venerdì 10 aprile 2009

Moby Prince, 18 anni di insabbiamenti: "strage non incidente"



Moby Prince - "Il porto delle nebbie" Prima parte



Le altre parti del documentario: 2, 3, 4, 5, 6, 7

Moby Prince, dietro il naufragio traffico d'armi e scorie nucleari?

Personaggi e episodi oscuri in ordie di apparizione: Marcello Giannoni, faccendiere livornese in rapporto con la Somalia. Guido Garelli, animatore del progetto Urano (traffico internazionale di armi e scorie nucleari). Giampiero del Gamba, ex segretario livornese DC, iscritto alla P2. Moussa Bogor, sultano di Bosaso, l'ultima persona intervistata da Ilaria Alpi. Un progetto di smaltimento di rifiuti speciali tra Garelli, la Snam, i ministeri Ambiente e Trasporti. Una strana coincidenza di sedi a via Fauro. Una nave della compagnia di pesca italo-somala Shifco, carica di materiale molto diverso dal pesce, comparsa come un fantasma quella notte a Livorno. Sul Moby Prince un'esplosione di T4, lo stesso materiale delle bombe di mafia del 1993....

Una inspiegabile collisione nel porto di Livorno, e poi l'incendio che costò la vita a 140 tra passeggeri ed equipaggio del traghetto Navarma. Da allora sono trascorsi 18 anni: di silenzi, misteri e depistaggi. Ma a scavare nelle istruttorie saltano fuori nomi e coincidenze
di Luigi Grimaldi
Livorno 10 aprile 1991. E' la notte della strage dei 140. I passeggeri e l'equipaggio del traghetto Navarma Moby Prince avvolto dalle fiamme dopo una tuttora inspiegabile collisione con una petroliera della Snam, l'Agip Abruzzo. Tutto si compie nelle prime ore della sera. 18 anni di silenzi e di menzogne in cui è affogata ogni possibile verità sul più grave disastro della marina mercantile italiana del dopoguerra.
Livorno, un grande porto, il polmone che dà ossigeno all'economia di un'intera città. Navi che vanno e vengono. Porta containers, petroliere, traghetti, Ro-ro, ma anche rifornimenti, da e per, la base Usa di Camp Darby. 10 Aprile '91, 140 morti, autorità portuali che da subito e per anni hanno raccontato di una fittissima nebbia che non c'era: il preludio ad una teoria infinita di depistaggi e ostacoli alle indagini.
Da due anni l'inchiesta è stata riaperta da un pool di magistrati livornesi. Indagini complesse, avvolte nel massimo della riservatezza, quasi in segreto, perché in un caso come questo l'ombra del depistaggio, dell'inquinamento, sembra essere sempre in agguato.
Già, perché mentre si compie la tragedia del Moby il mare di Livorno pullula di navi da carico americane stipate di armi e munizioni (vedi l'intervista all'avvocato Carlo Palermo qui a fianco), le radio non funzionano e i radar vengono oscurati. Sullo stato delle indagini non trapela nulla. E allora per raccontare questa storia dobbiamo fare da soli scavando nelle rotte delle navi dei misteri e in vecchie risultanze istruttorie con cui si può comporre un puzzle, un'ipotesi che disegna uno scenario che un senso, agghiacciante, sembra averlo.

Affari e faccendieri
Ma andiamo con ordine, cominciando con un nome. Marcello Giannoni.
Giannoni era, è deceduto qualche anno fa, un faccendiere livornese impegnato in traffici con la Somalia, dove, nei primissimi mesi del 1991, si reca per "acquistare" una innocente licenza di pesca nelle acque di un paese distrutto da una sanguinosa guerra civile. Così Giannoni entra in contatto con il neo presidente somalo (autonominato) Alì Mahdi. In questa trasferta lo accompagnano due interessanti personaggi.
Li chiama in causa Giannoni in un interrogatorio dell' 8 aprile 1999: «lo sono stato in Somalia nel 1991 assieme ai sig. Enzo Magri, Gianpiero Del Gamba e Awes Nur Osman (rappresentante commerciale della Somalia Livorno nda ) abbiamo acquistato una concessione di pesca per 40mila dollari… La concessione di pesca era globale su tutta la costa, tanto che una volta vennero le barche a remi del Sultano di Bosaso per farci allontanare. Il pescato l'abbiamo portato in Italia e scaricato a Gaeta».

L'ombra della P2
Ma in alcune indagini del pm romano Franco Ionta, è emerso che Giampiero Del Gamba sarebbe stato in relazione con tale Guido Garelli, l'animatore di una organizzazione dedita al traffico internazionale di armi e scorie nucleari: il Progetto Urano. Secondo quanto riferito nel 2004 dal governo al Parlamento "Urano" è «finalizzato all'illecito smaltimento, in alcune aree del Sahara, di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti dai Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di Governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia..». Insomma va detto: secondo una denuncia pubblica di Greenpeace International i traffici di Giorgio Comerio vanno riferiti alla società Odm la cui sede a Londra era nello studio dell'avvocato David Mills, da poco condannato per essersi fatto corrompere da Silvio Berlusconi (anche lui ex piduista) testimoniando il falso davanti ai giudici milanesi che indagavano sui passaggi di denaro da Berlusconi a Bettino Craxi.
Garelli, scrive la Digos, «nella metà degli anni Ottanta entrò in contatto con qualche elemento già iscritto alla Loggia P2 di Licio Gelli e precisamente Giampiero Del Gamba e Elio Sacchetto (uno dei protagonisti del progetto Urano, nda )». Chi è Del Gamba? Scrivono gli investigatori: «già segretario provinciale della Dc (livornese) fu costretto a dimettersi a causa del ritrovamento del suo nome negli elenchi della loggia massonica P2. Nel 1982 venne arrestato a Bologna in quanto sospettato di traffico d'armi e scarcerato dopo 40 giorni. Nel luglio del 1983 venne nuovamente tratto in arresto dalla Guardia di Finanza di Livorno per contrabbando di valuta. Il 3 agosto 1990 si è recato a Villa Wanda, residenza di Licio Gelli».
Si tratta evidentemente di fatti contemporanei, precedenti o di poco successivi al disastro del 10 aprile 91 che rappresentano, pur non risultando seguiti penali, una premessa necessaria a dare il giusto valore alla confessione resa da Giannoni agli inquirenti.

La confessione di Giannoni
Giannoni parte dal nome di un personaggio di primissimo piano: Moussa Bogor, il sultano di Bosaso, l'ultima persona intervistata da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviati del Tg3, prima del loro assassinio a Mogadiscio il 20 marzo 1994, (mentre indagavano sulla flotta da pesca Italo-somala Shifco).
«…il Sultano di Bosaso ha detto alcune verità in merito allo smaltimento di rifiuti industriali e radioattivi che sono stati seppelliti in Somalia [...]che tali rifiuti provenivano da Milano. - ha dettato a verbale Giannoni - Molti rifiuti sono terre di fonderia e polveri tossiche di abbattimento fumi, che sono state esportate in Somalia con la funzione di essere utilizzate anche per mascherare lo smaltimento anche di rifiuti radioattivi, detto "check" che è un misto derivante dalla lavorazione dell'uranio detto "dolce giallo" (uranio U-3O8 in gergo "yellow cake" nda ). Tale materiale è stato miscelato in Italia con terre di fonderia provenienti da varie ferriere in Italia… ». «Nel mio progetto in Somalia», aveva aggiunto Giannoni, «doveva essere partecipe un uomo politico ex Psi di Milano, di cui ora non ricordo il nome e che mi riservo di dire. Tale persona aveva il compito di portare nelle casse i proventi in denaro derivanti dallo smaltimento dei rifiuti tossici provenienti dalle fonderie».
Il fatto è che un altro dei protagonisti del progetto Urano, il braccio destro di Guido Garelli, ha in pratica descritto la medesima attività, alla autorità giudiziaria di Asti, facendo qualche rivelazione che getta un po' di luce sulla tragedia del Moby Prince: «Ricordo che io accompagnai Guido Garelli presso la base Nato di Livorno e lo stesso venne ricevuto senza nessun tipo di controllo e nessun lasciapassare, e dal suo comportamento mi sembrava persona conosciuta e avvezza a trattare in certi ambienti militari, sia americani che italiani».

Gli affari con la Snam
«Nel 1990-'91 con il progetto Urano, già in essere come Ats (sigla dell'organizzazione di Garelli nda ), mi sono occupato (…) con la compartecipazione della Snam, ministero dell'Ambiente e con il ministero dei Trasporti, si era trovata la formula legale per smaltire i rifiuti quali terre di fonderia, ceneri leggere e altri rifiuti del genere, classificati all'epoca speciali, impiantando uno stabilimento per lo smaltimento a Ceuta (enclave spagnola in Marocco nda ). Tale progetto poi non ebbe seguito (…). L'accordo di massima era in questi termini: (…) la Snam avrebbe dato alla nuova società l'automazione e la tecnologia per rendere inerti i rifiuti speciali inviati a Ceuta per la trasformazione in mattonelle per la pavimentazione stradale». Insomma, sembra la filiera descritta da Giannoni ma con la partnership tra Guido Garelli e la Snam: la compagnia armatoriale della petroliera contro cui va a cozzare il Moby. Clamoroso. Anche perché non sembrerebbe così scontato che il progetto sia rimasto sulla carta.
Giannoni e il braccio destro di Garelli parlano nel 1999. E lo fa anche, il 15 dicembre 1998, Ezio Scaglione, console di Somalia in Italia, massone, già membro della segreteria dell'onorevole Boniver del Psi (oggi nel Pdl) e associato a Garelli nel progetto Urano in Somalia, davanti alla Polizia giudiziaria di Asti: «In merito al progetto Urano [...] aggiungo [...] che si trattava di rifiuti tossico-nocivi e, a mia domanda al Garelli, lo stesso mi disse che si trattava anche di rifiuti radioattivi».

Gli affari di via Fauro
Gli affari somali di Giannoni, in base ad una clamorosa denuncia dell'Agenzia per l'ambiente delle Nazioni Unite, vanno riferiti a una società romana posta di fronte al punto dell'attentato del 14 maggio 1993, in Via Fauro. Una società finanziaria la cui sede legale si trovava nella stessa via, qualche portone più avanti, allo stesso indirizzo di un'altra finanziaria la cui sede secondaria era, all'epoca, a Napoli, allo stesso indirizzo dell'armatore del Moby Prince. Snam e Moby Prince. Saranno ben coincidenze ma non sfugge a nessuno che si tratta degli stessi protagonisti della tragica collisione livornese legati da un filo sottile che da Livorno sembra passare dalla Somalia.
Non è tutto. Il Sultano di Bosaso ha testimoniato di aver riferito nell'intervista rilasciata a Ilaria Alpi di uno sbarco di armi a Chisimaio effettuato da una nave, della compagnia italo-somala di pesca Shifco, a «marzo-aprile del 1991». Insomma poco prima o poco dopo la tragica collisione di Livorno.
Il riferimento è interessante perché l'unica nave "spola" tra l'Italia e la Somalia, di proprietà di questa compagnia, è la "XXI Ottobre II", una nave presente a Livorno la sera del 10 aprile 1991. In occasione dello sbarco a Chisimaio, ha dichiarato il Bogor, «noi domandammo nuovamente se la nave da cui era stato sbarcato il materiale militare e da cui si stava scaricando il combustibile fosse una nave della Shifco, e ci fu confermato che si trattava appunto di una nave di tale società». Ed è accertato che tra le tante qualità della XXI Ottobre II c'è anche quella di essere una nave in grado di trasportare combustibile, originariamente destinato al rifornimento in mare delle navi da pesca oceaniche. Un dettaglio che getta nuova luce su una misteriosa "manichetta" trovata dai pompieri, dopo il disasto, allacciata a una delle cisterne della petroliera Snam come se il disastro avesse interrotto bruscamente una operazione di travaso.

La nave dei misteri
Armi e combustibile quindi. Materiali presenti entrambi in grande abbondanza nel porto di Livorno la notte del 10 Aprile 1991, dove è ormeggiata, già da alcuni giorni, al molo Magnale, proprio la nave Shifco XXI Ottobre II. Un molo di fronte al quale vivono i coniugi Pietro La Fata e Susanna Bonomi. Lui è un ufficiale della Capitaneria di porto. Susanna Bonomi ne è sicura: la notte del 10 aprile su quel molo è accaduto qualcosa. Aveva visto l'area sgombra prima di tirare giù le serrande. La mattina dopo, invece, in quel punto del molo Magnale c'è una barca, circa 70-80 metri di lunghezza: «Io tiravo giù la serranda e non c'era niente perché vedevo, stavo di fronte alla banchina e non c'erano navi», ha riferito. «La mattina feci l'operazione inversa. La mattina c'era una nave». Ed esiste una sola nave con queste caratteristiche ormeggiata in quella zona del porto: appunto la XXI Ottobre II.

Containers di T4
Il marinaio somalo Mohamed Samatar, ex timoniere della XXI Ottobre II, ha messo a verbale, durante un interrogatorio reso ai carabinieri di Latina, di essere stato sino al 23 marzo 1991 il timoniere della nave Shifco e di aver assistito all'imbarco di diversi containers con la scritta "Esplosivo".
Nella sua deposizione Samatar ha sostenuto che i containers di esplosivo sarebbero stati caricati a Tripoli sulla XXI Ottobre II e sbarcati a Beirut nel gennaio del 1991 con la supervisione di un tal "Mancinelli": «Ora questo viaggio noi l'abbiamo un po' studiato con degli Ufficiali di marina di Gaeta», ha deposto il Capitano Sottili, della Compagnia Carabinieri di Gaeta, «perché non risulta da nessuna parte che questa nave abbia toccato questi porti (Tripoli e Beirut, nda ), però non risulterebbe comunque, perché la nave non sarebbe entrata nei porti, sarebbe rimasta fuori (utilizzando delle chiatte per scaricare, nda )».
I Carabinieri hanno anche scoperto che Florindo Mancinelli, uno degli amministratori italiani della flotta Shifco (che potrebbe essere la persona indicata da Samatar), all'epoca era stabilmente ospite dell'albergo Ariston di Formia e aveva lasciato quel centro il 9 gennaio 1991, facendovi ritorno solo il 4 marzo. La XXI Ottobre II avrebbe lasciato Formia proprio il 9 gennaio (il giorno in cui Mancinelli avrebbe lasciato il suo hotel a Formia) per arrivare a Suez il 16 gennaio e tornare infine a Gaeta proprio il 4 marzo (il giorno in cui ricompare a Formia Mancinelli). Dopodichè la XXI Ottobre II riparte per arrivare, il 15 marzo successivo, a Livorno da dove non risulterebbe si sia più mossa fino alla sera del 10 aprile.

La bomba sul traghetto
Rivelazioni potenzialmente esplosive e insondate se si pensa alla possibilità che armi, o esplosivi, siano stati trasportati dalla Somalia verso altre destinazioni, tra cui l'Italia, nei primi mesi del 1991. Una prospettiva agghiacciante perché la notte del disastro sul Moby Prince è esplosa una bomba. Una bomba, secondo il perito del pm, costituita da T4 e pentrite ma, che, per dimensioni, non avrebbe potuto provocare la collisione. Una bomba comunque potente (ha distrutto un camion) e costruita con gli stessi componenti delle bombe utilizzate due anni più tardi per le stragi di mafia del 1993 a Milano, Firenze e Roma: una stagione di attentati inaugurata con l'esplosione di via Fauro. Troppe coincidenze inspiegate e inspiegabili. Fantascienza ? Forse no. Un giudice della Procura di Ginevra, Laurent-Kaspar Anserment, ed un parlamentare argentino, Franco Caviglia, hanno in due diverse vicende sostenuto che proprio tra la fine del 1990 e i primi mesi del 1991 sarebbe stato messo in circolazione un enorme carico di T4 che dalla Spagna, attraverso una serie di triangolazioni, sarebbe arrivato in Medio Oriente per essere poi diviso in diversi lotti. Esplosivo trattato da trafficanti internazionali, ben noti anche in Italia, legati a personaggi dei servizi segreti polacchi (Wsi), già coinvolti nello scandalo Cia-Iran-Contras e collegati finanziariamente al clan mafioso dei Santapaola. Insomma la sensazione è che di gente potente interessata a che non si faccia luce su questa tragedia, in giro, ce n'è ancora tanta.

di Lucio Baoprati
Da 18 anni ormai, a Livorno, la giornata del 10 Aprile è scandita da una serie di cerimoniali pubblici, tanto dovuti, quanto formali, per commemorare le vittime di quella che è passata alla storia come una della più grandi tragedie italiane del mare: il rogo del traghetto Moby Prince, dove persero la vita 140 persone. Quella del 10 aprile è una data importante da ricordare e ognuno dovrebbe sentire come proprio il senso di ingiustizia che la vicenda processuale, oltre all’immenso dolore dei familiari delle vittime, porta con se. Come in ogni Strage che si rispetti, soprattutto in Italia, la perdita di amici, familiari, o semplici conoscenti, non è mai “consolata” dall’individuazione dei responsabili. E quella del Moby Prince non fa eccezione: l’abbiamo scritto più volte. Non c’è mai un colpevole, tutto sembra trovare senso nella fatalità. Le cose accadono per caso; e quando il caso proprio non basta, la responsabilità si cerca nell’errore umano. Che guarda caso è sempre l’errore di un lavoratore, di uno di quelli che formano l’ultima ruota del carro.
Quest’anno, il caso (questa volta si, c’entra), ha voluto che il 18° anniversario della tragedia del Moby Prince, coincida con la giornata di lutto nazionale per le vittime del terremoto che nei giorni scorsi ha sconvolto L’Aquila ed altri centri limitrofi dell’Abruzzo. Al momento in cui sto scrivendo, il bilancio è di 281 morti. La rabbia, la disperazione, il lutto di chi è stato colpito, nelle cose, come negli affetti, da giorni, insieme ad un’insostenibile livello di inevitabile retorica, transita di casa in casa, attraverso le immagini della Tv come del Web. «Nessuno è senza colpa», è il monito lanciato oggi dal Presidente Napolitano. Il fatto è clamoroso, e clamoroso dunque deve essere anche il commento istituzionale. Ma non è la prima volta che le istituzioni, alte cariche dello stato comprese, all’indomani di una tragedia di questa portata (a nessuno sfugge che 100 morti in un giorno facciano molta più impressione di 100 morti in 100 giorni: anche se a morire alla fine sono comunque in 100), si lanciano in promesse e proclami, per accertare, qualora se ne riscontri l’ipotesi, le responsabilità, e dunque garantire verità e giustizia: alle vittime, ai propri cari, e al paese intero, che si deve sentire giustamente coinvolto.
Ma passata l’emergenza, passata la settimana di passione e di dolore, tutto sembra tornare come prima. La tensione si allenta ed il grande pubblico tende a dimenticare come sia andata a finire la storia: se poi le case le hanno ricostruite, se poi hanno trovato i documenti del famoso Ospedale o della Casa dello Studente, se poi è stato individuato chi ha fatto la cresta sui capitolati d’appalto tagliando sulla qualità dei materiali da costruzione, se poi è stato accertato che chi doveva controllare, ha chiuso un occhio in cambio di mazzette… Così come la gente a Livorno e non solo, ha smesso di chiedersi, quali e quante navi erano in rada quella tragica sera del 10 aprile del 1991, del perché da terra non ci si accorse subito dell’incendio, del perché i soccorsi furono così mal coordinati, del perché a bordo non funzionavano bene le apparecchiature di sicurezza, se era vero o meno che quella nave era potenzialmente pericolosa e che non avrebbe dovuto navigare, se davvero chi doveva controllare le condizioni della nave non l’abbia invece fatto.
Le solite domande insolute, le solite domande dimenticate. Chiaro, ogni caso è sempre diverso l’uno dall’altro, ogni Strage, ogni tragedia ha le sue specificità: un incidente non è un terremoto, così come un incendio in una fonderia, non è un crollo di un palazzo, ed un aereo che esplode in volo, non è una bomba che esplode in una stazione di treni. Ma è anche vero che vicende apparentemente distanti le une alle altre, trovano nella categoria di persone morte, una sorte di minimo comune denominatore. Sono tutti civili, sono tutti innocenti. Sono quasi sempre tutti e tutte persone normali. E comunque quasi mai responsabili (ad eccezion fatta probabilmente di molti dei morti nelle cosiddette stragi del sabato sera) diretti della propria morte.
E senza voler fare una statistica precisa, ma piuttosto sollevare una riflessione collettiva, molte di queste morti potevano essere evitate. Già perché a scavare, in molti casi, la gente muore per inadempienze o scelte altrui: ora un mancato controllo, ora una mancata verifica, ora un lucido calcolo di un imprenditore che accetta il rischio di un incidente di fronte all’ipotesi di una maggiore profitto: che mette in conto, oltre allo sfruttamento, la stessa morte degli individui.
Fa poca differenza se l’imprenditore sia un costruttore, un armatore di navi, o un padrone tedesco di un’acciaieria. La logica è sempre la stessa: profitto a tutti i costi. Come? Esistono anche gli imprenditori con il senso etico? Certo, chi lo nega. Ma una rondine non ha mai fatto primavera, così come una bella giornata di sole non ha mai fatto una stagione.
Prima c’era la lotta di classe e c’erano le guerre civili (e forse in molti luoghi, ci sono ancora): ora sembra che queste due tipologie di conflitto siano state condensate e riunite in un conflitto tanto violento e letale quanto negato e taciuto: una permanente guerra ai civili. Una guerra silenziosa condotta contro cittadini e lavoratori, nel nome della ragion di Stato e del profitto del Capitale. Parole vecchie? Forse. Ma se vi guardate intorno, e vi guardate allo specchio, riscoprirete il loro carico di verità.

Moby Prince: "strage non incidente"
A 18 anni dalla strage, il Presidente del Comitato "Moby Prince 140" fa il punto della situazione tra depistaggi e verità nascoste (da www.pisanotizie.it)
Una notte di primavera del 1991, il 10 aprile di diciotto anni fa, 140 persone muoiono al largo del porto di Livorno dopo l'incendio del traghetto "Moby Prince". L'ennesimo brandello di memoria nazionale, un'altra strage dai contorni indefiniti, altre vittime di un carnefice rimasto ancora senza nome. Anche se il numero dei morti, e così la tragica dinamica che ne ha contraddistinto l'emergenza, sono di una rilevanza angosciante, il caso del Moby Prince soffre ancora di una sua "secondarietà", quasi la dimensione della strage non sia stata ancora ufficializzata, accettata. Esiste un lungo elenco di misteri italiani che non hanno goduto, ancora oggi, di alcuna soluzione. Il caso del Moby Prince è uno di questi, senza possibilità di replica.
Loris Rispoli è il Presidente del comitato "Moby Prince 140". Al telefono ha la voce vagamente tesa, probabilmente solo stanca. L'approssimarsi dell'anniversario che da diciotto anni scandisce la vita di molti deve rappresentare un momento di assoluto coinvolgimento. È chiaro nell'esposizione: le sue sono ragioni ponderate negli anni con l'attenzione di chi sta costruendo, tappa dopo tappa, un percorso di verità e giustizia là dove, forse, sono mancate entrambe.
A che punto è la situazione processuale?
Attualmente i processi si sono tutti conclusi. La magistratura livornese insieme all'avvocato Palermo ha aperto un'inchiesta circa la presenza di navi americane e di un eventuale traffico d'armi nella notte della strage. Dovrebbero arrivare le conclusioni entro l'estate.
Questo nuovo, necessario passaggio sta facendo emergere nuovi elementi? Qual è il suo parere in merito?
Sono convinto che l'alleato americano sia in possesso di foto, tracciati radar e altro riguardanti la notte del 1991. Non si dimentichino le cinque navi americane che trasportavano armi dalla Guerra del Golfo verso Camp Darby. È evidente che quella notte qualcuno ha visto e che esistano dunque concrete documentazioni. Abbiamo scritto al Presidente della Repubblica perché si faccia nostro portavoce presso il nuovo presidente degli Stati Uniti nell'auspicio che possa consentire la riapertura delle indagini, anche in virtù di questa documentazione. Dopo quasi vent'anni, siamo ancora qui a chiederci: quali sono state le modalità della collisione tra il Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo? In verità, solo il dopo è molto chiaro. Abbiamo un traghetto in collisione con una petroliera ferma che si è disincagliato perché questa si è messa in moto, causando la fatale fuoriuscita di petrolio e così l'incendio che ha procurato la morte delle 140 vittime. Ed è chiaro anche che la macchina dei soccorsi non si è avviata, o si è avviata in modo misteriosamente parziale.
Come la spiega questa minore d'attenzione in termini di memoria dedicata alla vicenda del Moby Prince? Eppure i numeri e le evenienze la apparentano, purtroppo, a stragi ben più note della nostra storia recente.
Mentre per altre situazioni si è sentita con maggiore forza l'evenienza della strage, nell'immaginario collettivo quello del Moby Prince è stato un incidente, una nave che si scontra con un'altra nave ferma, magari perché l'equipaggio è stato distratto dalla visione di una partita di calcio, come spesso si è tentato di far credere. Un incidente, non una strage. Questa visione tralascia del tutto la realtà dei fatti e lo sviluppo successivo della vicenda. In condizioni di normalità, per quella che è stata la dinamica dell'incidente che ha riguardato il Moby Prince, non sarebbe dovuto succedere niente di gravissimo. Si sarebbe verificata una prassi già seguita per molti altri incidenti capitati in mare. Qui no. La macchina dei soccorsi non parte, e all'indomani della tragedia si verificano manovre di difficile interpretazione. Insieme a coloro che salgono a bordo per recuperare i corpi arrivano persone legate all'armatore che manomettono alcune apparecchiature del traghetto. Viene spostata la timoniera, sottratte bussole e orologi. In condizioni normali questo non sarebbe dovute accadere. Evidentemente qualcuno temeva che le responsabilità per il tragico incidente emergessero da subito e per scaricarle commissiona queste ambigue manovre. Al fondo di tutto, c'è qualcosa di ben diverso e ben più complesso. Perché non è mai stato sottoposto a processo l'armatore, o il comandante della petroliera? La sentenza del Tribunale di Livorno venne letta alle 23 quando di tutta la stampa accorsa dal resto d'Italia non c'era più nessuno, a parte i giornalisti locali. Da un punto di vista simbolico, questo passaggio mi è sempre sembrato sintomatico.
Quali iniziative avete programmato per la giornata di commemorazione?
Nella mattinata si terrà una messa in suffragio nella chiesa di Santa Giulia, attigua alla Cattedrale di Livorno. Alle 15,30 in Amministrazione Comunale il Sindaco riceverà le delegazioni dei familiari provenienti da tutta Italia. Alle 16.30 il corteo si muoverà per il centro di Livorno fino a raggiungere il porto. Davanti alla lapide sarà deposta la corona inviata dal Capo dello Stato e si procederà alla lettura dei nomi delle vittime. Verrà infine gettata la rosa in mare.
La storia del Moby Prince è stata magistralmente ricostruita e "narrata" dal pisano Francesco Gerardi nel suo lavoro teatrale "M/T Moby Prince". Frutto di un'approfondita ricerca condotta sui verbali processuali, le perizie, le registrazioni video e audio, i documenti riguardanti lo stato del Moby Prince e delle altre navi presenti al largo del porto di Livorno la sera della tragedia (compresi i mezzi di soccorso), le interviste ai testimoni, lo spettacolo di Gerardi racconta la storia del Moby Prince dalla parte di chi ha subito l'offesa dell'oblio. Tra teatro di narrazione e impegno civile, "M/T Moby Prince" è un imperdibile lavoro sulle contraddizioni della memoria e sulle strategie attraverso le quali questa possa essere censurata, addirittura "inibita". Un lavoro che, a nostro avviso, ha un unico difetto:è stata poco rappresentata nella nostra zona, se si esclude una data alla Città del Teatro di Cascina di qualche anno fa. Nel nostro piccolo, auspichiamo che le molte realtà teatrali presenti a Pisa, con la loro spiccata sensibilità e l'ottima composizione delle loro stagioni, vogliano in futuro ospitare il lavoro di Gerardi, e spezzare così, nel corso virtuoso dell'arte, la catena di dimenticanza che altrimenti attanaglierebbe sempre di più il ricordo di quei 140 morti di una notte di primavera di 18 anni fa.
Riportiamo in breve i dettagli della vicenda:
· Il "may-day" del Moby Prince è stato lanciato alle 22:26 partono i soccorsi
· Il Moby viene individuato alle 23:35 da 2 ormeggiatori.
· Gli ormeggiatori raccolgono l'unico superstite il mozzo, il quale AFFERMA CHE CI SONO ANCORA MOLTE PERSONE VIVE A BORDO.
· Gli ormeggiatori vengono raggiunti da una motovedetta della Capitaneria di Porto
· La motovedetta (a quanto dichiarato dagli ormeggiatori) INDUGIAVA
· La motovedetta carica il superstite ma parte per il Porto DOPO MEZZORA.
· Giunto in Porto il superstite ritratta quanto detto prima, affermando che ORMAI SONO TUTTI MORTI.
· Dopo l'impatto, i passeggeri sono stati portati nel salone De Lux (lì infatti erano quasi tutte le vittime) perché il traghetto era dotato di paratie tagliafuoco.
· Le fiamme sono giunte al salone de Lux in un tempo superiore la mezzora
I SOCCORSI HANNO INDIVIDUATO IL MOBY dopo 1 ORA e 10 dal ricevimento dell'SOS.
- Dall'esame eseguito sui corpi delle vittime sono state trovate tracce di monossido di carbonio: significa che MOLTE PERSONE NON SONO MORTE SUBITO PER EFFETTO DELLE FIAMME MA SONO SOPRAVVISSUTE ANCHE PER ORE (forse in stato di inconscenza)
- La mattina dell'11 aprile, il traghetto viene rimorchiato in Porto; da un filmato si nota una macchia rossa a poppa della nave; giunti in Porto, dove nel filmato si vedeva quella "macchia rossa" si apprende che si trattava di una persona, un altro superstite della tragica notte.
- E' stato ritrovato un FILMATO AMATORIALE girato pochi istanti prima della tragedia che però è stato CONTRAFFATTO.
- Quella sera, in Porto vi erano cinque navi mercantili, che per conto dei trasporti militari USA, erano cariche di armi che dovevano portare dentro Camp Darby che rientravano dalla
Prima Guerra del Golfo.
- Testimonianze sostengono di aver visto in Porto la 21 OCTOBAR II, il peschereccio oggetto dell'indagine di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi nel 1994 in Somalia.
- Un consulente in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali, venuto in possesso di notizie sulla tragedia del Moby Prince, attraverso il monitoraggio elettronico della rada di Livorno di quel maledetto 10 aprile 1991, dopo aver parlato con l'avvocato Carlo Palermo con l'intenzione di ASCOLTARE UN TESTIMONE, è stato aggredito e chiuso in una macchina. La macchina è stata incendiata ma questo consulente è riuscito ad uscire vivo e a trarsi in salvo.
Comunicato PRC: siamo a fianco dei familiari delle vittime. Chiediamo giustizia e smilitarizzazione del porto di Livorno
“Quella della Moby Prince è una delle pagine più oscure della storia della Repubblica. In quella strage persero la vita 140 persone tra passeggeri ed equipaggio mentre nel porto di Livorno diverse navi militari Usa stavano maneggiando esplosivo e caricando armi. Rifondazione Comunista è al fianco dei familiari in questo triste 18° anniversario della morte di tanta gente innocente.
E’ il momento di far cadere ogni segreto militare o di Stato e dare giustizia alle vittime.” E’ quanto afferma, in una dichiarazione, Alfio Nicotra, responsabile nazionale del Dipartimento Pace del Prc.“Quella strage doveva essere almeno l’occasione per smilitarizzare il porto di Livorno – prosegue Nicotra – invece continua ad essere sottoposto ad una servitù militare degli Usa inaccettabile, tanto da aver potenziato in questi anni i canali che dalla base di Camp Darby arrivano alle banchine portuali.”“Il Prc si associa alla proposta dell’associazione dei familiari delle vittime – continua Nicotra - di una iniziativa diplomatica forte e chiara delle nostre autorità nei confronti della nuova amministrazione di Barak Obama affinché finalmente siano messi a disposizione degli inquirenti le foto dei satelliti, i tracciati radar del naviglio Usa i rapporti dei servizi segreti militari del Pentagono.”
“L’intreccio tra attività militare statunitense e l’inquietante presenza di personaggi della P2 in tutta la vicenda - conclude l’esponente del Prc – dicono che quella notte di 18 anni fa qualcuno agì irresponsabilmente coinvolgendo due navi civili e avviando da subito un vergognoso depistaggio. Fare verità e dare giustizia ai morti della Moby Prince è il solo modo che ha il governo italiano di dimostrare che non siamo un Paese a sovranità limitata”.

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