilità di “continuare a perdonare le decisioni sbagliate" della sua dirigenza. "Non possiamo subordinare la sopravvivenza della nostra industria automobilistica ad un flusso senza fine dei soldi dei contribuenti", ha detto ancora il presidente Usa che, in apertura del suo discorso, ha ricordato le principali vittime di questa situazione: gli operai del settore che continuano a perdere posti di lavoro nonostante "lavorino in modo indefesso”.
Questo infatti rappresenta il vero dramma che si continuerà a consumare nell’industria automobilistica a stelle e strisce. Se quella che il presidente vuole è una rivoluzione verde nel segno della sostenibilità, appare evidente che General Motors e Chrysler hanno bisogno di un nuovo inizio. Il metodo seguito può, tuttavia, produrre esiti assai diversi: ''So che davanti alla parola bancarotta la reazione della gente può essere di choc - ha aggiunto Obama - ma io intendo usare le nostre leggi esistenti come uno strumento che, insieme al supporto del governo americano, può rendere più semplice per General Motors e Chrysler'' superare i vecchi debiti e risollevarsi per poi tornare al successo.
È tuttavia un peccato che questo genere di choc sia generalmente sopportato da tutti quei lavoratori salariati colpevoli solo di seguire troppo fedelmente gli ordini della dirigenza. Le difficoltà che affronta l’industria dell’auto, in America come nel resto del mondo, sono dovute infatti in gran parte, alla debolezza dell’economia, ma anche dall’incapacità dei manager di Detroit di produrre un’auto degna del nuovo millennio.
Nel suo discorso, Obama ha dato un vero ultimatum alle compagnie automobilistiche: 60 giorni alla General Motors per presentare un nuovo piano di ristrutturazione, stringendo accordi con creditori e sindacati ai quali il presidente ha chiesto "dolorose concessioni”. Lo stesso presidente ha poi dato 30 giorni alla Chrysler per concludere l'accordo con Fiat, sottolineando che se le due compagnie avranno successo il governo valuterà "la concessione di 6 miliardi di dollari per aiutare il loro piano". Se GM è in piena crisi la Chrysler forse sta, infatti, anche peggio: accordo con Fiat entro un mese o liquidazione.
Responsabili dell’amministrazione statunitense, secondo la stampa americana, ritengono che la Chrysler non può funzionare come una compagnia indipendente nella situazione attuale. La proposta di alleanza fra le due società prevede che la Fiat rilevi il 35% di Chrysler in cambio dell'accesso alla propria tecnologia. Entro un mese, inoltre, Chrysler dovrà raggiungere accordi per tagliare ulteriormente il proprio debito. Parafrasando Bizio, “o fusione o morte”.
"Negli ultimi tempi la Chrysler ha individuato un potenziale partner, la compagnia automobilistica internazionale Fiat" ha spiegato Obama, sottolineando come la compagnia sia "pronta a trasferire la sua tecnologia di punta alla Chrysler e, dopo aver lavorato a stretto contatto con il mio team, si è impegnata a costruire nuove auto e basso consumo qui in America". Tre ore dopo il discorso di Obama, arriva puntuale l'annuncio del Ceo di Chrysler, Bob Nardelli: la Fiat ha raggiunto un accordo di massima su una nuova partnership con la casa automobilistica statunitense. Secondo il gruppo Usa, Fiat "rafforza la capacità del gruppo Chrysler di creare e preservare posti di lavoro negli Usa". Della serie: pecunia non olet.
Da parte sua, l'Ad della Fiat, Sergio Marchionne, ha ringraziato ''pubblicamente il Presidente Obama a nome di tutto il management del Gruppo Fiat ed ha precisato che i colloqui con la Task Force del presidente Obama “sono stati serrati ma leali”. Il compito di GM e Chrysler è dunque quello di elaborare nuovi piani che siano in grado di offrire al popolo americano la fiducia necessaria. Va infatti ricordato che l'amministrazione Bush lo scorso anno aveva già approvato un bail out di 17 miliardi di dollari per l'industria automobilistica, 13,5 alla Gm e 4 alla Chrysler.
Da qui l’esigenza - secondo la Casa Bianca - di una linea dura contro una politica di immotivati interventi pubblici nell’economia. ”Fatemi essere chiaro, il governo americano non ha alcun interesse o intenzione di guidare la GM - ha detto Obama - quello che ci interessa è dare alla GM l'opportunità di fare quei cambiamenti estremamente necessari per farla uscire dalla crisi più forte e competitiva".
Chiarezza questa che sa di presa in giro. Non si capisce e non si capirà mai, infatti, il perché quando è una banca a dover fallire, magari per aver tenuto condotte iperspeculative, arriva immediato l’intervento della Federal Reserve, prontissima a stampare un mucchio di carta straccia, mentre il governo si dice solo dispiaciuto davanti a “buoni uscita” quantitativamente e moralmente incomprensibili. Se, invece, ad aver bisogno di aiuto è un settore che con l’indotto dà lavoro a quasi quattro milioni di posti di lavoro, come quello dell’auto, di pronto c’é solo il dito indice alzato e tante parole fuorvianti e tardive.
Se vi fosse stato vero interesse per l’industria dell’auto, oggi non ricorderemmo più neanche il rumore delle macchine con motore a scoppio, avendo il brevetto del motore elettrico quasi un quarto di secolo. Cambiare era possibile e dunque doveroso. Se siamo arrivati qui è solo perché in America il Presidente ha si l’ultima parola, ma solo quella. C’è qualcosa di molto più grande dietro al trono del re.
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